CAMMINO DI OROPA

CI SIAMO!

Finalmente un altro cammino. Sarà un percorso più breve rispetto ai più classici ma sarà pur sempre intenso! è il Cammino di Oropa: 68 chilometri tra strada asfaltata e sentieri selvaggi che da Santhià conducono fino al Santuario di Oropa. Un itinerario composto da 4 tappe ma che percorrerò zaino in spalla in soli due giorni.

PREPARAZIONE:

Giungo di venerdi sera tardi a Santhià, insieme a Tommaso e Alessandra, i miei due amici e compagni di camminata. Nel mio zaino tanta voglia di esplorare questa parte d’Italia tra storia e natura.

Siamo in tre ma per motivi organizzativi decidiamo di partire dalla provincia di MIlano con due automobili. Di certo non la soluzione ecologica migliore, ma ahimè l’opzione più percorribile. Vi spiego il perchè: dobbiamo salire con un auto fino al Santuario di Oropa lasciandola parcheggiata a pochi metri dal traguardo di fine cammino. Con la seconda auto invece scendiamo verso Santhià, punto d’inizio del nostro cammino. Facciamo tutto ciò in modo da avere un mezzo di ritorno immediato in caso di arrivo molto tardo sul traguardo di fine cammino. (Dopo un certo orario non ci sono più treni e bus per tornare a Santhià.)

PRIMO GIORNO:


La sveglia suona all’alba e dopo una ricca colazione siamo pronti per affrontare i primi 36 chilometri che da Santhià ci condurranno fino a Sala Biellese. Il viaggio inizia percorrendo un tratto di un altro famoso cammino, quello della Via Francigena. Famoso cammino medievale che conduceva i pellegrini da Canterbury fino a Roma. Per me e Tommaso una piacevole riscoperta dato che già avevamo percorso il tratto di cammino della Francigena qualche anno prima ma in sella alle nostre mountain bike (Ma quella era un‘altra storia e un altro meraviglioso viaggio!) Carichi di entusiasmo attraversiamo la pianeggiante campagna che passa lungo la Via Francigena.

La maggior parte del percorso è costituito da stradine asfaltate che si sporgono su campi coltivati. Incontriamo altri viaggiatori augurando loro un buon cammino! Dopo un grande tratto di pianura, intorno al ventesimo chilometro ha inizio una lenta e semi impegnativa salita. Mentre cammino mi godo il panorama dell’anfiteatro morenico di Ivrea, rilievo morenico di origine glaciale, e del lago di Viverone.  Arrivo a Roppolo, dominata da un maestoso castello che dalla fine del IX secolo svetta su tutto il territorio portando con se ricordi di numerosi generali e condottieri tra i quali Facino Cane, Tommaso Francesco di Savoia e Napoleone Bonaparte. Sono contornato da un paesaggio di bosco incantato che sale in direzione Oropa.

Giungiamo stanchi ma soddisfatti in un camping sulle colline a Sala Biellese. Ci aspetta una tenda sospesa da terra, con legate le sue stremità a tronchi di forti alberi. Dormiamo sotto un cielo di stelle e pioggia, in una tenda sospesa tra due alberi e la libertà.

SECONDO GIORNO:


Il secondo giorno è quello più tosto capace di farmi gioire e piangere nello stesso momento. Inizia l’immersione nella natura della Serra morenica e la salita più dura. Passo da istanti di entusiasmo ad attimi di sofferenza fisica capaci di farmi pensare, anche solo per un secondo, di fermarmi e mollare. Ma più mi arrampico verso Oropa più intravedo il traguardo e la motivazione.

Ci arrampiachiamo sulle Alpi Biellesi in direzione Donato. Giungiamo al Santuario di Graglia tra Piemonte e Valle d’Aosta. Il santuario mariano è uno dei più importanti del Piemonte. Lo zaino pesa come un macigno sulla mia schiena e per alleggerirlo devo riempire la mia mente di natura, di storia e autostima che acquisisco passo dopo passo in questo cammino. Meravigliosi casolari antichi, castagni, aceri, pini mi accompagnano in un bosco di emozioni, insieme a timidi volpi e ai grugniti dei cinghiali. La volontà e la curiosità mi fanno avanzare scacciando via la sofferenza e la fatica.  Si cammina tra le mulattiere lungo il fianco del Mombarone seguendo l’antico tracciato della Tranvia che tempi addietro univa Biella direttamente al Santuario di Oropa.

Dopo 68 chilometri in due giorni, io e i miei due compagni di viaggio giungiamo stremati al Santuario di Oropa. La soddisfazione e l’appagamento sono immensi. Immensi quanto il mito di Marco Pantani che qui su questa montagna nel 1999 ha scritto una pagina indimenticabile della storia del ciclismo e dello sport. Il mito lo si percepisce e si vede incontrando paline celebrative dell’impresa lungo i tornanti d’asfalto che titolano “Montagna Pantani“.

Camminando nei momenti di dolore e sofferenza ho pensato molto a lui, il pirata, che con la sua determinazione qui ha sconfitto la sfortuna, il salto di catena ai piedi dell’ultima salita, e ha saputo rimontare tutti scalando la montagna fino ad Oropa. Un esempio di forza di volontà che ho percepito sotto forma di energia mentre percorrevo la strada fino al mitico traguardo del Santuario. Quella fu un’impresa epica non di certo come la mia… ma nel mio piccolo, ora che sono qui vincente con le mani al cielo davanti al Santuario, mi sento svuotato delle mie forze fisiche ma possiedo uno zaino ancor più carico di conoscenza, interiorità ed emozioni.

Alessandro Cusinato

ALBANIA – ROAD TRIP

Abbiamo tracciato la mappa di viaggio e con essa segnato anche i suoi punti di esplorazione. Partiremo da Milano percorrendo la strada disegnata sulla costa croata, salendo sui Balcani serbi, scendendo sulle spiagge montenegrine, entrando poi in territorio albanese. L’automobile per il road trip è pronta carica d’entusiasmo e di curiosità. Mi affascina parecchio l’est europeo e non vedo l’ora di percorrere i tremila e più chilometri di questo emozionante viaggio, che compierò insieme alla mia compagna di viaggio Marina e con Maggie, la nostra cagnolina viaggiatrice.

PRIMO GIORNO: CROAZIA –ZADAR

Dopo otto ore di viaggio giungiamo a Zadar, splendida e storica cittadina croata bagnata dalle acque del Mediterraneo posta sulla costa della Dalmazia. E già sera e afflitti dalla stanchezza decidiamo di cenare in un ristorante tipico croato per poi fare un giro esplorativo lungo le vie della città. Zadar è rinomata per le sue rovine romane e veneziane e proprio per questo avevo deciso di fare sosta proprio qui. Qui la storia ci è passata lasciando le sue tracce attraverso le mura che circondano la città con le sue caratteristiche porte veneziane. Ammiriamo il foro romano e li poco lontano il convento di Santa Maria. Impetuosa è la grande cattedrale di Sant’Anastasia. Meraviglia!

SECONDO E TERZO GIORNO: BOSNIA ERZEGOVINA e MONTENEGRO- PETROVAC

Dopo un bel sonno rigenerante ripartiamo con l’obiettivo di attraversare la Bosnia per giungere in Montenegro. Sapevamo della pesantezza e fatica del viaggio, ma non fino a questo punto! Infatti una volta giunti al confine serbo, decidiamo di percorrere la strada che dal navigatore ci è segnalata come più breve, scartando il percorso più trafficato dai turisti che costeggiava il mare ( quello più sicuro a livello di manutenzione stradale). Una volta passata la dogana, ecco la strada trasformarsi in un saliscendi con vista a picco su vallate vertiginose di gole balcaniche. La manutenzione stradale è assolutamente inesistente: buche profonde decine di centimetri e nessun tipo di protezione laterale costituita da guard rail. La mia guida è talmente impegnata tanto da farmi restare concentrato con le mani attaccate al volante per tutta la durata del tragitto. Anche Marina resta concentrata guardando preoccupata la strada.  Durante i lunghi silenzi prodotti dal “restar concentrati”, un solo pensiero ci accomunava: << Ma quando finisce questa strada? >>.  Ma nonostante la sua caratteristica pericolosità riuscimmo a trovarci il lato positivo; la strada ci regalava un panorama meraviglioso: le montagne si gettavano a picco sulle vallate, coi paesini balcanici rimasti tali e quali a cinquant’anni prima… e poi tanta natura selvaggia. Stupendo!

Sembra incredibile ma per percorrere 150 chilometri ci abbiamo messo quasi otto ore! Insomma se devo consigliare a qualche viaggiatore di scendere in Albania in auto suggerirei ai più comodi di prendere la strada che costeggia il mare, ma ai più avventurosi di percorrere la strada che dalla dogana penetra salendo spericolata nell’entroterra balcanico bosniaco. Vi assicuro che sarà un’esperienza unica!

