Finalmente un altro cammino. Sarà un percorso più breve rispetto ai più classici ma sarà pur sempre intenso! è il Cammino di Oropa: 68 chilometri tra strada asfaltata e sentieri selvaggi che da Santhià conducono fino al Santuario di Oropa. Un itinerario composto da 4 tappe ma che percorrerò zaino in spalla in soli due giorni.
PREPARAZIONE:
Giungo di venerdi sera tardi a Santhià, insieme a Tommaso e Alessandra, i miei due amici e compagni di camminata. Nel mio zaino tanta voglia di esplorare questa parte d’Italia tra storia e natura.
Siamo in tre ma per motivi organizzativi decidiamo di partire dalla provincia di MIlano con due automobili. Di certo non la soluzione ecologica migliore, ma ahimè l’opzione più percorribile. Vi spiego il perchè: dobbiamo salire con un auto fino al Santuario di Oropa lasciandola parcheggiata a pochi metri dal traguardo di fine cammino. Con la seconda auto invece scendiamo verso Santhià, punto d’inizio del nostro cammino. Facciamo tutto ciò in modo da avere un mezzo di ritorno immediato in caso di arrivo molto tardo sul traguardo di fine cammino. (Dopo un certo orario non ci sono più treni e bus per tornare a Santhià.)
PRIMO GIORNO:
La sveglia suona all’alba e dopo una ricca colazione siamo pronti per affrontare i primi 36 chilometri che da Santhià ci condurranno fino a Sala Biellese. Il viaggio inizia percorrendo un tratto di un altro famoso cammino, quello della Via Francigena. Famoso cammino medievale che conduceva i pellegrini da Canterbury fino a Roma. Per me e Tommaso una piacevole riscoperta dato che già avevamo percorso il tratto di cammino della Francigena qualche anno prima ma in sella alle nostre mountain bike (Ma quella era un‘altra storia e un altro meraviglioso viaggio!) Carichi di entusiasmo attraversiamo la pianeggiante campagna che passa lungo la Via Francigena.
La maggior parte del percorso è costituito da stradine asfaltate che si sporgono su campi coltivati. Incontriamo altri viaggiatori augurando loro un buon cammino! Dopo un grande tratto di pianura, intorno al ventesimo chilometro ha inizio una lenta e semi impegnativa salita. Mentre cammino mi godo il panorama dell’anfiteatro morenico di Ivrea, rilievo morenico di origine glaciale, e del lago di Viverone. Arrivo a Roppolo, dominata da un maestoso castello che dalla fine del IX secolo svetta su tutto il territorio portando con se ricordi di numerosi generali e condottieri tra i quali Facino Cane, Tommaso Francesco di Savoia e Napoleone Bonaparte. Sono contornato da un paesaggio di bosco incantato che sale in direzione Oropa.
Giungiamo stanchi ma soddisfatti in un camping sulle colline a Sala Biellese. Ci aspetta una tenda sospesa da terra, con legate le sue stremità a tronchi di forti alberi. Dormiamo sotto un cielo di stelle e pioggia, in una tenda sospesa tra due alberi e la libertà.
SECONDO GIORNO:
Il secondo giorno è quello più tosto capace di farmi gioire e piangere nello stesso momento. Inizia l’immersione nella natura della Serra morenica e la salita più dura. Passo da istanti di entusiasmo ad attimi di sofferenza fisica capaci di farmi pensare, anche solo per un secondo, di fermarmi e mollare. Ma più mi arrampico verso Oropa più intravedo il traguardo e la motivazione.
Ci arrampiachiamo sulle Alpi Biellesi in direzione Donato. Giungiamo al Santuario di Graglia tra Piemonte e Valle d’Aosta. Il santuario mariano è uno dei più importanti del Piemonte. Lo zaino pesa come un macigno sulla mia schiena e per alleggerirlo devo riempire la mia mente di natura, di storia e autostima che acquisisco passo dopo passo in questo cammino. Meravigliosi casolari antichi, castagni, aceri, pini mi accompagnano in un bosco di emozioni, insieme a timidi volpi e ai grugniti dei cinghiali. La volontà e la curiosità mi fanno avanzare scacciando via la sofferenza e la fatica. Si cammina tra le mulattiere lungo il fianco del Mombarone seguendo l’antico tracciato della Tranvia che tempi addietro univa Biella direttamente al Santuario di Oropa.
Dopo 68 chilometri in due giorni, io e i miei due compagni di viaggio giungiamo stremati al Santuariodi Oropa. La soddisfazione e l’appagamento sono immensi. Immensi quanto il mito di Marco Pantani che qui su questa montagna nel 1999 ha scritto una pagina indimenticabile della storia del ciclismo e dello sport. Il mito lo si percepisce e si vede incontrando paline celebrative dell’impresa lungo i tornanti d’asfalto che titolano “Montagna Pantani“.
Camminando nei momenti di dolore e sofferenza ho pensato molto a lui, il pirata, che con la sua determinazione qui ha sconfitto la sfortuna, il salto di catena ai piedi dell’ultima salita, e ha saputo rimontare tutti scalando la montagna fino ad Oropa. Un esempio di forza di volontà che ho percepito sotto forma di energia mentre percorrevo la strada fino al mitico traguardo del Santuario. Quella fu un’impresa epica non di certo come la mia… ma nel mio piccolo, ora che sono qui vincente con le mani al cielo davanti al Santuario, mi sento svuotato delle mie forze fisiche ma possiedo uno zaino ancor più carico di conoscenza, interiorità ed emozioni.
Abbiamo tracciato la mappa di viaggio e con essa segnato anche i suoi punti di esplorazione. Partiremo da Milano percorrendo la strada disegnata sulla costa croata, salendo sui Balcani serbi, scendendo sulle spiagge montenegrine, entrando poi in territorio albanese. L’automobile per il road trip è pronta carica d’entusiasmo e di curiosità. Mi affascina parecchio l’est europeo e non vedo l’ora di percorrere i tremila e più chilometri di questo emozionante viaggio, che compierò insieme alla mia compagna di viaggio Marina e con Maggie, la nostra cagnolina viaggiatrice.
PRIMO GIORNO: CROAZIA –ZADAR
Dopo otto ore di viaggio giungiamo a Zadar, splendida e storica cittadina croata bagnata dalle acque del Mediterraneo posta sulla costa della Dalmazia. E già sera e afflitti dalla stanchezza decidiamo di cenare in un ristorante tipico croato per poi fare un giro esplorativo lungo le vie della città. Zadar è rinomata per le sue rovine romane e veneziane e proprio per questo avevo deciso di fare sosta proprio qui. Qui la storia ci è passata lasciando le sue tracce attraverso le mura che circondano la città con le sue caratteristiche porte veneziane. Ammiriamo il foro romano e li poco lontano il convento di Santa Maria. Impetuosa è la grande cattedrale di Sant’Anastasia. Meraviglia!
SECONDO E TERZO GIORNO: BOSNIA ERZEGOVINA e MONTENEGRO- PETROVAC
Dopo un bel sonno rigenerante ripartiamo con l’obiettivo di attraversare la Bosnia per giungere in Montenegro. Sapevamo della pesantezza e fatica del viaggio, ma non fino a questo punto! Infatti una volta giunti al confine serbo, decidiamo di percorrere la strada che dal navigatore ci è segnalata come più breve, scartando il percorso più trafficato dai turisti che costeggiava il mare ( quello più sicuro a livello di manutenzione stradale). Una volta passata la dogana, ecco la strada trasformarsi in un saliscendi con vista a picco su vallate vertiginose di gole balcaniche. La manutenzione stradale è assolutamente inesistente: buche profonde decine di centimetri e nessun tipo di protezione laterale costituita da guard rail. La mia guida è talmente impegnata tanto da farmi restare concentrato con le mani attaccate al volante per tutta la durata del tragitto. Anche Marina resta concentrata guardando preoccupata la strada. Durante i lunghi silenzi prodotti dal “restar concentrati”, un solo pensiero ci accomunava: << Ma quando finisce questa strada? >>. Ma nonostante la sua caratteristica pericolosità riuscimmo a trovarci il lato positivo; la strada ci regalava un panorama meraviglioso: le montagne si gettavano a picco sulle vallate, coi paesini balcanici rimasti tali e quali a cinquant’anni prima… e poi tanta natura selvaggia. Stupendo!
Sembra incredibile ma per percorrere 150 chilometri ci abbiamo messo quasi otto ore! Insomma se devo consigliare a qualche viaggiatore di scendere in Albania in auto suggerirei ai più comodi di prendere la strada che costeggia il mare, ma ai più avventurosi di percorrere la strada che dalla dogana penetra salendo spericolata nell’entroterra balcanico bosniaco. Vi assicuro che sarà un’esperienza unica!
Finalmente giungiamo al confine fermandoci per i controlli alla dogana montenegrina. La strada è decisamente migliore e la mia guida torna ad essere molto più rilassata. Il paesaggio è un trionfo del mare, del cielo e dei monti conservati in un contenitore di mondo incontaminato. Petrovac testimonia la medioevale presenza dominante veneziana; vi è una meravigliosa fortezza del XVI secolo situata nel punto più alto del porticciolo. Alloggiamo in un BeB a pochi metri dal mare. Percepiamo un inizio di allontanamento dagli usi e costumi tipici dell’Europa occidentale marcati dalla presenza di paesaggi e popoli tipici dell’est europeo. Il cibo è davvero squisito! Si mangia davvero bene e si spende pochissimo. Il mare e la sua spiaggia sono la ciliegina sulla torta. L’acqua è limpida e cristallina. Alzando gli occhi, noto che selvaggiamente dalla spiaggia si arrampicano le montagne, disegnando un percorso di natura lussureggiante. Resto davvero ammaliato da questo lato ancora selvaggio di questo piccolo stato incastrato tra i balcani e il mare. Qui decidiamo di passare due giorni di relax in attesa del grande giro dell’Albania.
QUARTO GIORNO: TIRANA
Si parte verso l’Albania! La tappa di oggi sarà più breve rispetto alle precedenti: solo 181 chilometri che da Petrovac ci condurrà fino alla capitale albanese di Tirana. Sostiamo alla dogana albanese per acquistare il foglio verde che ci consentirà di viaggiare all’interno del territorio non appartenente all’unione europea. Il viaggio nel nord albanese è un road trip che sembra essersi fermato nel tempo. Le strade e le cittadine che attraversiamo sembrano ancora ferme a decine di anni fa quando il regime dittatoriale comunista lo caratterizzava. L’Albania ci dà il suo benvenuto con un paesaggio di campi coltivati, zingarelli accampati lungo la strada e automobili vecchie che in occidente si usavano forse nei primi anni 2000 se no addirittura negli anni 90!. Insomma, avevamo la percezione di essere tornati indietro nel tempo di almeno vent’ anni rispetto al resto d’Europa. Questo stato di sano degrado fu il colpo d’occhio iniziale di questo lungo viaggio esplorativo. Dal finestrino dell’auto io e Marina notiamo vecchie case e baracche contornate dai campi coltivati. Vecchie automobili ci sfrecciano di fianco rumorose suonando i loro clascon, in uno dei traffici più intensi che abbia mai conosciuto.
Tirana è una disordinata e chiassosa grande città, colma di traffico e delirio. Mi sembra di essere finito in una terra di nessuno, dove ognuno può fare ciò che vuole! Giungiamo in albergo sito nel quartiere più elegante di Tirana. Il resto della città è caratterizzata da un elegante e ordinato degrado caratteristico delle città dell’est europa. Prepariamo lo zainetto intenti a visitare il centro della città, che per mia fortuna (data la mia grande passione) è colma di storia. Entro nella piazza dal nome importante come quello di Skanderberg. <<Non vi porto libertà: l’ho trovata qui, tra voi.>> Questa è la frase che disse l’impavido Giorgio Castriota detto “Skanderberg” al popolo albanese dopo aver respinto e vinto gli invasori turchi ottomani. Qui, è venerato come eroe nazionale. Le sue gesta ispirarono nei secoli le rapsodie, la letteratura, le arti e mantennero vivo negli albanesi lo spirito della libertà.
QUINTO E SESTO GIORNO: VALONA
<< Finalmente il mare! >> Il mare ci accoglie con le sue spiagge super attrezzate e colme di turisti. Valona è una perla della costa albanese tanto che Il degrado attraversato nel nord albanese sembra totalmente scomparso. Soggiorniamo in un albergo posto sulla punta di una parete di roccia che dai suoi cento metri di altezza domina il mare. La vista è spettacolare. Scendiamo in spiaggia e per due giorni ci rilassiamo godendoci il sole e il mare.
SETTIMO, OTTAVO, NONO GIORNO: HIMARA
Scendiamo sempre più giù, fin dentro il cuore e l’anima dell’Albania meridionale. Qui il mare selvaggio e incontaminato bagna una riviera di scogli alti che come montagne che salgono verso il cielo. Alloggiamo in un albergo a pochi metri dalla spiaggia. La spiaggia è ampia e larga quanto la libertà. Si respira aria di spensieratezza e di pace. Chilometri di natura compongono questo angolo di mondo riscoperto da qualche anno da centinaia di turisti europei. Himara sarà una delle tappe più belle che ricorderemo di questo viaggio. La sua incontaminata natura e la generosità del popolo albanese che la abita, resteranno un piacevolissimo ricordo da raccontare a chiunque voglia esplorare questa terra.