Finalmente giungiamo al confine fermandoci per i controlli alla dogana montenegrina. La strada è decisamente migliore e la mia guida torna ad essere molto più rilassata. Il paesaggio è un trionfo del mare, del cielo e dei monti conservati in un contenitore di mondo incontaminato. Petrovac testimonia la medioevale presenza dominante veneziana; vi è una meravigliosa fortezza del XVI secolo situata nel punto più alto del porticciolo. Alloggiamo in un BeB a pochi metri dal mare. Percepiamo un inizio di allontanamento dagli usi e costumi tipici dell’Europa occidentale marcati dalla presenza di paesaggi e popoli tipici dell’est europeo. Il cibo è davvero squisito! Si mangia davvero bene e si spende pochissimo. Il mare e la sua spiaggia sono la ciliegina sulla torta. L’acqua è limpida e cristallina. Alzando gli occhi, noto che selvaggiamente dalla spiaggia si arrampicano le montagne, disegnando un percorso di natura lussureggiante. Resto davvero ammaliato da questo lato ancora selvaggio di questo piccolo stato incastrato tra i balcani e il mare. Qui decidiamo di passare due giorni di relax in attesa del grande giro dell’Albania.

QUARTO GIORNO: TIRANA

Si parte verso l’Albania! La tappa di oggi sarà più breve rispetto alle precedenti: solo 181 chilometri che da Petrovac ci condurrà fino alla capitale albanese di Tirana. Sostiamo alla dogana albanese per acquistare il foglio verde che ci consentirà di viaggiare all’interno del territorio non appartenente all’unione europea.  Il viaggio nel nord albanese è un road trip che sembra essersi fermato nel tempo. Le strade e le cittadine che attraversiamo sembrano ancora ferme a decine di anni fa quando il regime dittatoriale comunista lo caratterizzava. L’Albania ci dà il suo benvenuto con un paesaggio di campi coltivati, zingarelli accampati lungo la strada e automobili vecchie che in occidente si usavano forse nei primi anni 2000 se no addirittura negli anni 90!. Insomma, avevamo la percezione di essere tornati indietro nel tempo di almeno vent’ anni rispetto al resto d’Europa. Questo stato di sano degrado fu il colpo d’occhio iniziale di questo lungo viaggio esplorativo. Dal finestrino dell’auto io e Marina notiamo vecchie case e baracche contornate dai campi coltivati. Vecchie automobili ci sfrecciano di fianco rumorose suonando i loro clascon, in uno dei traffici più intensi che abbia mai conosciuto.  

Tirana è una disordinata e chiassosa grande città, colma di traffico e delirio. Mi sembra di essere finito in una terra di nessuno, dove ognuno può fare ciò che vuole! Giungiamo in albergo sito nel quartiere più elegante di Tirana. Il resto della città è caratterizzata da un elegante e ordinato degrado caratteristico delle città dell’est europa. Prepariamo lo zainetto intenti a visitare il centro della città, che per mia fortuna (data la mia grande passione) è colma di storia. Entro nella piazza dal nome importante come quello di Skanderberg. <<Non vi porto libertà: l’ho trovata qui, tra voi.>> Questa è la frase che disse l’impavido Giorgio Castriota detto “Skanderberg” al popolo albanese dopo aver respinto e vinto gli invasori turchi ottomani. Qui, è venerato come eroe nazionale. Le sue gesta ispirarono nei secoli le rapsodie, la letteratura, le arti e mantennero vivo negli albanesi lo spirito della libertà.

QUINTO E SESTO GIORNO: VALONA

<< Finalmente il mare! >> Il mare ci accoglie con le sue spiagge super attrezzate e colme di turisti. Valona è una perla della costa albanese tanto che Il degrado attraversato nel nord albanese sembra totalmente scomparso. Soggiorniamo in un albergo posto sulla punta di una parete di roccia che dai suoi cento metri di altezza domina il mare. La vista è spettacolare. Scendiamo in spiaggia e per due giorni ci rilassiamo godendoci il sole e il mare.

SETTIMO, OTTAVO, NONO  GIORNO: HIMARA

Scendiamo sempre più giù, fin dentro il cuore e l’anima dell’Albania meridionale. Qui il mare selvaggio e incontaminato bagna una riviera di scogli alti che come montagne che salgono verso il cielo. Alloggiamo in un albergo a pochi metri dalla spiaggia. La spiaggia è ampia e larga quanto la libertà. Si respira aria di spensieratezza e di pace. Chilometri di natura compongono questo angolo di mondo riscoperto da qualche anno da centinaia di turisti europei. Himara sarà una delle tappe più belle che ricorderemo di questo viaggio. La sua incontaminata natura e la generosità del popolo albanese che la abita, resteranno un piacevolissimo ricordo da raccontare a chiunque voglia esplorare questa terra.

DECIMO, UNDICESIMO, DODICESIMO, E TREDICESIMO GIORNO : SARANDA

Saranda è la città più trendi della riviera albanese. Qui cè tutto quello che serve per passare una giornata al mare con ogni confort e una serata in un buon ristorante e in una bella discoteca. È senza dubbio la località più rinomata dai turisti di mezza europa che vengono qui per cercare relax ma anche divertimento notturno. Dalla spiaggia si può vedere in lontananza la sagoma dell’isola greca di Corfù. Passiamo tre giorni a girovagare per le varie spiagge di Saranda in particolare la spiaggia di Ksamil.

Syri i Kalter

A circa una ventina di chilometri da Saranda si trova un luogo meraviglioso nominato Patrimonio dell’Unesco: Syri i Kalter, il famoso occhio blu dell’Albania. Si tratta di una sorgente sita alla base del monte Mali Gjere. L’acqua di colore blu scuro sgorga a una temperatura di 12 gradi. Resto incantato da questa meravigliosa opera d’arte naturale simile ad un occhio umano compreso di bulbo e pupilla. Al centro l’acqua è di colore blu scuro e tutt’intorno è colorata di un azzurro più chiaro. Un luogo magico e unico al mondo!

AGIROCASTRO

Giungiamo in questa meravigliosa e antica città, costruita su una collina di 300 metri tra i monti Mali i Gjere e il fiume Drinos. Agirocastro è un nome di origine greco dal significato di “Fortezza Argentata”. La città vecchia è un vero e proprio incastro di diverse culture: quella greca, romana, bizantina, turca e albanese. Passeggiamo tra le sue vie ricche di colori e di storia millenaria. Io e Marina restiamo a bocca aperta dinnanzi a questa meraviglia, inclusa tra i Patrimoni dell’Umanità.

BUTRINTO

Finalmente giungo in uno dei luoghi che da sempre avrei voluto visitare! E’ il sito archeologico più importante dell’Albania. Porto antico e frammento della storia del Mediterraneo. Entrando qui dentro si compie un viaggio straordinario lungo le epoche della nostra storia. Ci si perde tra le rovine che testimoniano la cultura della civiltà ellenistica, romana, bizantina, veneziana e ottomana. Una meraviglia! che emozione!

BERAT

L’ultima tappa del grande viaggio albanese ci porta a visitare la storica cittadina di Berat, un’altra perla inserita tra i Patrimoni dell’umanità. Le sue case bianche di origine ottomana, dipingono un paesaggio di abitazioni arroccato su una collina rocciosa. Dopo una meravigliosa passeggiata, fatta salendo tra le sue strette e caratteristiche viette, giungiamo in cima, dove insieme ad un po’ di fiatone ci attende un impetuoso castello risalente al xiii secolo.

A Berat termina il nostro viaggio. Con il viso triste puntiamo il navigatore della nostra auto verso il porto di Durazzo dove un traghetto è pronto a riportarci in Italia.

L’albania è stata un’incantevole scoperta: un paese incredibile, capace di sorprenderti grazie ai suoi due volti. Una terra magnifica dove la storia contemporanea è ancora ferma agli ultimi anni del 900, caratterizzata dalla sua gente che suona clacson guidando automobili che qui da noi sarebbero classificate come d’epoca e che abitano in vecchie città di palazzoni di cemento costruite dal regime comunista. Ma esiste anche il suo secondo volto più moderno ed occidentale caratterizzato dai suoi alberghi, dalle spiagge all’avanguardia, dai ristoranti e dalle discoteche che animano la vita notturna di uno dei paesi più accoglienti dell’est europeo. La sua costa mediterranea è una perla lucente capace di attrarre a sè qualsiasi esploratore e turista a caccia di bellezza, natura e cultura.

Arrivederci cara Albania!

Alessandro Cusinato

FELICE DI “NON VIAGGIARE”

Ritorneremo a viaggiare!