DECIMO, UNDICESIMO, DODICESIMO, E TREDICESIMO GIORNO : SARANDA
Saranda è la città più trendi della riviera albanese. Qui cè tutto quello che serve per passare una giornata al mare con ogni confort e una serata in un buon ristorante e in una bella discoteca. È senza dubbio la località più rinomata dai turisti di mezza europa che vengono qui per cercare relax ma anche divertimento notturno. Dalla spiaggia si può vedere in lontananza la sagoma dell’isola greca di Corfù. Passiamo tre giorni a girovagare per le varie spiagge di Saranda in particolare la spiaggia di Ksamil.
Syri i Kalter
A circa una ventina di chilometri da Saranda si trova un luogo meraviglioso nominato Patrimonio dell’Unesco: Syri i Kalter, il famoso occhio blu dell’Albania. Si tratta di una sorgente sita alla base del monte Mali Gjere. L’acqua di colore blu scuro sgorga a una temperatura di 12 gradi. Resto incantato da questa meravigliosa opera d’arte naturale simile ad un occhio umano compreso di bulbo e pupilla. Al centro l’acqua è di colore blu scuro e tutt’intorno è colorata di un azzurro più chiaro. Un luogo magico e unico al mondo!
AGIROCASTRO
Giungiamo in questa meravigliosa e antica città, costruita su una collina di 300 metri tra i monti Mali i Gjere e il fiume Drinos. Agirocastro è un nome di origine greco dal significato di “Fortezza Argentata”. La città vecchia è un vero e proprio incastro di diverse culture: quella greca, romana, bizantina, turca e albanese. Passeggiamo tra le sue vie ricche di colori e di storia millenaria. Io e Marina restiamo a bocca aperta dinnanzi a questa meraviglia, inclusa tra i Patrimoni dell’Umanità.
BUTRINTO
Finalmente giungo in uno dei luoghi che da sempre avrei voluto visitare! E’ il sito archeologico più importante dell’Albania. Porto antico e frammento della storia del Mediterraneo. Entrando qui dentro si compie un viaggio straordinario lungo le epoche della nostra storia. Ci si perde tra le rovine che testimoniano la cultura della civiltà ellenistica, romana, bizantina, veneziana e ottomana. Una meraviglia! che emozione!
BERAT
L’ultima tappa del grande viaggio albanese ci porta a visitare la storica cittadina di Berat, un’altra perla inserita tra i Patrimoni dell’umanità. Le sue case bianche di origine ottomana, dipingono un paesaggio di abitazioni arroccato su una collina rocciosa. Dopo una meravigliosa passeggiata, fatta salendo tra le sue strette e caratteristiche viette, giungiamo in cima, dove insieme ad un po’ di fiatone ci attende un impetuoso castello risalente al xiii secolo.
A Berat termina il nostro viaggio. Con il viso triste puntiamo il navigatore della nostra auto verso il porto di Durazzo dove un traghetto è pronto a riportarci in Italia.
L’albania è stata un’incantevole scoperta: un paese incredibile, capace di sorprenderti grazie ai suoi due volti. Una terra magnifica dove la storia contemporanea è ancora ferma agli ultimi anni del 900, caratterizzata dalla sua gente che suona clacson guidando automobili che qui da noi sarebbero classificate come d’epoca e che abitano in vecchie città di palazzoni di cemento costruite dal regime comunista. Ma esiste anche il suo secondo volto più moderno ed occidentale caratterizzato dai suoi alberghi, dalle spiagge all’avanguardia, dai ristoranti e dalle discoteche che animano la vita notturna di uno dei paesi più accoglienti dell’est europeo. La sua costa mediterranea è una perla lucente capace di attrarre a sè qualsiasi esploratore e turista a caccia di bellezza, natura e cultura.
Da qualche mese noi umani ci siamo fermati, bloccando tutto il sistema che ci circonda. Un sistema che ci ha portato dentro un limbo di ricchezza e di benessere; lo stesso sistema che ci ha permesso di prendere un aereo capace di condurci in un luogo sognato dall’altra parte del mondo. << Oh che meraviglia!>> pensavamo. Ma è da tempo che la Terra non la pensa più come noi; lei non giova più di quel benessere che a causa dei nostri vizi sta velocemente perdendo. Bisognava fermarci tutti per osservarla, aiutarla, farla guarire e, incredibilmente, un miracolo è accaduto. Può sembrare strano ma ora che tutto si è fermato sono felice di non poter viaggiare. Mi spiego meglio: io soffro come un matto! ma sono consapevole che tutto quello che sta accadendo servirà a qualcosa. Servirá a lei per poter rinascere liberandosi dalla nostra tirannia e servirà a noi per riflettere sugli errori che abbiamo commesso. Come un corpo malato anche la Terra ha prodotto la sua febbre, sotto forma di Coronavirus. Madre Natura si sta difendendo contro l’egoismo umano. Quindi, se esaminiamo bene, il vero virus siamo proprio noi. Per questo sono felice di “non viaggiare” perché desidero fortemente regalare al mio pianeta il suo benessere sacrificando i miei vizi. Mi accontento di viaggiare con la mentre leggendo un buon libro nell’attesa di una sua lenta guarigione. La medicina prescritta dall’universo è il nostro buon senso e fermandoci, la stiamo imboccando facendola assumere piccole dosi della nostra cura. Aumentiamo in modo più massiccio il medicinale finchè il benessere gioverà ad entrambi. Torneremo a viaggiare ma prima torniamo a vivere in un mondo guarito.
Quando mi smarrisco, sento il bisogno di percorrere il sentiero che mi riporta qui da te. Le rane, le foglie, lo scorrere dell’acqua e il silenzio. Qui posso parlare con tutto e non essere sentito da nessuno. Qui posso ascoltare tutto senza essere disturbato da niente. Tu mi doni sempre quello che mi occorre: la pace, l’armonia, la storia e la natura. Torno sempre qui da te perchè, quando sono nei tuoi boschi, mi sento a casa mia.
Ti amo mio Ticino.
Ho voluto iniziare con la mia personale dichiarazione d’amore all’anima del fiume e ora vi racconterò qualche aneddoto della sua affascinante storia.
A due passi dalla grande metropoli milanese c’è un mondo colmo di silenzi, colori e armonia dove un un’escursione a piedi o in mountain bike ti può far vagare senza pensieri e senza una meta ben definita per ore ed ore. Un luogo pieno di biodiversità e di animo wild. Non è la foresta amazzonica, la giungla del Borneo o il selvaggio West ma è comunque il luogo adatto per raccontarvi una bella storia di natura e avventura. Ma prima devo tornare un attimo più indietro, anzi più che indietro verso nord, più precisamente in Svizzera nelle Alpi Leopontine. Qui da due diverse sorgenti, la principale sul Passo della Novena e la secondaria sul San Gottardo, nasce un fiume che per 248 chilometri attraverserà la stessa Svizzera e parte dell’italia settentrionale fino a sfociare nel grande fiume Po. Sto parlando del fiume Ticino.
LA SORGENTE
In antichtà chiamato Ticinus dai Latini, che gli diedero questo nome per via del Canton Ticino sua zona di nascita. La sua vita inizia lassù in alto nelle due sorgenti dove Le prime gocce d’acqua si tuffano a capofitto verso una lunga discesa di sassi e minerali. Ad Airolo le gocce si bagnano l’una con l’altra diventando un piccolo fiume che dopo aver attraversato la Laventina sorpassa la valle Riviera, Bellinzona e il piano di Magadino per poi sfociare nel lago Maggiore. A Sesto Calende esce dalla calma apparente del lago per tornare veloce e irruente lungo il territorio italiano nel Parco del Ticino, vera oasi di natura incontaminata. Qui forte e impetuoso alimenta grandi canali come il Naviglio Grande che porterà l’acqua del grande fiume fino al centro di Milano. Ma noi restiamo qui, nella valle verde e selvaggia dove il fiume, con la sua presenza crea un ecosistema biologico ricco di biodiversità. Costituirà il grande polmone ecologico della Lombardia. Una piccola giungla amazzonica lombarda. La sua corsa continua a sud di Pavia (antica Ticinium) confluendo le sue acque nel fiume Po, del quale ne è il principale affluente. Ora vi porterò proprio all’interno del grande polmone lombardo, un paradiso per ogni escursionista o cowboy avventuriero. Qui sentieri sterrati penetrando per centinaia di chilometri all’interno della fitta giungla paludosa del parco si tuffano al contrario gettandosi dal blu dell’acqua del fiume giungendo alle numerose risaie arrampicandosi fino al verde della boscaglia.
TREKKING NELLA GIUNGLA DEL TICINO
Proprio il posto ideale per bel un trekking zaino in spalla, per un’immersione in apnea sopra la sella di una mountain bike o un impennata tra lo scorrere della corrente in Kayak! In sella o a piedi si possono attraversare piccoli borghi di casolari e fattorie, ambientate in un meraviglioso territorio di campagna in stile western americano. In canoa o Kayak si possono scoprire rapide vertiginose, capaci di condurti in luoghi incontaminati da non fare nessuna invidia ai selvaggi fiumi canadesi o dell’Alaska. I percorsi si snodano su sentieri boschivi fluviali che incantano il viaggiatore facendolo ammirare panorami naturali e numerose architetture storiche lombarde. La storia ci racconta che lungo la Valle del Ticino si susseguirono più fasi di insediamento di popolazioni di ceppoceltico. La prima fu la civiltà di Golasecca intorno al IX secolo a.c, poi nel 400 a.c fu il turno degli Insubri che si sovrapposero alla precedente popolazione mantenendone la cultura come era abituale tra i Celti. Gli Insubri distrussero la Melprum etrusca ricostruendola con il nome di Mediolanum (Milano). l’espansione di Roma portò la fine della colonizzazione dei Celti nel territorio dell’Italia settentrionale. Nel 218 a.c il Ticino fu territorio di scontro tra l’esercito romano del generale Scipione e quello cartaginese del condottiero Annibale nella mitica “battaglia del Ticino” in quello che fu un importante episodio della seconda guerra punica. Per la prima volta il fiume fu testimone della presenza di un altro animale bellico usato dall’uomo oltre al nostro amato cavallo. La novità fu l’elefante che Annibale importò dall’Africa, facendolo entrare in territorio italico passando da un varco tra le Alpi. Non siamo in grado di stabilire la locaità esatta della battaglia, forse nei pressi dell’odierna Vigevano o Castelletto Ticino, ma sappiamo che Tito Livio raccontò che i romani costruirono un ponte di barche accampandosi nel territorio degli Insubri che secondo alcuni oggi è il territorio di Turbigo, mentre Annibale si accampò nei pressi sull’odierna Galliate ( sponda piemontese). Cosa nota è che Annibale fece abbeverare gli elefanti in zona Victumulis (Garlasco). Chissà ai tempi cosa pensarono i nostri cavalli alla vista di questa nuova specie! E non oso immaginare quello che pensarono alla vista delle loro proboscidi durante la battaglia. Saranno scappati galoppando? Facile farsi stregare nei trekking a cavallo dai luoghi e dai simboli di questi popoli antichi ma ancora più facile restare ammaliati da architetture storiche più recenti come il Castello di Vigevano, la Certosa di Pavia, L’Abbazia di Morimondo.
LA STORIA: I CELTI, ANNIBALE, LA CERTOSA DI PAVIA, L’ABBAZIA DI MORIMONDO
In questo parco, storia e natura si fondono insieme dando origine a un connubio di meraviglie difficili da dimenticare… Come non si può scordarsi che anche qui come negli Stati Uniti, la febbre dell’oro fece ammalare molti uomini intenti a cercare il prezioso metallo tra le sabbie aurifere accumulate nel corso delle piene. Questo accadeva già ai tempi dei romani fino ad oggi con I cercatori d’oro che muniti di stivali di gomma e armati di una batea, la padella che vediamo in tanti film americani, cacciano l’oro come fossero sul Colorado.
CERCATORI D’ORO
Il Ticino ha un’energia vitale molto particolare in grado di far innamorare ogni curioso avventuriero. Quando si percorrono i suoi sentieri si dimentica tutto lo stress della grande città e si assimila energia positiva capace di far ritrovare se stessi galoppando tra un pensiero e l’altro. I viaggiatori smarriti qui si ritrovano ascoltando il gracidio delle rane, lo scorrere dell’acqua e il canto dell’Airone cenerino apparentemente silenzioso quasi muto che invece esplode acuto e modulato appena spiccato il volo. I piccoli ruscelli che danzano vicino al grande letto del fiume emettono una musica orchestrale capace di far ballare persino il più rigido dei pensieri. Se si è stanchi ci si può fermare sostando lungo le calme lanche stagnanti colme di pace e tranquillità che sembrano nascondersi dai problemi della vita dietro ad alti canneti.
Insomma è il posto adatto per fare escursioni e per rigenerare la mente dai problemi e la quotidianità della vita da città, liberi come nel famoso libro di Jack London: il richiamo della foresta. Sulle strade sterrate della campagna padana si può sentire l’odore dei campi da coltivare appena concimati, e le sagome dei cowboy a cavallo appaiono robuste sui sentieri di sabbia bagnati dall’ombra del caldo sole. Canalini colmi d’acqua spaccano a metà i campi coltivati e il canalone del Naviglio Grande fa da battistrada al sentiero che condurrà un escursionista fino alla darsena della città di Milano. Ma il mio consiglio è quello di restare qui nell’Amazzonia lombarda o nella Colorado padana, nel corridoio ecologico tra Alpi e Appennini, tra la flora autoctona di Aceri, Pioppi, Querce, Ginepri, Betulle, Castagni e la fauna selvaggia costituita da mammiferi come la volpe, il tasso, il capriolo, da uccelli come la Cicogna bianca, il picchio, il cormorano, da rettili come la testuggine europea, la vipera e da anfibi come le salamandre, il rospo, e la rana. Una foresta sottomarina di sassi e alghe fanno da habitat ad una grande varietà di pesci come la trota, lo storione e il luccio, grandi predatori del fiume azzurro.
Concludo sorridendo e ringraziando il mio Ticino. Un luogo talmente magico da essere capace, usando l’immaginazione, di farti vedere qualche Indio accampato col suo cavallo lungo la riva del fiume e qualche altro che con una canoa naviga le sue correnti. Insomma una vera e propria giungla selvaggia pronta a catturare ogni singolo cuore impavido di avventuriero intento a viaggiare nelle terre più inospitali e meravigliose della nostra terra.
Oggi non potendo uscire ho bevuto un bicchiere di vino e poi felicemente sono fuggito fuori casa evadendo con la mia immaginazione. Mi sono ritrovato insieme al mio zainetto in un bosco di querce e pini mentre camminavo tra alberi, insetti e animali selvaggi. Il mio respiro lento e profondo fiutava profumi di primavera anticipata e aria pulita. la mia vista ammirava uno spettacolare collage di monti, colline, laghi, fiumi e le loro forme con i loro colori percorrevano sentieri che giungevano fin dentro alle mie pupille. Udivo il canto del vento e il cinguettio degli uccellini. Con le mani toccavo l’aria limpida della selva e con la bocca assaporavo sorsi d’acqua di sorgente. Tutto era al suo posto in un’armonia cosmica perfetta. La mia immaginazione mi fece proseguire seguendo il sentiero sterrato del bosco fino all’ingresso di una città. Case, palazzi, monumenti storici, strade e un ponte che attraversava un limpido fiume mi accolsero stupito. Al contrario del bosco questo luogo mi rattristì molto perché sembrava essere deserto. Nessuna persona che camminava, che andava in bicicletta o che voleva semplicemente fare due chiacchere con me. Non c’era nessuno ma solo silenzio e il rumore delle foglie trasportate dal vento. Ma poi, al contrario, qualcosa mi rallegrò. Notai che non c’era spazzatura, non c’erano mozziconi per terra e soprattutto non esisteva lo smog prodotto delle automobili e delle fabbriche. L’aria era leggera proprio come quella del bosco. Quando Riaprii gli occhi sorrisi felicemente sorpreso. Capii che tutto quello che avevo immaginato non era il frutto della mia fantasia ma era vera realtà! Vera come i delfini ritornati a nuotare nei porti privi di navi della Sardegna, vera come i fondali dei canali di Venezia tornati limpidi e pieni di pesci, vera come lo smog ormai scomparso dal centro di Milano. << La natura si riprende la sua vita in nostra assenza. >> disse una donna incontrata in questo mio giro immaginario. << Avevo sempre pensato che quello torbido e fangoso fosse il colore naturale dei suoi canali. >> replicò un turista anch’esso incontrato durante la mia evasione guardando i fondali dei canali veneziani. E poi ancora: << Non avrei mai pensato che Venezia avesse un fondale cosi caraibico! possiamo tornare a tuffarci in laguna! >> esclamò un gondoliere. << Che aria pulita… sembra di montagna. Un cielo cosi azzurro qui non si era mai visto… >> concluse emozionato il signor Brambilla in dialetto milanese guardando il cielo di Milano.
UN BICCHIERE MEZZO PIENO
La realtà dei giorni attuali di un mondo fermo senza l’uomo, racconta che in Cina, uno degli stati più inquinati al mondo, l’aria è tornata a livelli respirabili e il biossido di azoto è diminuito del 30% rispetto al solito. Un dato incredibile! un sogno! << Finalmente la terra respira. >> era la voce unanime di tutte le persone della Terra, che nella mia immaginazione di un mondo ideale, avevo incontrato e che ora sembra essere divenuta miracolosamente realtà. Questa splendida realtà di un mondo finalmente pulito è una sorta di “consolazione” dai problemi di salute e dai danni economici che sta causando questo maledetto Covid-19. Il virus giunto dalla Cina sino a noi, sta per fare il suo corso anche nel resto d’Europa, negli Usa e nel resto del mondo. Si preannuncia un’inestimabile catastrofe sanitaria ed economica di livello mondiale pari a quello delle due guerre mondiali combattute nel secolo scorso. Insomma stiamo vivendo in un periodo che verrà raccontato sui prossimi libri di storia e noi ne siamo dentro come acqua sporca in un bicchiere pulito. Ahimè non lo stesso bicchiere di vino che sorseggiavo prima di perdermi nella mia immaginazione… Ma se guardiamo bene dentro al bicchiere pulito del cosmo appoggiandolo sul tavolo dell’universo, osserverei questo virus come un elemento positivo per la nostra natura, e al contrario di ogni previsione io vedrei il bicchiere mezzo pieno. Lo paragonerei a dell’acqua che fuoriesce dal rubinetto cosmico che sta riempiendo fino all’orlo il bicchiere sporco, lercio, inquinato della nostra Terra. Esso saturo di sostanze inquinanti, capitaliste e maligne deve essere svuotato prima che sia troppo tardi. Basterebbe che una mano divina lo rovesci e noi umani ripartiremmo puliti da zero. Ma nessun divino di qualsiasi religione fino ad ora è giunto tra noi per rovesciarlo. Una grande mano invece cè la sta dando il Covid-19 fuoriuscendo inatteso e devastante come un fiume in piena dal rubinetto del cosmo, che sta spazzando via tutto lo sporco contenuto nel nostro inquinatissimo bicchiere.
Oggi l’attenzione del mondo è rivolto solo alla cura di questo virus lasciando in secondo piano l’aumento delle temperature nei ghiacciai di Artide e Antartide. Strano ma le due cose potrebbero essere in qualche modo collegate. Già perché forse la cura l’abbiamo già trovata senza saperlo e sarà il miglior vaccino in grado di non far sciogliere i ghiacciai polari e bloccare definitivamente i cambiamenti climatici. Questo virus sembra essere venuto per dirci che dobbiamo fermarci mettendo in quarantena noi e il nostro bellissimo pianeta. Nessun umano lo stava facendo accecato dalla vile luce del denaro e del potere, e c’è voluto lui, Mister Covid-19, a farci dire basta. Mi piace e voglio credere che questo virus sia un’opportunità che ci sta dando nostra Madre Natura da usare come ultima chance per salvare lei e la nostra umanità prima che sia troppo tardi.
E’ una meraviglia particolare questa città. Particolari le parole che mi serviranno per descriverla, in parte dolci e in parte amare. Un amaro troppo disgustante per il sapore che hanno lasciato nel tempo, non a causa sua ma per colpa delle atrocità commesse dalla razza umana.
La sua affascinante storia medioevale si affianca a quella tristemente nota della seconda grande guerra. Fa molto freddo e le strade sono in parte ricoperte da una bianca morbida neve. Zaino in spalla vagabondo nella città vecchia circondata dal parco di Planty e dai resti della cinta muraria medioevale, insieme ai due miei compagni di viaggio Marco e Tommaso.
Rynek Glowny
La piazza medioevale più grande d’Europa
Il primo luogo capace di catturare la mia attenzione è la piazza del mercato chiamata Rynek Glowny, la più grande piazza medioevale d’europa. Qui la Basilica di Santa Maria, una chiesa gotica del XIV secolo, ne domina la scena con le sue due torri di altezze differenti. Saliamo più in alto sulla collina di Wawel. Il meraviglioso castello simboleggia la città e una splendida cattedrale la illumina di cultura: al suo interno si sono celebrate le incoronazioni dei sovrani polacchi ed è la chiesa madre dell’arcidiocesi di Cracovia. La sera ceniamo in un ristorante tipico polacco divorando dei buonissimi pieroghi, tortine di pasta simili ai ravioli con dei ripieni sia dolci che salati. Il giorno dopo visitiamo emozionati l’altro quartiere storico di Cracovia: il di Kazimierz, che per 600 anni ha ospitato la comunità ebraica di Cracovia fino allo sterminio ad opera dei nazisti.
Da qui in poi le mie parole descriveranno emozioni tristi mai provate in nessun altro luogo al mondo…
QUARTIERE DEL GHETTO EBRAICO:
Cammino su una strada di ciottoli scuri. I miei passi riecheggiano tra i muri del quartiere con le stelle di Davide disegnate che non vogliono andare via. Non vogliono morire come invece hanno fatto gli uomini e le donne che vivevano qui. Loro sono giunte fino ai nostri giorni provenendo dagli anni della guerra. Torno indietro nel tempo immaginando il rumore degli stivali delle SS tedesche che picchiettando a terra facevano sentire agli abitanti del ghetto il rumore della paura. Un silenzio irreale avvolge questo luogo. Si percepisce il senso del dolore che c’è stato. Un dolore che queste mura, queste strade, questi ciottoli e questa umanità non potrà dimenticare mai.
AUSCHWITZ BIRKENAU- Campo di sterminio:
La neve copre con la sua purezza tutto il maledetto dolore che qui c’è stato. Entrando ad Auschwitz Birkenau seguendo le rotaie arrivo laddove il treno carico di bestiame composto da uomini, donne e bambini concludeva la sua corsa vicino al filo spinato. Qui la mia pelle si accappona. La corsa per alcuni finiva subito con l’inganno di una doccia, mentre per altri proseguiva con la garanzia che prima della doccia ci si sporcava di sofferenza. E’ enormemente infinito questo Lager. Entro in una delle “stalle” usate dalle SS tedesche per far riposare la notte il bestiame umano. Non so esprimere la sensazione che provo qui dentro. Tremo, mi manca l’aria. Mi rifiuto di pensare a cosa sia successo qui. Mi viene da piangere e star male. E’ buio, sporco e c’è un odore pesante rimasto impregnato negli anni che non riesce ad andare via dal male che qui ha abitato. Riesco a vedere i volti e le espressioni delle persone che per qualche mese, giorno o ora hanno vissuto qui. Mi appaiono con i loro pigiami a righe tutti uguali chiedendomi pietà. Li osservo inerme. Provo ad allungare una mano per soccorrerli ma non posso fare più nulla purtoppo. Solo un gesto forse inutile ma che mi viene dal cuore potrei fare. Mi sento in colpa e chino il mio capo pronunciando l’unica parola che mi viene in mente: “Perdonateci” in nome mio e di tutta l’umanità.
Con gli occhi e con l’anima ancora incantati dall’emozione per aver visto e toccato il cuore rosso d’Australia ripartiamo per le vie infinite del deserto dell’Outback. Altri tre giorni di nulla assoluto ci aspettano, un nuovo viaggio massacrante ma indimenticabile ci attende per i prossimi 2500 chilometri in direzione nord verso il verde Queensland! La prima tappa nel deserto sarà la città di Alice Springs. Ci eravamo già passati qualche giorno fa in direzione di viaggio opposta, quando da Darwin scendevamo a sud verso Uluru. Qui rifacciamo la spesa comprando scorte di cibo, di acqua e riempiendo taniche di benzina. Tutto deve essere perfetto per la traversata del deserto che ci terrà incollati cocenti sul volante per più di dieci ore al giorno, per tre diversi e lunghi giorni, contando anche le tre notti in tenda sotto un meraviglioso cielo stellato ma alla fredda temperatura dell’escurione termica di quasi zero gradi.
OUTBACK
Roadhouse
Le ore passano tutte uguali: fuori dal finestrino l’asfalto rovente della strada perennemente dritta, a destra e sinistra il selvaggio bush e sopra di noi il cielo azzurro grande come un oceano. Nulla cambia per la nostra vista per due lunghi giorni. Ma la monotonia qui è qualcosa di davvero speciale, di sovrumano e di magico. Ti accompagna e non ti lascia mai riuscendo ad emozionarti come se ogni volta fosse la novità. Il silenzio assordante è rotto solo dall’autoradio della nostra jeep. La notte ci accampiamo con la tenda sul punto esatto dove passa il Tropico del Capricorno. Qui abbiamo passato una delle notti più fredde e dure di tutto l’intero viaggio!
Tropico del Capricorno
Passata la sofferenza del freddo della notte, i primi raggi di sole dell’alba ci riscaldano penetrando nel telo della nostra tenda. In un attimo dagli zero gradi della notte giungono i quaranta gradi del giorno! che vita tosta ragazzi! Una sana colazione e ripartiamo. Dopo 10460 chilometri esatti, sconfiniamo nel terzo stato australiano del nostro “road trip”! La strada cambia ancora. Immense praterie gialle fanno scomparire temporaneamente l’infinito bush. E’ cosi che mi da il benvenuto il Queensland!
Welcome to Queensland!
Dopo centinaia di chilometri di deserto l’ambiente circostante incredibilmente cambia ancora. Inizia una prateria giallastra che si trasforma prima in colline verdi e poi diventa un infinita foresta tropicale. Un altro miracolo che solo questa terra può regalare! Facciamo rotta verso le Millaa Milla Falls. Camminando tra i sentieri rossi della foresta tropicale può capitare di perdersi tra l’ombra delle piante. Senti la voce dell’acqua che scorre. La segui e ti ritrovi laddove lei urla. Che meraviglia!