Da qualche mese noi umani ci siamo fermati, bloccando tutto il sistema che ci circonda. Un sistema che ci ha portato dentro un limbo di ricchezza e di benessere; lo stesso sistema che ci ha permesso di prendere un aereo capace di condurci in un luogo sognato dall’altra parte del mondo. << Oh che meraviglia!>> pensavamo. Ma è da tempo che la Terra non la pensa più come noi; lei non giova più di quel benessere che a causa dei nostri vizi sta velocemente perdendo.
Bisognava fermarci tutti per osservarla, aiutarla, farla guarire e, incredibilmente, un miracolo è accaduto. Può sembrare strano ma ora che tutto si è fermato sono felice di non poter viaggiare. Mi spiego meglio: io soffro come un matto! ma sono consapevole che tutto quello che sta accadendo servirà a qualcosa. Servirá a lei per poter rinascere liberandosi dalla nostra tirannia e servirà a noi per riflettere sugli errori che abbiamo commesso. Come un corpo malato anche la Terra ha prodotto la sua febbre, sotto forma di Coronavirus. Madre Natura si sta difendendo contro l’egoismo umano. Quindi, se esaminiamo bene, il vero virus siamo proprio noi. Per questo sono felice di “non viaggiare” perché desidero fortemente regalare al mio pianeta il suo benessere sacrificando i miei vizi. Mi accontento di viaggiare con la mentre leggendo un buon libro nell’attesa di una sua lenta guarigione. La medicina prescritta dall’universo è il nostro buon senso e fermandoci, la stiamo imboccando facendola assumere piccole dosi della nostra cura. Aumentiamo in modo più massiccio il medicinale finchè il benessere gioverà ad entrambi. Torneremo a viaggiare ma prima torniamo a vivere in un mondo guarito.

Alessandro Cusinato

VI RACCONTO IL MIO TICINO

Quando mi smarrisco, sento il bisogno di percorrere il sentiero che mi riporta qui da te. Le rane, le foglie, lo scorrere dell’acqua e il silenzio. Qui posso parlare con tutto e non essere sentito da nessuno. Qui posso ascoltare tutto senza essere disturbato da niente. Tu mi doni sempre quello che mi occorre: la pace, l’armonia, la storia e la natura. Torno sempre qui da te perchè, quando sono nei tuoi boschi, mi sento a casa mia.

Ti amo mio Ticino.

Ho voluto iniziare con la mia personale dichiarazione d’amore all’anima del fiume e ora vi racconterò qualche aneddoto della sua affascinante storia.

A due passi dalla grande metropoli milanese c’è un mondo colmo di silenzi, colori e armonia dove un un’escursione a piedi o in mountain bike ti può far vagare senza pensieri e senza una meta ben definita per ore ed ore. Un luogo pieno di biodiversità e di animo wild. Non è la foresta amazzonica, la giungla del Borneo o il selvaggio West ma è comunque il luogo adatto per raccontarvi una bella storia di natura e avventura. Ma prima devo tornare un attimo più indietro, anzi più che indietro verso nord, più precisamente in Svizzera nelle Alpi Leopontine. Qui da due diverse sorgenti, la principale sul Passo della Novena e la secondaria sul San Gottardo, nasce un fiume che per 248 chilometri attraverserà la stessa Svizzera e parte dell’italia settentrionale fino a sfociare nel grande fiume Po. Sto parlando del fiume Ticino.

In antichtà chiamato Ticinus dai Latini, che gli diedero questo nome per via del Canton Ticino sua zona di nascita. La sua vita inizia lassù in alto nelle due sorgenti dove Le prime gocce d’acqua si tuffano a capofitto verso una lunga discesa di sassi e minerali. Ad Airolo le gocce si bagnano l’una con l’altra diventando un piccolo fiume che dopo aver attraversato la Laventina sorpassa la valle Riviera, Bellinzona e il piano di Magadino per poi sfociare nel lago Maggiore. A Sesto Calende esce dalla calma apparente del lago per tornare veloce e irruente lungo il territorio italiano nel Parco del Ticino, vera oasi di natura incontaminata. Qui forte e impetuoso alimenta grandi canali come il Naviglio Grande che porterà l’acqua del grande fiume fino al centro di Milano. Ma noi restiamo qui, nella valle verde e selvaggia dove il fiume, con la sua presenza crea un ecosistema biologico ricco di biodiversità. Costituirà il grande polmone ecologico della Lombardia. Una piccola giungla amazzonica lombarda. La sua corsa continua a sud di Pavia (antica Ticinium) confluendo le sue acque nel fiume Po, del quale ne è il principale affluente. Ora vi porterò proprio all’interno del grande polmone lombardo, un paradiso per ogni escursionista o cowboy avventuriero. Qui sentieri sterrati penetrando per centinaia di chilometri all’interno della fitta giungla paludosa del parco si tuffano al contrario gettandosi dal blu dell’acqua del fiume giungendo alle numerose risaie arrampicandosi fino al verde della boscaglia.

Proprio il posto ideale per bel un trekking zaino in spalla, per un’immersione in apnea sopra la sella di una mountain bike o un impennata tra lo scorrere della corrente in Kayak! In sella o a piedi si possono attraversare piccoli borghi di casolari e fattorie, ambientate in un meraviglioso territorio di campagna in stile western americano. In canoa o Kayak si possono scoprire rapide vertiginose, capaci di condurti in luoghi incontaminati da non fare nessuna invidia ai selvaggi fiumi canadesi o dell’Alaska. I percorsi si snodano su sentieri boschivi fluviali che incantano il viaggiatore facendolo ammirare panorami naturali e numerose architetture storiche lombarde. La storia ci racconta che lungo la Valle del Ticino si susseguirono più fasi di insediamento di popolazioni di ceppo celtico. La prima fu la civiltà di Golasecca intorno al IX secolo a.c, poi nel 400 a.c fu il turno degli Insubri che si sovrapposero alla precedente popolazione mantenendone la cultura come era abituale tra i Celti. Gli Insubri distrussero la Melprum etrusca ricostruendola con il nome di Mediolanum (Milano). l’espansione di Roma portò la fine della colonizzazione dei Celti nel territorio dell’Italia settentrionale. Nel 218 a.c il Ticino fu territorio di scontro tra l’esercito romano del generale Scipione e quello cartaginese del condottiero Annibale nella mitica “battaglia del Ticino” in quello che fu un importante episodio della seconda guerra punica. Per la prima volta il fiume fu testimone della presenza di un altro animale bellico usato dall’uomo oltre al nostro amato cavallo. La novità fu l’elefante che Annibale importò dall’Africa, facendolo entrare in territorio italico passando da un varco tra le Alpi. Non siamo in grado di stabilire la locaità esatta della battaglia, forse nei pressi dell’odierna Vigevano o Castelletto Ticino, ma sappiamo che Tito Livio raccontò che i romani costruirono un ponte di barche accampandosi nel territorio degli Insubri che secondo alcuni oggi è il territorio di Turbigo, mentre Annibale si accampò nei pressi sull’odierna Galliate ( sponda piemontese). Cosa nota è che Annibale fece abbeverare gli elefanti in zona Victumulis (Garlasco). Chissà ai tempi cosa pensarono i nostri cavalli alla vista di questa nuova specie! E non oso immaginare quello che pensarono alla vista delle loro proboscidi durante la battaglia. Saranno scappati galoppando? Facile farsi stregare nei trekking a cavallo dai luoghi e dai simboli di questi popoli antichi ma ancora più facile restare ammaliati da architetture storiche più recenti come il Castello di Vigevano, la Certosa di Pavia, L’Abbazia di Morimondo.

In questo parco, storia e natura si fondono insieme dando origine a un connubio di meraviglie difficili da dimenticare… Come non si può scordarsi che anche qui come negli Stati Uniti, la febbre dell’oro fece ammalare molti uomini intenti a cercare il prezioso metallo tra le sabbie aurifere accumulate nel corso delle piene. Questo accadeva già ai tempi dei romani fino ad oggi con I cercatori d’oro che muniti di stivali di gomma e armati di una batea, la padella che vediamo in tanti film americani, cacciano l’oro come fossero sul Colorado.

Il Ticino ha un’energia vitale molto particolare in grado di far innamorare ogni curioso avventuriero. Quando si percorrono i suoi sentieri si dimentica tutto lo stress della grande città e si assimila energia positiva capace di far ritrovare se stessi galoppando tra un pensiero e l’altro. I viaggiatori smarriti qui si ritrovano ascoltando il gracidio delle rane, lo scorrere dell’acqua e il canto dell’Airone cenerino apparentemente silenzioso quasi muto che invece esplode acuto e modulato appena spiccato il volo. I piccoli ruscelli che danzano vicino al grande letto del fiume emettono una musica orchestrale capace di far ballare persino il più rigido dei pensieri. Se si è stanchi ci si può fermare sostando lungo le calme lanche stagnanti colme di pace e tranquillità che sembrano nascondersi dai problemi della vita dietro ad alti canneti.