MILLA MILLA FALLS
MILLA MILLA FALLS
Il nostro viaggio prosegue verso la capitale del Queensland: la città di Cairns. L’umore di tutti per la prima volta scende. Siamo tutti un pò tristi perchè sarà l’ultima tappa del nostro Roadtrip iniziato trenta giorni fa da Perth… Il ritorno dall’estremo selvaggio del deserto fino alla “comfort zone” della città di Cairns per me e per i miei compagni di viaggio è molto scioccante… Mi sento spaesato tra le vie dello shopping e mal osservato dalla gente “civilizzata” che mi scruta con sguardi e pensieri strani. Beh, magari sarà solo la mia impressione… Ma del resto dopo un mese passato nei luoghi più selvaggi dell’Australia senza un letto con lenzuola pulite, con cibo razionato e quasi senza acqua (senza lavarsi per giorni) penso sia normale. Ti abitui a vivere in modo diverso, quasi a “sopravvivere” senza fare sprechi. Ogni grammo di cibo che mangi, ogni vestito e straccio che indossi, e ogni goccia di acqua che bevi possono fare la differenza e sono la vita. Riesci a capire e gestire i tuoi limiti superandoli. Capisci davvero quando possono essere importanti le cose semplici come bere un bicchiere d’acqua. E quando ti ritrovi qui, tra ristoranti con tavoli imbanditi di cibo, docce fresche in casa e tanto consumismo ti viene da pensare a quanto siamo fortunati ma sopratutto a quanto soffre “l’altra gente”, quella che vive in povertà o nella cosiddetta “scomfort zone”.
Cairns … ritorno alla civilà
Mappa completa del nostro Roadtrip
Saluto l’oceano ringraziandolo per tutto quello che mi ha regalato. E’ grazie a lui se in questo grande stato enorme come un continente, esistono diversi microclimi con spiagge paradisiache, foreste tropicali e il deserto. Ho avuto la fortuna di aver vagabondato per giorni in una delle zone più selvaggie al mondo e ne sono fiero. Ancora più fiero perchè insieme a me ha viaggiato mia sorella Giorgia. Che esperienza unica sorellina! e poi Marco il suo ragazzo, davvero una grande persona con un grande cuore e di grande esperienza di viaggio. E lo stesso vale per Nicolas. Un altro pazzo che come noi ha sfidato la natura estrema di questa meravigliosa terra. Senza dimenticare Choco! il più grande cane viaggiatore che abbia mai conosciuto!
Un ultimo pianto in aereoporto. Un abbraccio ai miei compagni e all’anima aborigena che illumina questa terra. Non ti scorderò mai… Arrivederci mia Australia!
La strada infinita
CONCLUDO LA MIA ESPERIENZA IN AUSTRALIA CON QUESTO PENSIERO….
Una strada infinita partita da Perth conclusa a Cairns dopo 11460 chilometri percorsi “on the road”. Abbiamo attraversato tre stati: Il Western Australia, il Northen Territory e il Queensland. Siamo passati per paesi, citta, praterie, savane di bush, spiagge, montagne, billabong con coccodrilli e dal mitico deserto dell’Outback. Mi porto dentro le giornate calde da star male, le mangiate con scatolette di tonno, la scorta d’acqua e di benzina perché per centinaia di chilometri non vi era un bel nulla. Non un cesso per pisciare, una doccia per lavarsi, un bar o un benzinaio. Ma solo sabbia rossa, cespugli e canguri che ti attraversavano la strada. E c’erano le notti fredde a causa dell’escursione termica. Trenta notti in tenda accampati dove capitava, accompagnati da tramonti colorati mozzafiato, da stelle che si potevano toccare e da animali selvaggi che si avvicinavano alla tenda per darci la buonanotte. Poi i miei compagni di viaggio: Nicolas che ho conosciuto qui, Marco il ragazzo di mia sorella e appunto mia sorella Giorgia. Di lei sono super fiero. Una ragazza che ha attraversato l’Outback, che ha passato giornate senza bagni e senza docce e che non aveva paura di niente nemmeno dei ragni o serpenti, qui pericolosi e velenosi. Sei in gamba sorellina! E poi c’era Choco, il cane viaggiatore. Un cucciolo di tre mesi che si è girato già mezza Australia! Non male come curriculum, puppy! Ma di questa terra non potrò scordarmi mai lo stato d’animo provato nell’Outback. Un’ esperienza cosi intima con la natura australiana da far arrossire la terra dal tanto tempo che la si guarda e far illuminare al buio gli occhi di notte, quando si ammira a testa in su la via lattea allungando la mano per afferlarla o cercando di prendere la luna piena che scappa, accendendo la luce sul bush infinito. Il grande silenzio che si sente per migliaia di chilometri ti riempie l’anima di pensieri, tenendoteli dentro sempre, per tutto il roadtrip, e per tutta la vita…
Lasciamo Darwin per spostarci in uno dei luoghi più selvaggi del Northen Territory australiano nonché patrimonio dell’Unescu: Il Kakadu National Park.
Ci attendono paludi, fiumi e scarpate di roccie arenarie. Coccodrilli, dingo, pipistrelli, tartarughe e centinaia di specie di uccelli vivono in un habitat composto da più di duemila tipi di piante. E’ una delle mete più ambite del nostro road trip e non vediamo l’ora di arrivarci! Dopo il solito lungo viaggio in jeep nell’Outback, stavolta lungo “solo” 250 chilometri, giungiamo ai confini del parco nazionale. Qui dobbiamo salutare Choko e affidarlo per qualche giorno a un dog sitter. Per lui come per tutti i cani ne è vietato l’ingresso e con una grande carezza lo salutiamo. Torneremo a prenderlo una volta finito il tour del Kakadu, più o meno tra tre giorni.
kakadu National Park
Trekking nel Kakadu
Dopo un facile ma affascinante trekking tra bush, boschi e alte rocce giungiamo in un luogo magico. Visitiamo delle antichissime incisioni rupestri aborigene di epoca preistorica. I muri rocciosi del sito di Ubirr mi lasciano con la bocca spalancata dall’emozione. Antichissimi disegni risalenti a 20.000 anni fa, ricoprono ogni angolo di roccia. Molti aborigeni di oggi credono che queste pitture rupestri siano state realizzate dagli spiriti Mimi, per illustrare agli uomini le leggende della creazione e lo sviluppo della legge aborigena.
Disegni rupestri
Disegni rupestri aborigeni
Trekking nel Kakadu
La sera ci accampiamo insieme ad altri viaggiatori vicino alla riva di un fiume molto inquietante perchè abitato da coccodrilli. Il consiglio di una guardia forestale è quello di dormire in una tenda sospesa da terra in modo da non essere “visitati” nella notte dai feroci rettili che potrebbero allontanarsi dal fiume per cacciare. Ma non disponiamo di quel tipo di tenda e la guardia ci tranquillizza suggerendoci di accamparci qualche decina di metri più in là, distanti dalla riva del fiume e più addentrati nella foresta. Montiamo la tenda accendiamo un fuoco e ci godiamo il silenzio delle prime luci della notte. Ma il momento più meraviglioso giunge una volta il spento il fuoco… Per fortuna la notte non è fredda come le precedenti nel deserto e decidiamo di dormire senza il telo protettivo. E’ bellissimo! Sdraiato nel sacco a pelo guardando in alto posso vedere le stelle, la via lattea e le costellazioni sparse nell’universo. Mi addormento cullato da un’atmosfera suggestiva che alleggerisce i miei pensieri. Ma in piena notte mi risveglio, disturbato da un concerto di suoni mai sentito. Forti versi somiglianti a gatti arrabbiati fuoriescono dalle bocche di grossi pipistrelli. Forti ululati di dingo riecheggiano nella jungla australiana. Migliaia di insetti cantano e uccelli notturni gridano come fossero in una piazza affollata nel pieno giorno. Sento dei passi a pochi metri dalla tenda ma il buio è talmente fitto che non riesco a vedere nulla. Riesco a sentire anche il respiro dell’animale! ma niente il buio ostacola la mia vista. Poco più in là assisto ad un inseguimento in piena regola tra un predatore ed una preda… o più prede e più predatori… chissà! Purtoppo non riesco a vedere nulla ma solo a percepire ed immaginare quello che sta succedendo a pochi metri da me. Sono talmente eccitato che non riesco più a chiudere occhio. Passo la notte in bianco sperando di vedere qualcosa, una sagoma o una presenza. Ma non riesco a vedere nulla… ma sono al settimo cielo! Marco, Giorgia e Nicolas dormono come ricci e non sanno la meraviglia che si stanno perdendo. Resto sdraiato a pancia in giù e sorridendo mi guardo intorno felice. Penso: Passano le ore e sono felice. Non voglio riaddormentarmi perché so che ad uno spettacolo del genere non assisterò mai più. La natura della jungla australiana mi sta regalando una notte indimenticabile. Giunge l’alba con i suoi primi raggi di sole e i primi cinguettii dei pappagalli. Svaniscono gli ululati e i versi tenebrosi dei pipistrelli. Spariscono i rumori degli inseguimenti tra prede e predatori ma resta dentro di me l’emozione di una notte magica passata a sognare ad occhi aperti la vita notturna della foresta del selvaggio Kakadu. La ricorderò come una delle notti più belle di tutta la mia vita.
Navigando tra i Billabong
La mattina dopo aver smontato la tenda ci incamminiamo verso il fiume e le sue paludi. Nella jungla di palme e bush, sorgono billabong di acqua torbida. Paludi inquietanti che solo a guardarle mettono soggezione. Dopo una notte meravigliosamente insonne tra versi selvaggi e stelle, il sole riflette i suoi raggi sull’acqua, mostrando la sagoma scura di chi inquieta e riempe di fascino il nord australiano. Sopra una barca navighiamo per le paludi ammirando incantati e rispettosi il vero re di queste terre. Sua maestà il coccodrillo.
Ne vediamo a dozzine galleggiare e altrettanti riposare sornioni sulla riva del fiume tra i canneti. Intorno a loro centinaia di splendidi esemplari di uccelli marini che leggiadri si muovono tra le ninfee. La sera torniamo a prendere Choko il nostro cane viaggiatore. L’abbraccio con Giorgia e Marco è commovente! Salutiamo il Kakadu ringraziandolo per l’incontro con le tribù aborigene primitive, con sua maestà il coccodrillo ma sopratutto per la notte indimenticabile che mi ha fatto passare tra la sua natura più selvaggia. Kakadu Non ti dimenticherò mai.
Sono pronto ad affrontare il mio viaggio “on the road” che da Perth mi condurrá fino a Cairns percorrendo mezzo territorio australiano. Un viaggio lungo un mese che mi porterá ad attraversare tre stati: Il Western Australia e le sue coste selvagge, il Northen Territory con i suoi coccodrilli, e il verde Queensland. Dormirò in tenda vagabondando nel bel mezzo del mitico deserto dell’Outback. Uno dei roadtrip più selvaggi al mondo lungo più di diecimila chilometri!
Il Percorso
CI SONO!
Dal finestrino dell’aereo finalmente intravedo la terra e le luci accese della cittá. Dopo ore ed ore sto per atterrare a Perth in Australia! L’emozione inizia a salire facendomi dimenticare la stanchezza derivata dal lungo viaggio di 25 ore in aereo ( tra scali vari) dalla ormai lontanissima Milano . Atterro intorno a mezzanotte e come nei docufilm di dmax affronto il mio “airport security”. Davanti a me tutto è uguale a quello che si vede in tv. Poliziotti enormi quasi disumani attendono i passeggeri pronti a sbarcare nella terra dei canguri. Passo i controlli con tempi lunghissimi… All’esterno dell’aereoporto mi attende una sorpresa graditissima: mia sorella Giorgia insieme a Marco il suo ragazzo. Loro vivono qui, e venirli a trovare è il motivo principale della mia visita in questo lontano continente, insieme all’attravrersata dell’Outback. Prima di abbracciarli, Giorgia mi apre un telo con scritto “Welcome in Australia Ale “ . wow! Rivederla dopo cinque mesi è un’emozione enorme… pari e forse superiore a quella di toccare per la prima volta il suolo australiano.
Welcome!
Dopo un sonno rigeneratore, di buon mattino usciamo per fare un giro esplorativo della città. Fa freddo! Qui è pieno inverno e soffia un vento fresco e fastidioso. Ogni tanto cade qualche goccia di pioggia. Con mia sorella e Marco cè anche Nicolas, un ragazzo veneto che farà il Roadtrip insieme a noi. Simpaticissimo e alla mano. Saremo un bel team esplorativo! E poi cè lui.. il cane Cioko! Un cucciolo di 3 mesi che mia sorella ha deciso di adottare dopo aver concluso il lavoro in una farm del posto. Si perché Giorgia, Marco e Nicolas vivono qui in Australia e lavorano un po’ dove capita tra una farm e l’altra.
PERTH
Perth è la capitale del Western Australia. In passato questo territorio era occupato dalla tribù aborigena degli Nyoongar di cui si hanno tracce risalienti fino a 40000 anni fa. La città è molto accogliente, si affaccia silenziosamente sulla laguna dell’oceano indiano riflettendo nell’acqua l’ombra dei suoi nuovi grattacieli. Pochi per fortuna! Più che altro palazzoni. Da amante della natura chiedo di essere accompagnato in qualche quartiere con poco cemento.
Parco Botanico
Lookout Perth
Giungiamo al giardino botanico, dove oltre ad ammirare centinaia di specie di piante australiane, cè un grande lookout dove posso osservare tutta Perth nel suo splendore dall’alto di una collina. Ricomincia a piovere e non smetterà più fino a sera. Mi proteggo con il cappuccio del mio giubbotto. Qui la gente mi sembra un po’ strana. Quando la incroci per strada ti saluta con un << Hy, how are you? >> e poi se ne va! << Le prime volte sorpreso da questo loro modo di fare gli rispondevo con << i’m fine and you?>> ma come nulla fosse se ne andavano lasciandomi li di sasso, e ci restavo anche male! Poi una volta capito il loro modo di salutare mi divertivo a chiedere come stavano per poi proseguire per la mia strada. Non ci resto molto tempo a Perth. Il tempo è prezioso e decidiamo di partire subito per il nostro Roadtrip. Disponiamo di due jeep stracariche di bagagli di ogni genere, e stracariche come il nostro entusiasmo! I nostri zaini posti nel bagagliaio proteggono come un muro compatte ceste piene zeppe di cibo, taniche d’acqua, articoli da campeggio e una grande tenda, chiusa in una sacca pesante. Tutto l’occorrente per affrontare un viaggio tosto e privo di comfort, come sarà il nostro.
Wild zone
Indian ocean drive
Partiamo! Uscendo da Perth ci si tuffa subito in Indian Ocean Drive, una strada asfaltata contornata dalla terra rossa desertica e il verde della natura del bush. Un tiepido sole ci bagna ma più di tutte lo fa la pioggia che scende a scrosci forti e improvvisi. Nuvole scure ci accompagnano per tutto il tragitto fino a Banska reserve. Percorriamo i primi duecento chilometri in direzione nord, che sono bastati a farmi innamorare di questa terra. La lunga strada taglia in due la meravigliosa boscaglia australiana chiamata bush. Chilometri infiniti e incontaminati di piante basse che danno vita ad una foresta infinita capace di far invidia alla savana africana. Qui la cosa incredibile, è che appena si esce dalla città immediatamente inizia il nulla! Lo si nota dall’infinità proiettata fuori dal finestrino del fuoristrada su cui seggo, che mi sta trasportando verso l’orizzonte quasi inarrivabile. Più si prosegue e più la strada sembra uguale a quella che si è passata decine di chilometri prima, per proseguire sempre uguale anche centinaia di chilometri dopo.
Accampati
…
La sera giunge in fretta, e già alle 18,30 cala il buio. Ci fermiamo per accamparci montando la tenda in un posto desolato disperso tra la strada e il bush. Ci prepariamo a passare la prima notte soli in mezzo al nulla. Le nubi coprono la luce delle stelle tanto da far apparire ancora più scuro del solito il buio, e il solo guardare all’esterno della tenda mi mette soggezione. Versi di animali provenienti dall’oscurità mi tengono attento per gran parte della notte e il profumo di un mondo lontano da tutto e tutti mi dona quel fascino indescrivibile capace di far capire a pieno cosa voglia significare la parola libertà!
In un istante prendo la decisione di andare a vagabondare per un paio di giorni in Slovenia. Preparo lo zaino, accendo l’auto e in meno di cinque ore parto da Milano per giungere insieme al mio socio Tommaso a Lubiana, capitale della Slovenia.
Fiume
murales
Arriviamo bagnati da una pioggerella leggera che ci accompagnerà per tutto il weekend. Alloggiamo in un ostello a due passi dal centro. Depositiamo gli zaini e iniziamo il tour. Costeggiando il fiume Ljubijanica che bagna tutta la città e proseguiamo verso il centro. Qui camminando per i principali quartieri storici venendo accolti da una bellezza unica, regalata dal misto di medioevo, barocco e di liberty. I ponti sono la vera caratteristica di questa cittadina. Dal nuovissimo “ponte dei macellai” costruito nel 2010 ubicato a due passi dal mercato dei macellai e soprannominato il ponte dell’amore, dove centinaia di innamorati legano un simbolico lucchetto alla ringhiera del ponte. Poi il “triplo ponte” che collega il centro storico alla parte moderna della città concludendo con l’affascinante “ponte dei draghi” la prima opera in cemento armato di Lubiana che quasi spaventa alla vista delle statue dei draghi che appaiono semi reali!
Camminando si resta affascinati da questa cittadina tanto che risulta impossibile non fermarsi per scattare delle foto. Una quiete silenziosa sembra galleggiare dal lento fiume e giungere dritta fino ai ciottoli dei sentieri che compongono gli antichi quartieri. Il cibo da strada è parte integrante della città e il buon vino fa il resto. Dall’alto di una collina il castello di Lubiana osserva e protegge tutta la capitale attirando ogni curiosità verso di se. Naturalmente decidiamo di salire per visitarlo. Costruito più di 900 anni fa viene ora visitato dai turisti per la sua attrattiva principale: la torre. Salendoci in cima si può ammirare la vista panoramica dell’intera Lubiana dall’alto. Uno spettacolo! L’area del castello è stata abitata fin dal 1200 a.c e si pensa che la cima della collina sia stata un accampamento dell’impero romano dopo un periodo celtico e illirico.
Vista dalla torre del castello
Lubiana
La sera Lubiana si sveste dall’abito di cittadina tranquilla per indossare il più caotico e allegro vestito che possiede nell’armadio. Decine di pub colme di gente sorridono alla meravigliosa aria fresca che si infrange festante sui bicchieri di centinaia di cocktail e birre! La mattina dopo proseguo il mio tour visitando il mercato centrale e la cattedrale di San Nicola. Essa è uno dei più bei esempi di arte barocca in Slovenia. Cammino poi verso il parco Tivoli, il più grande parco della città con un’area verde di 510 ettari. Mesti Trg è il cuore antico della città, una piazza contornata da edifici, costruiti dopo il devastante terremoto del 1511, che la decorano donandole un aspetto fortemente barocca.
Biblioteca
Centro città
Unica pecca è stata la mia “non visita” alla biblioteca di Lubiana. Un imponente edificio rettangolare di quattro piani, quattro ali e due cortili interni decorata con meravigliosi mattoni rossi. Al suo interno sono contenuti importanti manoscritti medioevali e stampe rinascimentali, oltre a possedere la più ampia raccolta di letteratura del Paese. Purtroppo gli orari d’apertura non mi sono stati amici e per trovare la biblioteca aperta al pubblico avrei dovuto attendere il lunedi. Beh la userò come una buona scusa per poterci ritornare ancora!
Meravigliato dal fascino malinconico dell’est europeo, torno a visitare Sofia, la capitale della Bulgaria.
La città è circondata dalle montagne, i monti Balcani, e questo colpo d’occhio le dona un vestito verde che non ti aspetti. Dopo aver attraversato con un taxi parte della città, io e il mio compagno di viaggio Tommaso ci rechiamo all’ostello, posto quasi in zona centro. Giusto il tempo di recuperare una cartina della città, ci buttiamo subito zaino in spalla per le vie della capitale bulgara. Le prime impressioni sono le solite di quando si visita una città dell’est europeo. Si percepisce molto il degrado post sovietico e lo si assapora passo dopo passo. Insomma abitazioni e mura grigiastre con intonaci distrutte e mai più ricostruite, fili penzolanti dai pali della luce che attraversano la strada e tante automobili “antiche” che in Italia si usavano negli anni 90… Poi cammino incrociando le mura della vecchia Serdica, la Sofia romana antica, davvero meravigliosa. Accanto moschee e chiese ortodosse. Questo mix di edifici culturali e di periodi storici diversi donano un fascino unico a questa città.
il volto di Sofia
Sofia
Prima di incomiciare il tour, mi fermo a pranzare in un ristorante tradizionale bulgaro. Il cibo è buonissimo! si inizia con della zuppa e si continua con piatti unici di pollo e patate con delle salse bulgare sensazionali! si accompagna il tutto con del pane e con della buona birra.
Il nostro giro inizia con la visita del simbolo della capitale, la cattedrale di Alexander Nevskij. E’ il più importante luogo religioso di Sofia e non a caso è l’unico monumento illuminato anche di notte. Costruita tra fine 800 e inizio 900 in stile bizantino è una delle chiese ortodosse più grandi del mondo. A pochi metri di distanza visitiamo anche la chiesa di Santa Sofia costruita nel IV secolo sui resti di numerose chiese precedenti e della città Serdica (la Sofia Romana)
La cattedrale
La Rotonda di San Giorgio
Con i kiwei fradici sotto la pioggia battente, giungiamo in uno dei punti per me più emozionanti: La Rotonda di San Giorgio. Considerata il più antico edificio di Sofia. Una piccola meraviglia di soli 10 metri quadrati, un tempio pagano poi trasformata in chiesa. Qui di colpo la pioggia smette di cadere lasciandomi immortalare con una stupenda foto le più antiche rovine della città.
La sera visitiamo il quartiere festoso di Boulevard Vitosha e di Utilsa Rakovski ricco di discoteche, ristoranti e tanta movida.
L’indomani con un taxi mi reco a Boyana. un paese alle porte di Sofia poggiato sopra una verde collina. Qui sorge una meravigliosa chiesetta medioevale. Si pensa che, proprio al suo interno, l’arte rinascimentale europea venne dipinta dai suoi primi precursori.
Boyana church
Salgo sulla scalinata di una delle chiese ortodosse medioevali più belle al mondo. E’ patrimonio mondiale dell’UNESCO. La sua fama la deve agli affreschi che contiene al suo interno. Al suo esterno una natura unica di alte sequoie secolari… una meraviglia!
La pioggia non smette mai di cessare ma non mi basta per placare la fame di curiosità. Tornando verso il centro della città rimane da visitare un’altra splendida chiesa anch’essa patrimonio dell’UNESCO. La chiesa russa di San Nicola. Il colpo d’occhio dall’esterno è fantastico! le cinque cupole dorate dominano il vestito della cattedrale che illuminano la sua lucente bellezza. Al suo interno resto ipnotizzato dalla cerimonia religiosa ortodossa. Ne resto cosi tanto affascinato che ci resto dentro per quasi un’ora.. Una cerimonia molto mistica dove i fedeli sono intenti ascrivere bigliettini all’Arcivescovo Seraphim morto nel 1950 ma che in fin di vita espresse il desiderio di continuare a ricervere in modo che lui continuasse a prendersi cura di loro.
Chiesa russa di San Nicola
Resto davvero sorpreso dal fascino di Sofia. Sarà forse per il suo volto timido ma colmo di storie antiche vestite di un malinconico abito dell’est, o per i suoi occhi grigi e freddi che ti ipnotizzano fino a farti innamorare delle sue strade e le sue chiese. Saluto Sofia dandole un bacio sulla guancia promettendole di ritornare, sussurrandole nell’orecchio di non preoccuparsi perché resterà per me una delle più belle “donne” con cui abbia viaggiato nelle mete d’Europa.
Ogni viaggio ha il suo motivo. Ogni luogo da esplorare ha il suo più curioso posto d’attrazione. Io e il mio zaino siamo venuti qui per camminare sulle montagne, nelle foreste e nelle cittadine medioevali giungendo fino al castello di Bran, famoso per la leggenda del conte Dracula.
BUCAREST – La capitale
Il mio viaggio parte da Bucarest storica capitale rumena. Atterro in tarda serata e prima di recarmi all’ostello, insieme al mio compagno di viaggio Tommaso, mi dirigo verso il quartiere di Lipstani. Cammino pregustando i primi istanti nella terra rumena. Mi guardo intorno incuriosito consapevole di visitare una città segnata dal suo recente passato comunista. E’ buio e alcune vie sono segnate dal degrado. Alti palazzoni grigi con le mura rovinate dai segni della povertà, fanno da contorno alla strada sottostante con roulotte e cavi della luce che penzolano dagli alti pali. Per strada poca gente. Ma appena giungo nel quartiere di Lipstani tutto cambia. Musica alta rimbomba per la stretta e lunghissima via della movida rumena dove decine di disco pub e ristoranti fanno da meta a centinaia di giovani e turisti. Rimango piacevolmente sorpreso dalla bellezza dei locali e all’organizzazione. Bevo per festeggiare l’inizio del mio viaggio, brindando alla visita della Transilvania! Tornerò qui a Bucarest tra qualche giorno per visitare, tra le altre cose, un palazzo del XV secolo chiamato Curtea Veche, dove regnò il principe Vlad III, soprannominato l’impalatore… ma questa storia ve la racconterò più avanti…
Bucarest zaino in spalla
Bucarest
DA BUCAREST VERSO BRASOV
Di buon mattino con un bus, giungo in stazione centrale per salire sul treno che mi condurrà nella mistica regione del conte Dracula. Mi attende un viaggio verso la Transilvania lungo all’incirca 200 chilometri. Ne approfitto per scrivere, restando affascinato dalla natura di questa terra che si intravede scorrere dal finestrino.
Il treno per Brasov
Lungo un antico sentiero medioevale che dalla Valacchia porta alla Transilvania, in località Sinaia, sorge il Castello di Peles. Costruito in stile neo rinascimentale tedesco, venne eretto come residenza del Re di Romania nel 1873. Alla stazione di Sinaia scendo, e con il mio zaino in spalla percorro in salita un’altura che dopo un chilometro mi porta davanti al maestoso castello. Il colpo d’occhio è fantastico. Il bianco del castello risalta il colore verde della montagna. Le sue forme lo rendono il più bello dei 103 castelli esistenti in tutta la Romania. All’interno la ricchezza non si spreca.