Insomma è il posto adatto per fare escursioni e per rigenerare la mente dai problemi e la quotidianità della vita da città, liberi come nel famoso libro di Jack London: il richiamo della foresta. Sulle strade sterrate della campagna padana si può sentire l’odore dei campi da coltivare appena concimati, e le sagome dei cowboy a cavallo appaiono robuste sui sentieri di sabbia bagnati dall’ombra del caldo sole. Canalini colmi d’acqua spaccano a metà i campi coltivati e il canalone del Naviglio Grande fa da battistrada al sentiero che condurrà un escursionista fino alla darsena della città di Milano. Ma il mio consiglio è quello di restare qui nell’Amazzonia lombarda o nella Colorado padana, nel corridoio ecologico tra Alpi e Appennini, tra la flora autoctona di Aceri, Pioppi, Querce, Ginepri, Betulle, Castagni e la fauna selvaggia costituita da mammiferi come la volpe, il tasso, il capriolo, da uccelli come la Cicogna bianca, il picchio, il cormorano, da rettili come la testuggine europea, la vipera e da anfibi come le salamandre, il rospo, e la rana. Una foresta sottomarina di sassi e alghe fanno da habitat ad una grande varietà di pesci come la trota, lo storione e il luccio, grandi predatori del fiume azzurro.

Concludo sorridendo e ringraziando il mio Ticino. Un luogo talmente magico da essere capace, usando l’immaginazione, di farti vedere qualche Indio accampato col suo cavallo lungo la riva del fiume e qualche altro che con una canoa naviga le sue correnti. Insomma una vera e propria giungla selvaggia pronta a catturare ogni singolo cuore impavido di  avventuriero intento a viaggiare nelle terre più inospitali e meravigliose della nostra terra.

Alessandro Cusinato

IL VACCINO DELL’UNIVERSO-COVID-19

LA NATURA CI STA DICENDO DI RALLENTARE

Oggi non potendo uscire ho bevuto un bicchiere di vino e poi felicemente sono fuggito fuori casa evadendo con la mia immaginazione. Mi sono ritrovato insieme al mio zainetto in un bosco di querce e pini mentre camminavo tra alberi, insetti e animali selvaggi. Il mio respiro lento e profondo fiutava profumi di primavera anticipata e aria pulita. la mia vista ammirava uno spettacolare collage di monti, colline, laghi, fiumi e le loro forme con i loro colori percorrevano sentieri che giungevano fin dentro alle mie pupille. Udivo il canto del vento e il cinguettio degli uccellini. Con le mani toccavo l’aria limpida della selva e con la bocca assaporavo sorsi d’acqua di sorgente. Tutto era al suo posto in un’armonia cosmica perfetta. La mia immaginazione mi fece proseguire seguendo il sentiero sterrato del bosco fino all’ingresso di una città. Case, palazzi, monumenti storici, strade e un ponte che attraversava un limpido fiume mi accolsero stupito. Al contrario del bosco questo luogo mi rattristì molto perché sembrava essere deserto. Nessuna persona che camminava, che andava in bicicletta o che voleva semplicemente fare due chiacchere con me. Non c’era nessuno ma solo silenzio e il rumore delle foglie trasportate dal vento. Ma poi, al contrario, qualcosa mi rallegrò. Notai che non c’era spazzatura, non c’erano mozziconi per terra e soprattutto non esisteva lo smog prodotto delle automobili e delle fabbriche. L’aria era leggera proprio come quella del bosco. Quando Riaprii gli occhi sorrisi felicemente sorpreso. Capii che tutto quello che avevo immaginato non era il frutto della mia fantasia ma era vera realtà! Vera come i delfini ritornati a nuotare nei porti privi di navi della Sardegna, vera come i fondali dei canali di Venezia tornati limpidi e pieni di pesci, vera come lo smog ormai scomparso dal centro di Milano.  << La natura si riprende la sua vita in nostra assenza. >> disse una donna incontrata in questo mio giro immaginario. << Avevo sempre pensato che quello torbido e fangoso fosse il colore naturale dei suoi canali. >> replicò un turista anch’esso incontrato durante la mia evasione guardando i fondali dei canali veneziani. E poi ancora: << Non avrei mai pensato che Venezia avesse un fondale cosi caraibico! possiamo tornare a tuffarci in laguna! >> esclamò un gondoliere.  << Che aria pulita… sembra di montagna. Un cielo cosi azzurro qui non si era mai visto… >> concluse emozionato il signor Brambilla in dialetto milanese guardando il cielo di Milano. 

UN BICCHIERE MEZZO PIENO

La realtà dei giorni attuali di un mondo fermo senza l’uomo, racconta che in Cina, uno degli stati più inquinati  al mondo, l’aria è tornata a livelli respirabili e il biossido di azoto è diminuito del 30% rispetto al solito. Un dato incredibile! un sogno!  << Finalmente la terra respira. >> era la voce unanime di tutte le persone della Terra, che nella mia immaginazione di un mondo ideale, avevo incontrato e che ora sembra essere divenuta miracolosamente realtà. Questa splendida realtà di un mondo finalmente pulito è una sorta di “consolazione” dai problemi di salute e dai danni economici che sta causando questo maledetto Covid-19.  Il virus giunto dalla Cina sino a noi, sta per fare il suo corso anche nel resto d’Europa, negli Usa e nel resto del mondo. Si preannuncia un’inestimabile catastrofe sanitaria ed economica di livello mondiale pari a quello delle due guerre mondiali combattute nel secolo scorso. Insomma stiamo vivendo in un periodo che verrà raccontato sui prossimi libri di storia e noi ne siamo dentro come acqua sporca in un bicchiere pulito. Ahimè non lo stesso bicchiere di vino che sorseggiavo prima di perdermi nella mia immaginazione… Ma se guardiamo bene dentro al bicchiere pulito del cosmo appoggiandolo sul tavolo dell’universo, osserverei questo virus come un elemento positivo per la nostra natura, e al contrario di ogni previsione io vedrei il bicchiere mezzo pieno. Lo paragonerei a dell’acqua che fuoriesce dal rubinetto cosmico che sta riempiendo fino all’orlo il bicchiere sporco, lercio, inquinato della nostra Terra. Esso saturo di sostanze inquinanti, capitaliste e maligne deve essere svuotato prima che sia troppo tardi. Basterebbe che una mano divina lo rovesci e noi umani ripartiremmo puliti da zero. Ma nessun divino di qualsiasi religione fino ad ora è giunto tra noi per rovesciarlo. Una grande mano invece cè la sta dando il Covid-19 fuoriuscendo inatteso e devastante come un fiume in piena dal rubinetto del cosmo, che sta spazzando via tutto lo sporco contenuto nel nostro inquinatissimo bicchiere.

Oggi l’attenzione del mondo è rivolto solo alla cura di questo virus lasciando in secondo piano l’aumento delle temperature nei ghiacciai di Artide e Antartide. Strano ma le due cose potrebbero essere in qualche modo collegate. Già perché forse la cura l’abbiamo già trovata senza saperlo e sarà il miglior vaccino in grado di non far sciogliere i ghiacciai polari e bloccare definitivamente i cambiamenti climatici. Questo virus sembra essere venuto per dirci che dobbiamo fermarci mettendo in quarantena noi e il nostro bellissimo pianeta. Nessun umano lo stava facendo accecato dalla vile luce del denaro e del potere, e c’è voluto lui, Mister Covid-19, a farci dire basta. Mi piace e voglio credere che questo virus sia un’opportunità che ci sta dando nostra Madre Natura da usare come ultima chance per salvare lei e la nostra umanità prima che sia troppo tardi.

Alessandro Cusinato

CAMMINO DEGLI DEI

Ci sono momenti di sfida, di curiosità, di viaggio e di tanta sofferenza. Si parte da Bologna per giungere fino all’ambita meta di Firenze. Attraversando gli Appennini emiliani e toscani affrontando un cammino lungo 137 chilometri si scoprono luoghi nuovi, una natura incontaminata, tanta storia antica e amici indimenticabili. Vi racconto la mia splendida avventura:

LA PREPARAZIONE

Lo zaino è quasi pronto. Al suo interno Indumenti leggeri per il giorno e pesanti per la notte, scorte di barrette energetiche, una mappa, attrezzi da trekking, il sacco a pelo e la tenda. Con me e il mio caro amico zaino ci saranno i miei compagni di viaggio e di avventura Tommaso e Roberto, ma soprattutto ci saranno le mie gambe che non smetteranno quasi mai di muoversi insieme alla mia testa. Già perché per affrontare un cammino del genere la concentrazione e la determinazione sono elementi che non possono mancare mai. E’ un cammino che di solito lo si affronta in cinque o sei giorni ma noi decidiamo di percorrerlo in soli quattro giorni. Impresa ardua perché serve una buona preparazione atletica per attraversare gli Appennini tosco emiliani colmi di dislivelli impegnativi in cosi poco tempo. Inoltre terreni difficili fangosi e il maltempo potrebbero ostacolarci. Ma noi siamo ben allenati e nulla potrà fermarci nel poter attraversare un cammino tra la natura selvaggia e la storia. Il sentiero infatti è una antica strada etrusca poi diventata romana (Flaminia Militare) attraversata da basiliche medioevali, rovine romane, resti della prima e seconda grande guerra e antiche conchiglie fossili.

PRIMO GIORNO

Parto in auto da Milano insieme a Tommaso e Roberto e giunti a Bologna ci fermiamo a dormire in un ostello situato in centro. All’alba zaini in spalla, partiamo dalla meravigliosa Piazza Maggiore. Nonostante siano le 6 di mattina altri viaggiatori camminatori come noi sono pronti per partire per il lungo cammino. Qui si aggiungono Chiara e Azzurra, due ragazze romane che decidono di affrontare il cammino insieme a noi. La colazione a base di panino con la mortadella e cioccolato ci sosterrà per molti chilometri e al grido << CARICIII CARICIII !>> partiamo! Il ritmo è buono e le gambe vanno da sole. Sono ben allenato e preparato tra trekking, palestra, mountain bike e con la testa libera vado avanti nonostante i 13 chili del peso del mio zaino. Cammino lungo la strada asfaltata che attraversa la bellissima Bologna e pian piano sale sempre di più passando da San Luca con i suoi archi sotto il portico più lungo del mondo che mi porta al santuario della beata vergine. Qui ci fermiamo per scattare una foto di rito e per scambiare parole di entusiasmo con altri gruppi di camminatori. Scendiamo giù a Casalecchio di Reno e costeggiando il Reno iniziamo finalmente un sentiero sterrato giungiendo a Sasso Marconi. Qui resto incantato davanti alla vista dell’acquedotto romano e del ponte di Vizzano. Al nostro gruppetto di camminatori si aggiunge il bergamasco Simone, un gran montanaro davvero tosto! Sarà un membro portante del nostro gruppo! Continuiamo verso l’area protetta di Contrafforte Pliocenico con i suoi fossili e la sua vegetazione particolare. Stremati ripartiamo in direzione Monzuno, il primo vero obbiettivo di sosta del nostro cammino. Ma prima si doveva salire in cima al Monte Adone. ( Il nome del Dio Adone dona il nome al monte come altri monti hanno nomi di altri Dei, e per questo si chiama “Cammino degli Dei”..) Stanchi ci rimbocchiamo le maniche e determinati raggiungiamo la cima rampicandoci su un sentiero ripido nel cuore dello splendido appennino emiliano. Una volta giunti in cima le due croci ci fanno sorridere di sofferenza ma godere di un bellissimo panorama. Sono esausto ma l’aver attraversato una natura meravigliosa e visto una buona parte di storia dell’umanità fa esclamare “wow!”.  Finalmente un po’ di discesa verso Brento e poi ancora salita su strada asfaltata passando da Monterumici in direzione Monzuno. Ora apro una parentesi giurandovi che quello che è accaduto da Brento a Monzuno ha del miracoloso… Già perché a tutti noi le forze e le gambe stavano per cedere, cosi come le nostre schiene a causa del peso dello zaino, ma la nostra testa era tanto determinata ad arrivare… A Monzuno… questo paese per noi “leggendario” che a un certo punto credevamo non esistesse nemmeno, talmente eravamo esausti e stanchi. le allucinazioni stavano per prendere il sopravvento sui nostri corpi non più lucidi quando all’improvviso la sagoma del cartello “BENVENUTI A MONZUNO” apparve lungo la ripida strada in salita.  Ebbene si! Dopo 14 ore di cammino e 40 chilometri percorsi con dislivelli terribili di mille metri finalmente eravamo giunti alla prima meta! Increduli, distrutti, affamati e anche nervosi, lasciamo andare le nostre sofferenze buttandoci in una cena a base di pasta e carne in una trattoria del paese. Finita la cena e recuperate le calorie, montiamo le tende nei pressi di un parco giochi per bambini. Stanco e stremato mi addormento rigustandomi in un sogno la durissima tappa appena passata e il percorso che ancora dovrò e dovremo compiere.

SECONDO GIORNO

Di buon mattino mi sveglio con le gambe pesantissime quasi bloccate. Non riesco a stare in piedi. La stessa sofferenza è percepita anche dai miei compagni di viaggio: Tommaso, Roberto, Chiara e Simone. All’improvviso notiamo che una persona mancava all’appello. La fatica aveva fatto la sua prima vittima: Azzurra infatti ci aveva abbandonato ritirandosi dal cammino. Probabilmente nella notte senza dir nulla a nessuno aveva deciso di mollare e ritornare a Roma. Complimenti comunque a lei… non è di certo impresa facile percorrere 40 chilometri sugli Appennini in una sola giornata! La determinazione in questi viaggi è un elemento fondamentale e dopo una veloce lavata di faccia in una fontanella del parco smontando le tende facendo una ricca colazione torniamo in pista proseguendo sui sentieri montani in direzione Madonna dei Fornelli. Le gambe nonostante sembrassero bloccate pian piano si scioglievano andavano avanti da sole comandate dall’entusiasmo e dalla voglia di superare i nostri limiti. Dopo venti minuti giungiamo a Campagne camminando in uno stupendo bosco di castagni. Poi la salita fino a Monte del Galletto e finalmente dopo circa tre ore su strada sterrata giungiamo a Madonna dei Fornelli. Il sentiero prosegue in una meravigliosa foresta scendendo giù fino al quadrivio di Pan Balestra, due ore di cammino dopo Madonna dei Fornelli. Da qui inizia la storica e mitica “Flaminia Militare” antico percorso romano datato 187 a.C. Nel bel mezzo della foresta appenninica giungiamo davanti ad un recinto e un cancello con scritto “Chiudere il cancello grazie”.  Ci passo e lo chiudo ( non si sa perché, probabilmente per non far entrare animali da bestiame) e faccio passare anche i miei compagni di viaggio. Proseguiamo fino alla Piana degli Ossi ed emozionato ammiro i resti di un’antica fornace datata II secolo a.C. Dopo diversi sali scendi molto faticosi giungiamo in una piana denominata radura delle Banditacce. Qui ci fermiamo a prendere fiato e far riposare la schiena perché quella che ci attende sarà una delle salite tra le più faticose dell’intero cammino che ci porterà sul punto più alto di tutto il percorso di 1200 metri di altitudine. Oltre ad essere la cima più alta è il punto quasi esatto che rappresenta la metà del cammino tra Bologna e Firenze! Giungiamo In cima  e soddisfatti ci riposiamo. Bello gustare la natura che ci sta ospitando. La discesa ci regala testimonianze storiche dell’antica presenza romana! Una meraviglia! Camminiamo in mezzo a boschi di conifere in direzione Futa nostro secondo obbiettivo del cammino. Sul Passo della Futa infatti si trova un camping dove pensavamo di passarci la notte. A pochi chilometri dal camping si trova un punto di interesse storico incredibile: il cimitero germanico. Emozionati ci togliamo gli zaini dalle spalle e come bimbi curiosi ci addentriamo per visitarlo. Prima che il buio scenda ci incamminiamo verso il campeggio e dopo aver montato le tende ci buttiamo soddisfatti sotto una calda doccia! Erano quasi due giorni che non mi lavavo e devo dire che dopo tutto questo sforzo una doccia d’acqua calda è il massimo che si possa desiderare.

TERZO GIORNO

Dopo una notte fredda, con fuori quasi zero gradi, avvolto nel caldo sacco a pelo mi risveglio tra la natura meravigliosa della Futa. Giusto il tempo di smontare le tende e fare colazione e ripartiamo verso l’Apparita. Zaino in spalla con entusiasmo saliamo sulla cima del Monte Gazzaro e poi in discesa attraversando una natura fantastica fino a giungere al Passo dell’Osteria Bruciata. Qui un tempo sorgeva una locanda rinomata per i suoi piatti di carne “umana” cucinati dal proprietario dopo aver derubato e ucciso i suoi clienti… anche qui la foto è d’obbligo. Inizia la strada in discesa. Mi sento in gran forma e aumento il passo andando avanti da solo lasciando indietro il mio gruppo. Volevo passare qualche momento in “solitaria” per riflettere e contemplare durante il cammino la bellezza di questa natura. Ma a causa della mia fretta nel scendere la montagna mi si infiamma la caviglia sinistra. Di colpo mi fermo, mi blocco e inizio a soffrire. Verso Gabbiano sulle montagne dell’Appenino mi siedo su un avvallamento con vista sulla valle. Mentre mi riposo attendo che i miei compagni di viaggio mi raggiungano. Mezz’ora dopo vedo arrivare Tommaso, Chiara e Simone ma senza Roberto, anch’egli rimasto leggermente indietro per un infortunio. Soffro ma proseguo. Non sarà certo un po’ di dolore alla caviglia a fermare il mio sogno! Mi aiuto con le bacchette ma inizio a zoppicare. Soffro dannatamente ma non posso mollare. Davanti a me ancora una cinquantina di chilometri che sembrano non finire mai… il sentiero in salita, il fango e il dolore. I miei compagni che mi sostengono moralmente ma ad un certo punto resto solo con la strada, la campagna toscana e i miei pensieri. Piango… devo superare il purgatorio per arrivare in paradiso. Poi da dietro vedo la sagoma di Roberto che come me infortunato camminava dolorante. Ma insieme ci carichiamo e piano piano raggiungiamo gli altri che si erano fermati ad aspettarci. Arriviamo a S. Pietro a Sieve e ci accampiamo sotto il cavalcavia di una superstrada insieme ad altri camminatori. Una piccola tendopoli di viaggiatori si forma Intorno ad un fuoco. Cantiamo canzoni e ceniamo con panini per recuperare le energie. Qui si aggiungono al nostro gruppo altre due ragazze milanesi. Nel frattempo Roberto decide di continuare il suo cammino in solitaria e in notturna. Un matto pensiamo! ma non c’è nulla che lo possa fermare e nonostante le nostre raccomandazioni decide di continuare da solo. Beh tanta stima per lui che coraggioso con il suo zaino, la sua tenda e la sua torcia in mano attraverserà i boschi dell’Appenino toscano giungendo già dalla mattina successiva a Firenze. Io Stanco mi addormento insieme a Tommaso e Chiara ma con una caviglia sinistra gonfia e dolorante e un callo gigante sotto il piede destro. Nel sogno notturno mi domando: << Riuscirò nonostante il dolore alla caviglia a terminare il cammino?>>