Castello di Peles
Castello di Peles
BRASOV
Riparto in treno da Sinaia in direzione Brasov. Osservo la foresta dal finestrino, alberi che si arrampicano sulle montagne, qualche tetto di casa a forma di cono e poi ancora foreste… non a caso Transilvania vuol dire “oltre la foresta”. A Brasov i miei occhi si inebriano di colori e bellezza. E’ una cittadina bellissima e molto accogliente. Camminando per le sue vie si è rapiti dalla visuale dei Carpazi che la circondano e dalle tante abitazioni colorate in stile barocco. Alzando lo sguardo verso il cielo poi, nuvole bianchissime riflettono la luce calda del sole illuminando l’aria limpidissima di montagna. Una vera e propria perla della Romania. In città pregusto i piatti tipici rumeni davvero squisiti e visito la chiesa nera in stile gotico. Ma questa è solo la porta principale della Transilvana… L’indomani di buona mattina, prenderò un bus che in mezz’ora circa mi porterà a Bran ai piedi del famoso castello di Dracula…
Io e Tommaso a Brasov
Brasov
CASTELLO DI BRAN
Finalmente giungo a Bran, il paese del conte Dracula. Mi aspetto di trovare un’atmosfera lugubre e tetra con tanto di ululati, pipistrelli in volo e cielo tempestoso. Ma al mio arrivo rimango un pò deluso, ritrovandomi in un luogo si meraviglioso, ma “non pauroso”. Non so se sia stata una mia fortuna capitare qui in una splendida giornata di sole!… Già perchè il sole toglie quell’alone di mistero che dovrebbe invece accompagnare la visita di questo mistico castello… Ma qui lo scrittore Bram Stoker in una grigia giornata d’inverno, fu ispirato nel creare il personaggio di Dracula. Non c’è nessuna nuvola grigia in cielo, ma il fascino della Transilvania, delle sue fitte foreste e del potente Vlad III l’impalatore, rendono questo castello il più affascinante di tutti. Insomma… C’era una volta il conte Dracula…
Castello di Bran
Interno del castello
In serata torno a Brasov, ma l’indomani faccio ritorno a Bucarest. Qui non può mancare il classico giro in bici per la città. Visito i monumenti principali tra cui il parlamento. Ma la vera attrattiva qui è la “Curtea Veche”. Mi blocco sofferandomi davanti alla residenza di Vlad III, il temuto impalatore di turchi. Le rovine dell’abitazione e la sua statua, riescono a trasmettermi quel fascino terrorizzante che dalla Transilvania giunge fino qui a Bucarest.
Curtea Veche
Concludo il viaggio portandomi dentro la bellezza di questa terra. I colori di Brasov, le fitte foreste che si arrampicano sui Carpazi e i suoi tanti castelli, dipingono una meravigliosa natura mischiata alla storia. Forse è proprio questa la formula perfetta che da origine alla sua misticità. Una formula magica che ha trasformato il temibile Vlad III, realmente esistito, famoso per la sua terribile fama di impalare le teste dei nemici turchi nelle foreste cupe di Valacchia e Transilvania, in una figura inventata ma altrettanto terrificante come il conte Dracula. Cosi facendo ha reso immortale la sua anima, che vive qui, come fosse parte integrante di questa terra. Qui lo si percepisce… Impossibile restare indifferenti alle foreste incontaminate e cupe che fanno ombra a misteriosi castelli. Li oscurano cosi tanto da far svolazzare intorno pipistrelli che anche se non si vedono appaiono nei nostri pensieri.
Dici e pensi a Madrid e la prima cosa che ti viene in mente è la parola “movida!”… Ma vi assicuro che c’è molto altro…
Alloggio in un quartiere poco lontano dalla stazione dei treni di Atocha e ogni giorno a piedi con il mio immancabile zaino in spalla, macino chilometri per esplorare la calorosa città.
Camminando…
Nada!
Ma questo mio diario voglio iniziarlo al contrario, ovvero dalla “noche”… Tutto inizia al tramonto camminando affamati, attirati dalle luci e i profumi dei suoi ristoranti. Come tori attratti da un panno rosso, si finisce al loro interno gustando tapas, paella e sangria. L’atmosfera spagnoleggiante fa il resto, riempiendo l’arena notturna dei locali madrileni di gente. Ha ufficialmente inizio la movida, dove non solo panni rossi ma di ogni colore, fanno ballare insieme tori, toreri e ballerine…
Di giorno il suo fascino è quello di una città elegante, vestita sempre con abiti colorati ma con quello spiccare di rosso e giallo in più. Camminando per le sue caratteristiche vie, si percepisce subito di essere nella calorosa Spagna. il bello di questa città è che nonostante contenga molte infrastrutture moderne sia comunque riuscita mantenere intatta la sua storia e originalità.
Plaza Major
Muy bueno!
Appena si giunge qui non si può non recarsi nella Plaza Major. Di forma rettangolare e attorniata da porticati, è la piazza principale della città. Dopo una stancante camminata zaino in spalla bisogna recarsi allo storico Mercado de san Miguel! uno dei pochi mercati coperti di Madrid in stile Liberty, dove tra i vari prodotti tipici si può assaporare il mitico Jambon Iberico e il Pata Negra… non cè nulla di meglio di un bel panino per integrare la fame di curiosità.
Parque de Retiro
Madrid è una città verde piena di parchi tra cui il Parque del Retiro. Al suo interno un enorme giardino lo attraversa, e un grande lago artificiale fa da specchio al monumento ad Alfonso, principale punto d’interesse del parco. Io e i miei compagni di viaggio specchiandoci nel lago, ammiriamo in lontananza l’immagine imponente del monumento. Ma ricordandoci di essere nel paese della “fiesta” posiamo gli zaini e ci rechiamo ad un cherenguito per sorseggiare altra sangria!
Girovagando per le affascinanti vie, giungiamo davanti al più antico ristorane del mondo: il “Sobrino de Botin”. La sua nascita è datata 1725. Purtroppo possiamo solo guardarlo da fuori perché i prezzi all’interno sono inaccessibili per noi!!!
Palacio Real
La noche!!!
i giorni successivi mi reco in uno dei più imponenti e splendidi palazzi d’Europa: il Palacio Real, residenza ufficiale del Re di Spagna. Al suo interno immense sale, quadri, statue e tanta ricchezza sanciscono quella che era ed è la potenza dei reali di Spagna. Davvero affascinante. La cosa che più inorgoglisce è che la maggior parte delle sue opere d’arte sono create dalla mano di artisti italiani. Vi sono pitture del nostro Bernini e una sala contenente una collezione unica di violini costruiti dal nostro Antonio Stradivari.
Il museo del Prado completa la vena artistica della città. Al suo interno uno dei miei quadri preferiti: Il Giardino delle delizie la più famosa opera del pittore Bosch. Il dipinto raffigura tre scene che da sinistra verso destra rappresentano l’umanità. Nel primo riquadro vi è la creazione con un giardino dell’Eden rigoglioso e Adamo ed Eva, nel pannello centrale figure di uomini e donne nude, animali immaginari, frutti e nel pannello di destra vi è rappresentato l’inferno con demoni e la natura distrutta. Secondo l’immaginario di alcuni, l’autore vuole ammonire l’umanità per aver portato il mondo da un giardino meraviglioso qual’era ad una prossima distruzione… attraverso i suoi vizi, il suo capitalismo, le guerre e l’inquinamento… Un quadro che non smette di apparire nella mia mente. Dovremmo tutti possedere una sua copia sul nostro comodino e ammirarlo ogni mattina e sera. Ma sopratutto dovrebbero vederlo i potenti della terra che senza scrupoli ci stanno portando verso il terzo pannello di quel quadro. Vi lascio con sua l’immagine sperando che serva come riflessione per migliorare la vita del nostro splendido pianeta. Buena vision…
“Il Giardino Delle Delizie” esposto al museo del Prado
E’ forte la mia curiosità per la capitale tedesca. Curiosità derivata dalla sua grande storia. Una fama che l’ha resa protagonista durante la seconda guerra mondiale ma sopratutto dopo, con la costruzione del suo famoso muro. Ora zaino in spalla. Non vedo l’ora di esplorarla!
Giungo a Berlino ed immediatamente la sua grigia atmosfera tipica delle città del nord mi colpisce. Alloggio in zona centrale. il mattino faccio colazione allo Starbucks con del caffè “quasi” buono. Siamo nel mese di Aprile qui fa freschino, e qualche nuvola ricopre la città. Nonostante ciò io e i miei due compagni di viaggio Maria e Cristian, affittiamo delle bici e insieme pedaliamo percorrendo parte della città. Non cè niente di meglio nell’abbinare la fame di conoscenza ad una sana pedalata! saliamo in sella facendo tappa presso i più importanti monumenti storici. La porta di Brandeburgo, il palazzo del Reichstag, il monumento ai caduti ebrei. Qui però inizia a pervadere un senso di tristezza e malinconia che fa pensare alle vittime della guerra e alla maledetta dittatura che l’ha dominata.
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Davanti al Kaiser-Wilhem-Gedachtniskirche ( vecchia chiesa rovinata dai bombardamenti della guerra) pranziamo con patate e carne. Ammirandola si nota il contrasto tra la rovine antiche e la parte moderna della città. Questa chiesa è una chiara testimonianza degli orrori della seconda guerra mondiale.
Chiesa bombardata
Fiume Sprea
Costeggiamo il fiume Sprea, che ai tempi sostituiva il muro che delimitava il confine tra l’est e l’ovest e giungiamo nel luogo che mi ha suscitato il bisogno di “venire” a Berlino. Finalmente davanti ai miei occhi appare “Il muro” o perlomeno quello che ne rimane… per fortuna! Da lontano appare come un semplice muro di cemento armato, ma più ci si avvicina e più si percepisce dentro una sensazione di “freddo”. Già, proprio come la guerra che da anni ha contrapposto le due superpotenze mondiali, che poi si sono spartite in due fette la città sconfitta.
Muro di Berlino
Muro di Berlino
Su di esso dei murales colorati tentano di far riaffiorare felicità laddove si era persa per per decenni. Devo ammettere che in alcuni tratti ci riescono in pieno, come nel punto dove vi è rappresentato il bacio tra Regan e Gorbaciov. Ma nella maggior parte del suo percorso no… Vi sono dei punti, con delle targhe commemorative con incisi i nomi e le storie di uomini, donne e bambini caduti, che dal versante ovest verso est o viceversa tentavano di oltrepassare il muro. Tutto questo mette i brividi. Noto una netta differenza tra la parte est (ex russa) costituita da vecchi palazzi e la ovest ( ex americana) molto più nuova e modernizzata. la differenza la si vede ancora oggi da una facciata all’altra del muro. Dalla parte sovietica non vi è traccia di disegni e colori mentre in quella americana i murales ne dominano la scena. Questo perché la vecchia dittatura comunista dell’est non permetteva nessun tipo di disegno sul muro.
La sera però Berlino lascia a casa quel suo velo di malinconia trasformandosi in una delle città più allegre e festose d’europa! Alexanderplatz è uno dei centri di festa e noi la abbracciamo mangiando wurstel, crauti e bevendo birra! I giorni successivi visito la più importante chiesa della capitale tedesca : Il duomo di Berlino. Finalmente un tiepido sole illumina scaldando l’anima della fredda città. Camminando mi reco presso lo storico Checkpoint Charlie , un importante posto di blocco situato tra il settore sovietico e quello statunitense.
Duomo
Checkpoint Charlie
Venne istituito nell’agosto del 1961 in seguito alla costruzione del muro di Berlino per permettere il transito del personale militare delle forze alleate, del personale militare sovietico di collegamento, del personale diplomatico e dei visitatori stranieri. Qui ora è possibile fare delle foto con dei “veri finti” soldati americani che restano in piedi sull’attenti nel vecchio posto di blocco. Tutto questo perché a pochi metri si trova il “museo del muro” che visito interessato.
Resti del muro sono presenti in gran parte della città ed è giusto che siano ancora visibili. Penso che le generazioni future debbano sapere cosa sia accaduto qui in passato, in modo che questo scempio non accada mai più. Venire qua e pensare che fino a pochi anni fa questa città venne divisa da un muro per i capricci di guerra fa rabbrividire. Un muro lo si immagina come un qualcosa di protettivo ma non di divisorio. Ora vedere il muro crollato mi fa sentire sollevato. Nonostante il suo passato burrascoso Berlino è una delle città più vive d’europa. Non bellissima ma parecchio affascinante e molto malinconica. La storia dell’umanità è passata da qui con le sue sfaccettature grigie che ora si stanno colorando, dipingendo di vita le pareti di cemento del suo muro.
E’ il giorno del mio compleanno. Che fare se non regalarsi un bel viaggetto? eh già… Prenderò un aereo per recarmi nella verde Irlanda con destinazione Dublino. Ma a pensarci bene però, non credo sia tanto “verde” in questo periodo dell’anno… è il 10 dicembre e il bianco del gelo ne avrà preso il sopravvento.
Atterro e subito il mio “non buon” inglese si scontra con il complicato slang irlandese. Chiedo indicazioni per arrivare al mio dormitorio. Ma me la cavo giungendo sano e salvo nel mio albergo/ostello. La prima impressione che ho con la città è molto positiva. Mi piace! cammino in una tipica cittadina britannica attraversando un quartiere con case basse colorate, simpatici uomini dai capelli arancioni e tanti pub. Il classico clima british dona il carattere alla città, e alzando la testa grandi nuvole grigie coprono un timido ma caldo sole. Sono fortunato perché nonostante sia dicembre, qui la temperatura non è bassa come al solito.
Per le vie
Quartiere Temple Bar
Cammino costeggiando il fiume Liffey che taglia in due la città. Dublino è soprannominata anche la città dei ponti. Nel pomeriggio incontro un gruppo di amici con cui avevo puntello dall’altra parte del fiume. Ma per incontrarli devo attraversare uno dei suoi ponti principali: O’Connel Bridge. Con loro mi reco subito nel luogo che negli ultimi anni sta attraendo gente da tutto il mondo: Il Guinees Storehouse. La fabbrica e museo della birra Guinees! Qui ci passo quasi mezza giornata, e quando usciamo fuori è già buio.
Entrata Guineess storehouse
Interno Guineess Storehouse
Dopo aver fatto il tour completo e sorseggiato diverse qualità di birre non ancora appagati ci spostiamo nei quartieri del centro. Già perché cè il mio compleanno da festeggiare e il mitico pub TEMPLE BAR sembra il posto ideale! Il mio regalo perfetto. La sera i ponti si illuminano donando a Dublino un fascino unico al mondo. Resto a bocca aperta dalla semplice bellezza di questa piccola città. basta poco per innamorarsi di lei.
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O’Connel Bridge
Il giorno dopo facciamo colazione con un tipico brunch irlandese composto da carne, uova e verdura. Con lo zaino in spalla ripartiamo per il tour esplorativo per le vie della città. Passiamo dalle due meravigliose cattedrali St’Patricks e Christ Church Catedral, il castello di Dublino, il Trinity College. fino ad addentrarci nel secondo parco più grande d’Europa il Phoenix Park. Qui finalmente il verde regna sovrano. Certo non è paragonabile al verde del resto dell’Irlanda che ahimè in questo piccolo viaggio non riuscirò a vedere.
Phoenix Park
Monumento Phoenix Park
Il capitolo finale del mio racconto però, voglio dedicarlo al ponte più importante della città dei ponti: il piccolo Ha’Penny Bridge. Il primo ponte di Dublino. Il suo nome è dato dal costo del pedaggio che ogni uomo pagava per passare da una sponda all’altra del fiume! un penny. Un ponte storico che lo rende l’icona di questa meravigliosa città.
Saluto Dublino portandola nel cuore. E’ senza dubbio una delle città più belle che abbia visitato. Il suo stile british senza grattacieli e palazzoni, i suoi contenuti storici, la sua natura e la sua gente la rendono più allegra di quanto si pensi. Al contrario di altre città del nord racchiude un animo caldo che ti rapisce fin dal primo passo mentre si cammina nei suoi vicoli. Dispiace andarmene e non continuare il mio tour irlandese ma userò la mancanza attuale di tempo come una buona scusa per tornarci presto.
E’ la stagione più fredda per visitare la Scozia ma rinunciare al fascino di questa terra nordica ricoperta di neve e ghiaccio è praticamente impossibile. Volevo festeggiare il giorno del mio compleanno in una terra ricca di storia e natura e completare il tutto con la classica ciliegina sulla mia torta. Recarmi da Nessi nella sua misteriosa dimora: il lago di Loch Ness.
EDIMBURGO
Arrivo a Edimburgo e davanti ai miei occhi innalzato su un alto sperone di roccia appare imponente il suo castello. Il colpo d’occhio è unico. Ci si sente piccoli piccoli di fronte al simbolo del regno scozzese. Il castello data la sua posizione domina il panorama della città. Lo osservo tornando con la mente indietro nel tempo immaginando gli attacchi dei soldati inglesi intenti a conquistare la fortezza scozzese.
Castello di Edimburgo
Castello di Edimburgo
Qualche metro più in là del castello cè l’ostello che ospiterà me e i miei compagni di viaggio Tommaso, Alessandra e Chiara per quattro giorni. Trascorriamo i primi due giorni visitando la città recandoci all’interno del castello, nella vecchia old town e arrampicandoci sulla collina di Arthur’s Seat dove giunti in cima si ammira tutta la città dall’alto. La sera invece girovaghiamo nei molti pub, fino alla mezzanotte tra il 9 e il 10 dicembre
quando felice festeggio il mio compleanno tra birra, kilt e cornamuse… ma restando sobrio perché l’indomani bisogna svegliarsi presto per affrontare l’escursione che ci porterà tra le selvaggie Highlands fino a Loch Ness.
LOCH NESS E LE HIGHLANDS
Finalmente arriva il giorno più atteso. Cosa cè di meglio nel festeggiare il giorno del mio compleanno girovagando per le Highlands innevate fino a giungere al più mistico dei laghi del mondo? Credo nulla. Fin da piccolino ero affascinato dal mistero che avvolgeva quel lago. Mi bombardavo di documentari e leggevo libri e racconti riguardanti Nessi.. si proprio lui Il mostro di Lochness. Mi ero sempre promesso che un giorno sarei andato a vedere con i miei occhi la sua casa. Questo stretto e lungo lago profondo fino a 230 metri circondato dalle cupe e silenziose Highlands.
Uno dei luoghi più mistici del nostro pianeta che ha suscitato da sempre in me curiosità e ispirazione.
Le selvagge Highlands
Parto da Edimburgo alle 7,45 con il buio della fredda mattinata scozzese, insieme ai miei compagni di viaggio. Saliamo su un bus che ci condurrà a Loch Ness attraversando per trecento chilometri le meravigliose Highlands.
Dopo un’ora e mezza circa ci ritroviamo nel bel mezzo della natura più selvaggia.
Il gelido cielo si veste di blu con il bianco ghiaccio che copre la terra, disegnandone la bandiera scozzese. Paesini dispersi tra cornamuse, alberi imbiancati, e gelide acque nebbiose dei laghi, danno origine alla vita selvaggia delle Highlands.
Rimango affascinato e innamorato da questo paesaggio colmo di una natura selvaggia incontaminata.
un silenzo interrotto solo dai fischi leggeri del vento nordico domina la valle di prateria, una volta abitata da William Wallace e i suoi uomini, tanto che con l’immaginazione riesco a intravederli intenti ad affilare le loro armi.
Si percepisce nell’aria un profumo di storia vissuta. il profumo dei combattimenti per liberare la terra dagli oppressori inglesi mischiata all’odore selvaggio della natura. Un mix perfetto per me, capace di mandare i miei sensi e le mie emozioni in estasi..
Bandiera nelle Highlands
Verso le 12,00 giungiamo sulle rive del Loch Ness e il mio cuore fa un altro battito in più.
La nebbia sembra nascondere il mistero di Nessi e il ghiaccio congela la voglia di ogni uomo nel cercare la sua presenza tra le gelide acque.
Ma la suggestione che dona questo lago porta ogni uomo a immaginarne la sua presenza tra le onde e i riflessi di luce che giocano insieme sulla superficie dell’acqua.
Tanto che ad un certo punto mi sembra di vederlo. Un’ombra scura che di colpo scompare immergendosi verso il fondo del lago. Attendo qualche minuto ma l’ombra sembra non ritornare più su..
Mi guardo intorno sorridendo, pensando che forse Nessi sia salito per un istante in superficie per salutarmi e farmi gli auguri di buon compleanno..
Lo racconto agli altri ma.. non mi credono..
Ma io voglio sognare e crederci un pò..
Grazie per gli auguri Nessi …;)
SAINT ANDREWS
Il mattino seguente prendiamo il treno che dalla stazione di Edimburgo ci trasporta sulle coste del mare del nord.
I treno si addentra in paesini dispersi tra alberi imbiancati di neve e bianchi mulini a vento. Alla fine della sua corsa ci attende la stazione di Leuchars. Da qui un bus che fa capolinea a Saint Andrews, una città famosa per la sua università e la sua cattedrale che domina la baia, costruita cosi a picco sul mare che sembra sfidare le onde e i forti venti glaciali provenienti da nord.
Seguendo il silenzio del lungomare, giungo sulla spiaggia per ammirare la gelida bellezza del mare del nord. Qui il rumore delle onde e il fischio freddo del vento, mi fa raggiungere la pace dei sensi con la natura. Completo il mio orgasmo naturalistico alzando lo sguardo ammirando le nuvole che come isole fluttuanti galleggiano nel cielo scozzese.
Ma di tutto questo meraviglioso viaggio, ricordo piacevolmente il mio strano incontro fatto con un libro posto su uno scaffale in un pub di Edimburgo. Non so come sia potuto accadere, ma il destino ha fatto in modo che proprio dietro le mie spalle, poggiato sullo scaffale di legno, era “sepolto” da altri libri in lingua inglese un romanzo intitolato “BREEZE” … nome che dà il titolo anche al mio di romanzo!
Breeze il libro sullo scaffale
Breeze
Un brivido freddo mi pervase e una lacrima mi scese dal viso… Ero fortemente emozionato. Lo afferai e iniziai a sfogliarlo e con mio grande stupore notai che nel sottotitolo vi era la scritta ” Wild” e al suo interno disegni di terre selvagge e animali selvatici.. Tutte cose che amo più della mia vita… A quel punto iniziai a pensare, sognando che probabilmente qualche buona anima l’aveva riposto li sapendo che un giorno io l’avrei notato. Ripensai “Forse questo libro che ho trovato qui per caso lasciato da qualche sconosciuto, vorrá trasmettermi qualcosa”. Beh, lo leggerò e poi vi farò sapere…
Muscat. Capitale dell’Oman. La città sorge sul golfo dell’Oman ed è circondata solo da montagne e deserto.
Camminando per le vie della città noto immediatamente che l’antica tradizione araba ha preso il sopravvento sulla ricchezza derivata dal petrolio.
Mi aspettavo di entrare in una città araba come Dubai, Abu Dabi o Doha ormai sopraffatte dai milionari soldi dell’ oro nero che ne hanno cambiato per sempre la loro immagine.
Oman
Oman
Invece con mio sorprendente stupore noto che nessun grattacielo si innalza tra la sabbia del deserto, ma solo case basse bianche, tipiche della tradizione araba.
Addentrandomi nelle viette della vecchia old town l’odore di incenso soffoca i miei pensieri.
Cammino fino al porto entrando in una grande piazza rettangolare sulla quale si affaccia il Palazzo del Sultano.
Qui però la prima cosa che balza agli occhi è la grande ricchezza di cui è costituito il palazzo. Le colonne della sua facciata sono arrotondate e il colore che lo decora è l’azzurro e il color oro. Uno spettacolo d’architettura costruito circa duecento anni prima dal Sultano Bin Ahmed.
Socchiudo gli occhi restando ipnotizzato dalla voce che fuoriesce da un altoparlante, che leggera rimbalza nella piazza fino alle mie orecchie. E’ La voce di un Imam che prega, rendendo questo luogo davvero magico.
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Giungo finalmente alla grande Moschea del Sultano. Il colore bianco delle mura domina la scena, trasmettendo a tutti una sensazione di purezza. Una grande cupola contornata dal color dell’oro rende al sito religioso potenza e ricchezza.
La moschea è di costruzione recente terminata nel 1996.
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Prima di entrare, degli addetti alla moschea, mi consegnano una tunica da indossare.
È di colore grigio e mi copre ogni parte del corpo esclusa la faccia. Copre sopratutto i miei tatuaggi non benvenuti all’interno della casa di preghiera islamica. Infine Prima di entrare mi tolgo le scarpe. Ora sono finalmente pronto mentalmente, ad addentrarmi in quella mistica atmosfera..
Sembra di essere immersi in un atmosfera fiabesca tipica delle storie de Le Mille e una notte..
Faccio il giro di tutta la Moschea circondata da cinque minareti simbolo dei cinque pilastri dell’Islam:
1- Le testimonianze di fede
2- Le preghiere rituali
3- l’elemosina
4- Il digiuno durante il mese di Ramadan
5- Il pellegrinaggio a La Mecca
sala degli uomini
sala degli uomini
Attraverso la cosiddetta stanza delle donne ed entro in quella degli uomini famosa per aver al suo interno il secondo tappeto più grande al mondo e il lampadario più grande, interamente costituito da cristalli di Swarosky. La guida mi racconta che l’imponente tappeto di oltre quattromila metri quadrati è stato annodato a mano da seicento donne in soli quattro anni di lavoro.
Rimango affascinato dalla bellezza della moschea, un luogo magico, mistico e meraviglioso.
moschea
sultano
L’Oman è uno degli stati arabi ancora non “rovinati” dai profitti derivati dal petrolio.
La sua natura è ancora intatta come le sue tradizioni, e lo rendono uno stato tra i più affascinanti ed accoglienti d’Arabia. Tutto questo grazie al loro Sultano che non si è fatto abbindolare dalla ricchezza sfoggiata dagli sceicchi suoi vicini di casa degli Emirati Arabi che per attirare turismo hanno costruito cemento su cemento, sfidando e superando ogni record del mondo. Così facendo hanno portato si del benessere al loro popolo, ma hanno cancellato per sempre i veri valori e le tradizioni arabe che unite alla natura selvaggia di questa arida e rovente terra lo rendono uno dei luoghi più affascinanti del mondo. Un pezzetto di cuore io lo lascio qui, tra le terre selvagge e ricche di storia dell’Oman.