QUARTO GIORNO

Mi sveglio con la caviglia sempre più gonfia e il callo grosso come una lumaca sotto il piede destro. Mi fa male da morire. Ma di mollare non mi passa neanche per l’anticamera del cervello nonostante alla meta mancasse un altro giorno di cammino, circa 30 chilometri. Non sono uno che molla e per me l’impossibile non esiste e anche strisciando con un piede zoppo giungerò vincente all’obbiettivo! Riparto insieme a Tommaso e Chiara, sofferente ma più carico che mai.  Zoppico vistosamente e dopo qualche chilometro percorrendo le ripide salite fangose della foresta dico a malincuore a Tommaso e Chiara di proseguire. Non voglio che a causa mia rallenti il loro passo verso la meta finale. Rimango indietro per diversi chilometri. Continuo in solitaria. Vedo la splendida fortezza Medicea sul colle e la sua visuale, come quella della natura che attraverso, mi dona forza interiore indispensabile per non mollare. Attraverso quasi piangendo una natura perfetta. Camminando ho avuto modo di soffrire guardandomi dentro misurandomi con il mio dolore. Ma dovevo superare me stesso, il mio male e quindi il mio limite imposto dal dolore. Due camminatrici mi convincono a prendere un OKI che mi anestetizza per qualche ora l’infiammazzione. Dopo tre ore di cammino sento al telefono Chiara che poco più avanti di me mi dice: <<Ale sono un chilometro più avanti di te. Ti aspetto cosi proseguiamo insieme.>> Apprezzo il gesto di Chiara e facendo uno sforzo in più la raggiungo. Nel frattempo anche lei infortunata aveva rallentato. Insieme doloranti proseguiamo verso l’ultima vetta del cammino quella del Monte Senario. L’avventura che affronteremo insieme resterà per sempre nelle nostre menti. Prima sbagliamo strada e ci perdiamo nei sentieri selvaggi della foresta appenninica e poi una volta ritrovata la strada salendo verso la vetta veniamo colti in pieno da un fortissimo temporale. E Improvvisamente accade un miracolo! (Se cosi si può chiamare) il mio dolore alla caviglia scompare e lo stesso vale per il dolore di Chiara. Iniziamo ad aumentare il passo…  Ma in realtà a coprire il male era l’adrenalina provocata dalle centinaia di fulmini che continuavano a cadere a pochi metri da noi! Insomma più che miracolo si trattava di istinto di sopravvivenza causata dalla voglia di scappare via da quel posto e trovare riparo per non essere colpiti da un fulmine. Dopo una lunghissima ora passata a camminare veloci sotto gli alberi in cima alla montagna nel bel mezzo del nulla ( il punto meno raccomandato durante un temporale è stare sotto gli alberi in montagna.) Il temporale termina e noi esausti e fradici giungiamo a Fiesole! C’è l’avevamo fatta! Eravamo vivi! Con il cuore a mille ci abbracciamo! Per concludere in bellezza facciamo l’autostop per trovare un passaggio fino alla stazione di Firenze dove ci attendevano i nostri compagni di viaggio. Alla vista del mio pollice si ferma un suv guidato da un signore fiorentino distinto ed elegante sulla sessantina in auto insieme a sua moglie << Mi sono fermato perché proprio come voi sono un camminatore. Ho fatto il cammino di Santiago e la Via Francigena.>>  A quel punto dopo tutto quello che avevamo passato Io e Chiara increduli guardandoci negli occhi ci riabbracciammo. Ma le sorprese non erano ancora finite.  infatti avevamo altro in comune. Scopro che il signore era un affermato medico ma anche uno scrittore! Già proprio come me! Tra i suoi libri anche uno sul suo cammino fatto a Santiago. Dopo averci dato il passaggio fino in stazione, li salutiamo come fossero vecchi amici. Alla stazione di Firenze rincontriamo il resto del gruppo: Tommaso, Roberto, Simone, Qui ritrovo anche dei ragazzi di Bergamo che avevo incrociato durante il cammino e mi avevano visto zoppicante. Mi fanno i complimenti dicendomi che nello stato in cui ero avevo compiuto un miracolo di determinazione giungendo sofferente con quella caviglia al traguardo. Soddisfatto e distrutto saluto la Toscana. Si torna in treno a Bologna per riprendere la nostra auto mentre Chiara torna a Roma. Che grande viaggio!

E’ stato un viaggio bellissimo, un cammino meraviglioso. Mi porterò dentro la splendida natura dell’appennino tosco emiliano che rallegra occhi e cuore del camminatore facendo dimenticare la fatica che si sta compiendo. Mi porterò dentro le persone che con me hanno camminato soffrendo e godendo della bellezza del loro viaggio esteriore e interiore. E poi la vista di reperti storici che donano misticità e fascino a questo viaggio facendo respirare un profumo di vita vissuta da altri uomini in altri tempi.

Alessandro Cusinato

SMETTILA DI BRUCIARE… MIO CUORE ROSSO D’AUSTRALIA

Penso che da cosi lontano non si possa capire bene quello che stia succedendo laggiù…o forse si. Forse si riesce a capire ma credo che le migliaia di chilometri di distanza che ci separano dal gran continente oceanico, non ci facciano rendere realmente conto di ciò che stiamo perdendo. La forza della natura sta distruggendo quello che la sua bellezza ha precedentemente creato. Recentemente ho trascorso un mese in Australia con GiorgiaMarcoNicolas e l’ho fatto attraversando la sua parte più selvaggia. La sua parte più vera. Quella parte che se la vivi ti rimane dentro, ma dentro cosi tanto da farla diventare uno stato d’animo. La parte del bush immenso che non finisce mai, dei paesaggi che sembrano uguali ma che cambiano faccia e colore in un batter di miglia, del caldo insopportabile di giorno che diventa freddo la notte, dei grandi canguri, dei serpenti velenosi, degli ululati dei dingo, dei veloci emu e delle migliaia di specie di piante che solo li si possono trovare. E’ la sacra terra degli aborigeni. Pensare che quel paradiso incontaminato del nostro pianeta sia in fiamme e che mezzo miliardo di animali siano morti è qualcosa di tristemente inimmaginabile. Sapere che I pappagalli che in stormo mi svegliavano la mattina o i bengalini diamantini che a centinaia occupavano i cespugli del bush, facendo un casino assordante con il loro cinguettare, non abitino più quei luoghi mi fa star male. Sapere che Le migliaia di canguri che la notte saltellavano al di fuori della tenda facendo rimbombare i loro passi nella prateria come colpi di tamburo non si sentiranno più fa star male. Le piante che dal deserto dell’Outback fino alla foresta pluviale brulicavano di vita ora sono diventate cenere e con esse anche gli spiriti dei nativi australiani. Spiriti che sono sicuro proteggeranno il resto del territorio dal pericoloso uomo bianco, quello che con la sua industrializzazione sta sterminando tutto il pianeta. Quello che fa rabbia è che gli incendi sono dovuti all’inalzamento delle temperature causate dall’uomo e non da avvenimenti naturali. Gli aborigeni sapevano gestire gli incendi nel bush e lo facevano volontariamente attraverso incendi controllati bruciando sapientemente parte del terreno da rigenerare. Lo facevano attraverso una tradizione antichissima usata tutt’ora per ridare vita a un territorio che doveva rinascere dopo le grandi siccità. Questo incendio invece è catastrofico. Catastrofico come tutte le idee che occupano la mente dell’uomo Industrializzato, ipocrita, capitalista e senza scrupoli che sta distruggendo il nostro pianeta. Ripenso alle notti in tenda nel bush quando davanti a un fuoco alzando lo sguardo al cielo riuscivo a toccare le stelle con un dito sfiorando persino le Pleiadi. Spero che da quella costellazione scenda qualche spirito aborigeno per riportare la vita dove ora c’è solo morte e distruzione. Spero che l’anima dell’Australia ritorni a colorarsi di rosso, non quello degli incendi, ma di un rosso uguale a quello del colore della sua terra.
G day amata Australia! ♥️
Alessandro

CRACOVIA- Auschwitz – Diario di viaggio

E’ una meraviglia particolare questa città. Particolari le parole che mi serviranno per descriverla, in parte dolci e in parte amare. Un amaro troppo disgustante per il sapore che hanno lasciato nel tempo, non a causa sua ma per colpa delle atrocità commesse dalla razza umana.

La sua affascinante storia medioevale si affianca a quella tristemente nota della seconda grande guerra. Fa molto freddo e le strade sono in parte ricoperte da una bianca morbida neve. Zaino in spalla vagabondo nella città vecchia circondata dal parco di Planty e dai resti della cinta muraria medioevale, insieme ai due miei compagni di viaggio Marco e Tommaso.

Il primo luogo capace di catturare la mia attenzione è la piazza del mercato chiamata Rynek Glowny, la più grande piazza medioevale d’europa. Qui la Basilica di Santa Maria, una chiesa gotica del XIV secolo, ne domina la scena con le sue due torri di altezze differenti. Saliamo più in alto sulla collina di Wawel. Il meraviglioso castello simboleggia la città e una splendida cattedrale la illumina di cultura: al suo interno si sono celebrate le incoronazioni dei sovrani polacchi ed è la chiesa madre dell’arcidiocesi di Cracovia. La sera ceniamo in un ristorante tipico polacco divorando dei buonissimi pieroghi, tortine di pasta simili ai ravioli con dei ripieni sia dolci che salati. Il giorno dopo visitiamo emozionati l’altro quartiere storico di Cracovia: il di Kazimierz, che per 600 anni ha ospitato la comunità ebraica di Cracovia fino allo sterminio ad opera dei nazisti.

Da qui in poi le mie parole descriveranno emozioni tristi mai provate in nessun altro luogo al mondo…

QUARTIERE DEL GHETTO EBRAICO:

Cammino su una strada di ciottoli scuri. I miei passi riecheggiano tra i muri del quartiere con le stelle di Davide disegnate che non vogliono andare via. Non vogliono morire come invece hanno fatto gli uomini e le donne che vivevano qui. Loro sono giunte fino ai nostri giorni provenendo dagli anni della guerra. Torno indietro nel tempo immaginando il rumore degli stivali delle SS tedesche che picchiettando a terra facevano sentire agli abitanti del ghetto il rumore della paura. Un silenzio irreale avvolge questo luogo. Si percepisce il senso del dolore che c’è stato. Un dolore che queste mura, queste strade, questi ciottoli e questa umanità non potrà dimenticare mai.

AUSCHWITZ BIRKENAU- Campo di sterminio:

La neve copre con la sua purezza tutto il maledetto dolore che qui c’è stato. Entrando ad Auschwitz Birkenau seguendo le rotaie arrivo laddove il treno carico di bestiame composto da uomini, donne e bambini concludeva la sua corsa vicino al filo spinato. Qui la mia pelle si accappona. La corsa per alcuni finiva subito con l’inganno di una doccia, mentre per altri proseguiva con la garanzia che prima della doccia ci si sporcava di sofferenza. E’ enormemente infinito questo Lager. Entro in una delle “stalle” usate dalle SS tedesche per far riposare la notte il bestiame umano. Non so esprimere la sensazione che provo qui dentro. Tremo, mi manca l’aria. Mi rifiuto di pensare a cosa sia successo qui. Mi viene da piangere e star male. E’ buio, sporco e c’è un odore pesante rimasto impregnato negli anni che non riesce ad andare via dal male che qui ha abitato. Riesco a vedere i volti e le espressioni delle persone che per qualche mese, giorno o ora hanno vissuto qui. Mi appaiono con i loro pigiami a righe tutti uguali chiedendomi pietà. Li osservo inerme. Provo ad allungare una mano per soccorrerli ma non posso fare più nulla purtoppo. Solo un gesto forse inutile ma che mi viene dal cuore potrei fare. Mi sento in colpa e chino il mio capo pronunciando l’unica parola che mi viene in mente: “Perdonateci” in nome mio e di tutta l’umanità.

…PER NON DIMENTICARE MAI…

Alessandro Cusinato

ISTANBUL- Diario di viaggio

Ci sono città che sogni di vedere da tutta la vita. Città mitiche protagoniste di ogni libro di storia. Esse sono capaci di proiettarti nella pellicola di un film che sembra girato in angoli diversi del mondo e del tempo… Ma poi un giorno decidi di andarle a visitare di persona e scopri che quel film si è svolto in un unico luogo ma in diversi tempi… Benvenuti a Istanbul la porta d’oriente.

La porta d'oriente
La porta d’oriente

L’atmosfera di Istanbul è unica. Giunto in riva al Bosforo rimango rapito dal profumo dell’oriente che apre la sua porta ai viaggiatori. Infatuato inizio ad ammirarla. Le mie pupille come quelle di ogni uomo o donna si ingrandiscono per cercare di contenere tutta la bellezza che stanno osservando. La si può chiamare con nomi diversi: Bisanzio, Costantinopoli o Istanbul ma lei comunque stringendo le spalle e sorridendo risponderà sempre “Si.. sono io. “. I suoi tre nomi la rendono fiera di quella che è e di quella che è stata nel suo leggendario passato. La giovane Bisanzio , la romana Costantinopoli e la moderna musulmana Istanbul. Qui ci sono passati davvero tutti. Greci, Romani, Ottomani. Il suo modo di fare attira come calamite viaggiatori di ogni angolo del mondo curiosi di leggere con i loro occhi quello che sin da piccoli hanno studiato nei libri di scuola. Istanbul è un libro da sfogliare e un museo a cielo aperto con un biglietto di primissima fila sulla storia.

Basilica di Santa Sofia
Basilica di Santa Sofia

Alloggiamo nella zona musulmana della città. All’alba accade subito qualcosa di magico: vengo svegliato dall’eco della preghiera islamica pronunciata da un Imam che metallica fuoriesce dall’altoparlante posto in cima alla moschea vicina al mio alberghetto. Quasi in contemporanea inizia la stessa preghiera, proveniente questa volta da una seconda moschea. La stessa cantilena giunge da una terza moschea e cosi via per tutte le moschee della città. Nel buio del giorno che sta per nascere si diffonde tutta la potenza e la spiritualità della religione di maggioranza. Emozionato mi riaddormento…

Di buon mattino io e i miei quattro compagni di viaggio, Tommaso, Giuseppe, Rosella e Federica giungiamo nel distretto di Faitih, nel mahalle di Sultanahmet dinnanzi alla Basilica di Santa Sofia. Dal di fuori è imponente e bellissima! Dedicata a Sophia (la sapienza di Dio) dal 537 al 1453 fu cattedrale ortodossa e sede del Patriarcato di Costantinopoli, a eccezione di un breve periodo tra il 1204 e il 1261 in cui i crociati la convertirono in cattedrale cattolica di rito romano sotto l’impero latino di Costantinopoli. Divenne poi moschea ottomana nel 1453 fino al 1931 anno in cui fu sconsacrata e divenne un museo. Insomma, cè più storia religiosa qui dentro che in un libro intero… Meravigliosa ancor di più al suo interno…

Proprio di fronte a Santa Sophia si compie un’altra magia. E’ venerdi ed essendo il giorno santo islamico più di 4000 fedeli stanno pregando all’interno della grande Moschea Blu. Camminando all’interno di essa si resta incantati dal fascino di quello che fu l’Impero Ottomano. Una volta conquistata Costantinopoli, il sultano Maometto II volle costruire una moschea che potesse diventare il luogo di culto più importante dell’impero. Qui la misticità si percepisce in maniera forte, impregnata nelle cantilene delle migliaia di fedeli che pregano il loro Dio in questo venerdi di preghiera.

Con il mio zaino in spalla mi tuffo insieme ai miei compagni di viaggio dentro il mercato coperto più grande del mondo: il Grande Bazar ovvero il Kapali Carsi. La sua costruzione iniziò nel 1455 subito dopo la conquista ottomana di Costantinopoli ad opera del Sultano Maometto II per stimolare la prosperità economica della città. Al suo interno mi perdo negli odori delle spezie, nei colori dei tessuti e nella visione dei preziosi. Sembra una grande trappola per turisti ma in realtà è un grande contenitore di cultura araba. Dopo un paio d’ore perso tra le bancarelle dei mercanti a contrattare il prezzo migliore trovo il mio angolo di felicità. Un piccolo bar dove insieme a Tommaso e Giuseppe mi sono gustato un Tè turco fantastico!