Eccomi ad Abu Dhabi la capitale degli Emirati Arabi. Una città affascinante, ancora non del tutto costituita da grattacieli e cemento. Questo la rende ai miei occhi, una piacevole città da esplorare. Si può definire un misto tra la bellissima Muscat in Oman e la super innovativa Dubai. Qui negli Emirati, Il giallo del deserto ne domina il territorio, ma appena si entra in questa città non si può non essere rapiti dal colore bianco della moschea più grande d’arabia: la “White Moschee”. Costruita di recente, terminata nel 2007. Può ospitare fino a 41000 fedeli.
white moschee
white moschee
Entro in questa moschea indossando una tunica bianca che mi rende parte integrante di essa… anche qui come in ogni sito religioso del mondo, noto la grande ricchezza dei materiali con cuoi è costruita. Il tappeto più grande del mondo, lampadari di Swaroswi ecc.. Inoltre i 99 nomi di Dio nel Corano sono presenti sul muro di Qibla… e all’interno un Imam canta preghiere islamiche, rendendo questo luogo più mistico del solito. Davvero emozionante… Esco dalla Moschea arricchito e ancor più consapevole che ogni religione merita di essere rispettata per le sue tradizioni e i suoi affascinanti ideali. Il giorno successivo navigo nel Golfo Arabo fino ad attraccare nell’isola di Sir Bani yas.
sir bani yas
E’ un isola naturale dove si possono incontrare più di trenta specie di animali in libertà che vengono salvaguardati dall’uomo. Si può navigare in kayak e assistere al volo di fenicotteri, cormorani, codoni, aironi grigi e l’uccello più simbolico… l’orice d’Arabia. Poi tartarughe di mare, gazzelle, antilopi, e pecore. Adoro quest’angolo selvaggio d’Arabia!
Con il mio zaino mi addentro nel deserto Arabico dove incontro branchi di cammelli, isolati arbusti, rocce e alte dune. Un oceano di sabbia selvaggia che sembra non finire mai… Questa si che è pura avventura!
deserto
DUBAI
Non sono molto esaltato all’idea di visitare per la prima volta Dubai. Città del lusso sfrenato, dei record battuti, degli edifici ultramoderni. Da amante della natura selvaggia e della tradizione storica dei popoli, credo fortemente che sia l’ultimo posto al mondo che meriti di essere visitato! Ma credo anche che una volta nella vita ogni singolo posto del mondo debba essere visto. Anche il più brutto e il meno accogliente! Così eccomi qua nel luogo dove il cemento e il petrolio ne fanno da padrone. Visito la nuova città e ovunque mi giri incontro arabi straricchi con donne bellissime, macchine da sogno e grattacieli.
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Da buon turista zaino in spalla mi accingo a visitare i posti per me più interessanti come l’acquario più grande del mondo, la spiaggia, e poi boh.. nient’altro penso… Almeno a me personalmente questa città non dona nessuna bella emozione. Cè addirittura una pista da sci dentro un centro commerciale compresa di pinguini! No no! mi dispiace ma non ci siamo proprio… Comincio a odiare questa città. Non cè nessun angolo di natura e di tradizione araba. Prima di andare via però assisto allo spettacolo creato attraverso giochi d’acqua dalla mega fontana vicino al grattacielo più alto del mondo: il Burj Khalifa.
Ecco forse questi venti minuti di giochi pirotecnici d’acqua riescono a suscitare in me un briciolo di emozione…
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Fortunatamente esiste una “Dubai vecchia” lontana qualche chilometro dalla modernità della nuova, composta da case arabe, deserto e un grande Suq, il mercato arabo. Qui finalmente mi sento a casa. Dentro di me tornano le sensazioni che rendono un viaggiatore avventuriero vivo! Giro per tutto il mercato respirando l’odore d’incenso e odorando il profumo dei cibi arabi. Mangio dei datteri e bevo un buonissimo the! Acquisto dopo una lunga trattativa un Narghilè che orgogliosamente porto a casa in Italia.
suq
suq
Lascio Dubai un po’ deluso ma comunque arricchito. Visitandola ho capito quanto sia enorme la forza derivata dai denari del petrolio. Con esso hanno potuto costruire un mondo dove prima vi era solo deserto o ancora meglio solo dell’acqua. Si perché sono state costruite anche delle isole artificiali nel golfo! Pazzesco!
Concludo questo viaggio portandomi dentro la bellezza dei deserti, dell’sola naturale di Sir Bani Yas, delle moschee e di tutta la terra dell’Oman.
Lascio invece fuori i grattacieli, le macchine lussuose, i centri commerciali e le isole artificiali, costruite sfidando le leggi di madre natura sfruttando una delle sue materie prime. Questi beni materiali non sono riusciti in nessun modo a regalarmi emozioni. Anzi al contrario, mi hanno creato ansia nel vedere un mondo finto creato solo per illudere la felicità degli uomini.
Vi racconto del mio tour belga trascorso girovagando per Bruxelles, Bruges e Gent. Famoso per la sua capitale Bruxelles sede del governo dell’unione europea, Il Belgio è uno stato ricco di storia, arte e natura. Insomma tanti validi motivi per visitarlo almeno una volta nella vita.
Il mio tour parte proprio dalla capitale Bruxelles e con il mio zaino in spalla inizio a girovagare per le vie della città. Molti palazzoni vecchi e altrettanti grattacieli nuovi ne costituiscono la sua personalità.. molto cemento e poche emozioni. Questo è quello che vedo e che penso al primo impatto.
Cosi mi butto nella ricerca dell’arte culinaria belga. Qui Il cioccolato è una squisitezza e la birra è la mia preferita in assoluto!
Ma la mia curiosità visiva, per ora rimasta un po’ delusa, viene poi ripagata al mio ingresso nella ” Grand Place” la piazza centrale di Bruxelles. Torri e palazzi in stile gotico ne fanno da cornice e io immobile nel centro mi sento avvolto in un vortice carico di storia, arte e bellezza.
Grand Place
Grand Place
Mi giro continuamente, guardandomi intorno esclamando ” Wow! sono al centro di una delle piazze più belle del mondo..!” di fatto iscritta nel patrimonio dell’umanità dell’Unesco.
Qui ci passerò la notte di capodanno festeggiando con i miei due amici Chiara e Cristian l’avvento del nuovo anno. Brinderemo con tanta buona birra..
I giorni successivi mi muovo in metro e raggiungo la zona del parco Heysel per visitare l’Atomium, un monumento in acciaio alto 102 metri rappresentante i 9 atomi, che ne simboleggia la città dopo l’esposizione universale del 1958.
Stadio Heysel
Grand Place
Ma il mio vero obbiettivo è recarmi al vecchio “stadio Heysel” ora ricostruito e rinominato “Re Baldovino” per rendere omaggio ai miei fratelli juventini morti tragicamente durante la finale della coppa dei campioni del 1986. La tragedia è tristemente famosa in quanto una tribuna dello stadio chiamata settore Z, crollò per l’invasione di molti hooligans inglesi. A causa del loro accesso e delle violenze la tribuna crollò schiacciando molti tifosi italiani. Appena giunto davanti allo stadio un vuoto freddo e profondo mi pervase l’anima. Il cielo sembrò più grigio e un silenzio tombale riecheggiava tra i quattro riflettori, le tribune e il mio sguardo.
Immaginai quegli attimi di terrore ripensando alle tante immagini viste in tv che sancivano quella maledetta violenza.
BRUGES
Il giorno dopo, viaggiando in treno da Bruxelles, giungo nella capitale delle Fiandre: la meravigliosa Bruges. Si meravigliosa! questo è il termine adatto per definire questa cittadina a nord-ovest del Belgio. Qui camminando per i sentieri ciottolati ci si può innamorare a prima vista di questa “Venezia” belga… la cittadina medioevale è interamente attraversata da splendidi canali che ne caratterizzano la sua sua identità. Mi fermo più volte a scattare decine di foto a ogni scorcio caratteristico composto da ponti, case basse e chiese fiamminghe.
Arrivato nel centro storico, brindo con della buonissima birra insieme ai miei compagni di viaggio Chiara e Cristian.
Anche questo luogo è stato proclamato patrimonio dell’umanità dall’Unesco.
Fa molto freddo ma è impossibile resistere alla tentazione di fare un giro in battello tra i canali. Cosi girovaghiamo per la città ricercando dalla superfice dell’acqua ogni angolo nascosto di questo paese fiabesco. Il colore giallo e marrone delle foglie cadute fa da tappeto a gruppi di cigni e anatre ci accompagnano seguendo la nostra navigazione.
E dopo la leggera nebbia che ci ha accompagnato per tutta la mattinata, come nelle migliore favole, arriva anche qui il lieto fine! Finalmente ci pensa il sole con i suoi raggi a ravvivare il colore invernale riflesso dai canali sulle foglie appassite.
Bruges
Canali di Bruges
GENT
Un successivo viaggio in treno mi conduce ancora nelle Fiandre nell’antica contea di Gent. Altra meravigliosa scoperta! città fiamminga dal fascino incredibile. La definirei un misto tra Amsterdam e Bruges dove i canali e i vicoli caratteristici rapiscono la mente per poi restituire dei pensieri ricchi di ispirazione. Il cielo è grigio e Gent veste il suo abito più freddo ma nonostante ciò la sua bellezza non ci congela affatto il cuore ma lo riscalda di ammirazione.
Tutta la città come Bruges è patrimonio Unesco. Osservo la cattedrale di San Bavone e sul lato opposto il Belfort. Gent è una delle poche città dove è possibile trovare ogni stile architettonico. Qui infatti è nato lo stile dei tetti a scaletta esportato poi in Olanda dai protestanti fiamminghi.
Termino il mio tour nel Belgio arricchito e pieno di ispirazione. Mi prometto un giorno di ritornarci magari in una stagione più calda. Le Fiandre del nord sono una delle regioni più interessanti d’Europa e averle visitate mi hanno fatto scoprire un mondo nuovo pieno di arte e architettura. Ma il vero vincitore per me qui è la birra! Non esiste al mondo birra più buona di quella belga…
Vi racconto quel che ho vissuto a Phuket, un’isola nel sud della Thailandia bagnata dall’oceano indiano e famosa per le sue spiagge bianche e coralline. Passo il primo giorno nella meravigliosa spiaggia fuori dal mio resort. L’ambiente è meraviglioso ma molto suggestivo… si è bellissimo ma… è una di quelle spiaggie colpite dallo Tsunami del 2006 e sdraiarsi al sole su questa sabbia mi fa rabbrividire. Cerco di non pensare troppo agli attimi terribili accaduti anni prima, ma la mia immaginazione e sensibilità non riescono a riportarmi con la mente al presente. Per diversi istanti rimango immobile nell’osservare l’orizzonte dell’oceano per poi tornare con la mente sulla spiaggia ripercorrendo col pensiero la pazza corsa di quelle dannate onde. Sono attimi di una stranissima emozione. Fortunatamente il tempo passa e dentro me sospiro pensando che fa tutto parte del passato. Pian piano mi rilasso e verso sera mi godo uno dei tramonti più belli della mia vita.
tramonto
spiaggia
Il giorno successivo vado in escursione nella vicina cittadina di Patong. La città è molto caotica e povera. Per le strade si incontrano fiumi di turisti di tutte le nazionalità e tanti thailandesi pronti a sfruttare in ogni modo l’unica loro fonte di guadagno. La povertà qui è molto alta e i turisti sono per loro oro caduto dal cielo. Si contratta su tutto dalla vendita di una maglietta all’assaggio di insetti cotti! si! qui il mangiare non è affatto male, da piatti a base di riso,pesce o carne fino agli insetti… e se si viene qua non si può non provare i famosi massaggi thailandesi.
Nei giorni successivi faccio diverse escursioni in motoscafo nelle stupende isole intorno a Phuket. Esploro anche Phi Phi Island famosa per essere stata il set del film “THE BEACH” con Leonardo Di Caprio. Ma l’escursione mi delude, causa del troppo affollamento di turisti che invadono la piccola spiaggia paradisiaca… manco fosse il peggior ferragosto di Rimini! Insomma molto meglio avventurarsi in qualche altra caletta dispersa nell’oceano, molto meno famosa ma più silenziosa e selvaggia.
Phi Phi Island
Navigando capita spesso di gettarsi in acqua per nuotare e fare dello snorkeling. Quello che si vede intorno è un meraviglioso spettacolo della natura. Scogliere a picco su un mare verde smeraldo e spiagge bianchissime ricche di sabbia finissima. Sopra le scogliere una fitta foresta verde abitata da simpatiche scimmiette che dall’alto dei rami ti osservano intente a difendere il loro territorio.
Torno in Italia con la consapevolezza di essere stato in un paese meraviglioso ma molto povero dove la più grande fonte di ricchezza è portata da noi turisti. E’ un vero paradiso in terra. Hanno mare, spiagge da sogno e una jungla affascinante da esplorare. Ma se ci si allontana dalle spiagge e ci si addentra all’interno delle città si prova un senso di tristezza osservando uomini e donne pronte a tutto pur di guadagnarsi da vivere. La sera le ragazze ti chiamano per intrattenerti all’interno di un pub o di un locale e se si è single è facile uscirne “fidanzati”. I thailandesi sono un popolo magnifico, capace di sorridere sempre. Ti contagiano fino a non farti smettere di essere felice per tutta la durata del viaggio. Dopo lo Tsunami del 2006 si sono rimboccati le maniche e con la forza di volontà hanno ricostruito tutto compreso le loro paure contenute nelle loro anime. Tornerò sicuramente in Thailandia per visitarne il nord, per scoprire la sua splendida natura e il suo popolo che non si è mai arreso e mai lo farà usando come arma il proprio sorriso.