Dopo aver visitato la parte importante della Istanbul ottomana, la mia sete di curiosità mi porta in un luogo dove di acqua ne è contenuta a litri. Anzi a dire il vero era contenuta fino a qualche centinaio di anni fa, quando la città si chiamava ancora Costantinopoli. L’imperatore romano Costantino fece costruire una cisterna sotterranea che alimentata dall’acquedotto di Valente forniva una riserva d’acqua per il palazzo imperiale. Scendo giù nell’affascinante sotterraneo dove i suoi 143 metri di lunghezza e 70 di larghezza mi attendono. Nonostante il buio non si può non notare le meravigliose 336 colonne alte 9 metri e distanziate l’una dall’altra 4,90 metri. La malta utilizzata nella costruzione è impermeabile. Un’opera di ingegneria pazzesca! Camminando sembra di essere finiti in una antica basilica sommersa e l’ambiente è talmente conservato bene da mantenere acqua sul fondo. Due grosse teste di medusa provenienti da un arco monumentale di Costantino fanno da base a due colonne. Splendide!

Basilica Cisterna (Yerebatan Sarnici)
Basilica Cisterna (Yerebatan Sarnici)

Il cibo e le bevande a Istanbul sono una vera e propria delizia come la carne di Kebab e il Tè ma la cosa che mi è piaciuta di più è il gusto di tabacco aromatizzato da fumare nel loro tradizionale narghilè. l’atmosfera da racconto “Le mille e una notte ” si diffuse rapidamente durante l’Impero Ottomano lungo le vie di tutta la città trasportata dal fumo del tabacco aromatizzato alla frutta. Il suo aroma giunse fino al Bosforo,dove oggi insieme ai miei compagni viaggiatori, mi immergo in una piccola crociera esplorativa galleggiando sopra un battello.

Fumando Narghilè
Fumando Narghilè

Il quarto giorno visito il quartiere di Galata. E’ una vera chicca medioevale. Qui spicca la sua torre che dall’alto dei suoi 67 metri domina la città. E’ una torre un pò italiana perchè venne costruita nel 1348 da Rosso Doria, primo governatore a Galata genovese. In seguito durante l’Impero Ottomano la sua parte superiore ed il suo tetto vennero modificati con numerose ristrutturazioni. Saliamo sulla sua cima dove dall’alto mi godo il magnifico panorama di Istanbul e del Bosforo.

Torre Galata
Torre Galata

L’ultimo colpo al mio cuore innamorato di storia, me lo danno le bellissime mura dell’antica Costantinopoli. La vecchia capitale dell’Impero Romano d’oriente è qui splendente davanti a me. Un’emozione forte mi pervade e un brivido freddo mi attraversa la schiena. Un altro mio sogno che si avvera. Ripenso ai migliaia di chilometri che separano Roma da Istanbul percependone fisicamente la vastità di quello che una volta era il grande Impero Romano.

Mura romane di Costantinopoli
Mura romane di Costantinopoli

Dopo quattro giorni saluto la “grande bellezza” d’oriente . Ora capisco perchè questa città sia stata tanto ambita quanto ritenuta meravigliosa. Ambita da tutti i popoli del passato per la sua posizione strategica con la sua “porta” verso l’oriente e meravigliosa per tutta la ricchezza storica che essa contiene. Nonostante abbia vagabondato per le vie come un matto per quattro giorni senza sosta, rimane ancora tanto da vedere e scoprire. Per un appassionato di storia come me, insieme alla nostra meravigliosa Roma, penso che Istanbul sia la città più bella ed interessante del mondo. Mi sono innamorato di te Bisanzio, Costantinopoli, Istanbul!

Alessandro Cusinato

kakadu National Park

AUSTRALIA- Road trip- Kakadu National Park- day 20- 22

Lasciamo Darwin per spostarci in uno dei luoghi più selvaggi del Northen Territory australiano nonché patrimonio dell’Unescu: Il Kakadu National Park.

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Ci attendono paludi, fiumi e scarpate di roccie arenarie. Coccodrilli, dingo, pipistrelli, tartarughe e centinaia di specie di uccelli vivono in un habitat composto da più di duemila tipi di piante. E’ una delle mete più ambite del nostro road trip e non vediamo l’ora di arrivarci! Dopo il solito lungo viaggio in jeep nell’Outback, stavolta lungo “solo” 250 chilometri, giungiamo ai confini del parco nazionale. Qui dobbiamo salutare Choko e affidarlo per qualche giorno a un dog sitter. Per lui come per tutti i cani ne è vietato l’ingresso e con una grande carezza lo salutiamo. Torneremo a prenderlo una volta finito il tour del Kakadu, più o meno tra tre giorni.

Dopo un facile ma affascinante trekking tra bush, boschi e alte rocce giungiamo in un luogo magico.  Visitiamo delle antichissime incisioni rupestri aborigene di epoca preistorica. I muri rocciosi del sito di Ubirr mi lasciano con la bocca spalancata dall’emozione. Antichissimi disegni risalenti a 20.000 anni fa, ricoprono ogni angolo di roccia. Molti aborigeni di oggi credono che queste pitture rupestri siano state realizzate dagli spiriti Mimi, per illustrare agli uomini le leggende della creazione e lo sviluppo della legge aborigena.


La sera ci accampiamo insieme ad altri viaggiatori vicino alla riva di un fiume molto inquietante perchè abitato da coccodrilli. Il consiglio di una guardia forestale è quello di dormire in una tenda sospesa da terra in modo da non essere “visitati” nella notte dai feroci rettili che potrebbero allontanarsi dal fiume per cacciare. Ma non disponiamo di quel tipo di tenda e la guardia ci tranquillizza suggerendoci di accamparci qualche decina di metri più in là, distanti dalla riva del fiume e più addentrati nella foresta. Montiamo la tenda accendiamo un fuoco e ci godiamo il silenzio delle prime luci della notte. Ma il momento più meraviglioso giunge una volta il spento il fuoco… Per fortuna la notte non è fredda come le precedenti nel deserto e decidiamo di dormire senza il telo protettivo. E’ bellissimo! Sdraiato nel sacco a pelo guardando in alto posso vedere le stelle, la via lattea e le costellazioni sparse nell’universo. Mi addormento cullato da un’atmosfera suggestiva che alleggerisce i miei pensieri. Ma in piena notte mi risveglio, disturbato da un concerto di suoni mai sentito. Forti versi somiglianti a gatti arrabbiati fuoriescono dalle bocche di grossi pipistrelli. Forti ululati di dingo riecheggiano nella jungla australiana. Migliaia di insetti cantano e uccelli notturni gridano come fossero in una piazza affollata nel pieno giorno. Sento dei passi a pochi metri dalla tenda ma il buio è talmente fitto che non riesco a vedere nulla. Riesco a sentire anche il respiro dell’animale! ma niente il buio ostacola la mia vista. Poco più in là assisto ad un inseguimento in piena regola tra un predatore ed una preda… o più prede e più predatori… chissà! Purtoppo non riesco a vedere nulla ma solo a percepire ed immaginare quello che sta succedendo a pochi metri da me. Sono talmente eccitato che non riesco più a chiudere occhio. Passo la notte in bianco sperando di vedere qualcosa, una sagoma o una presenza. Ma non riesco a vedere nulla… ma sono al settimo cielo! Marco, Giorgia e Nicolas dormono come ricci e non sanno la meraviglia che si stanno perdendo. Resto sdraiato a pancia in giù e sorridendo mi guardo intorno felice. Penso: Passano le ore e sono felice. Non voglio riaddormentarmi perché so che ad uno spettacolo del genere non assisterò mai più. La natura della jungla australiana mi sta regalando una notte indimenticabile. Giunge l’alba con i suoi primi raggi di sole e i primi cinguettii dei pappagalli. Svaniscono gli ululati e i versi tenebrosi dei pipistrelli. Spariscono i rumori degli inseguimenti tra prede e predatori ma resta dentro di me l’emozione di una notte magica passata a sognare ad occhi aperti la vita notturna della foresta del selvaggio Kakadu. La ricorderò come una delle notti più belle di tutta la mia vita.

Navigando tra i Billabong
Navigando tra i Billabong

La mattina dopo aver smontato la tenda ci incamminiamo verso il fiume e le sue paludi. Nella jungla di palme e bush, sorgono billabong di acqua torbida. Paludi inquietanti che solo a guardarle mettono soggezione. Dopo una notte meravigliosamente insonne tra versi selvaggi e stelle, il sole riflette i suoi raggi sull’acqua, mostrando la sagoma scura di chi inquieta e riempe di fascino il nord australiano. Sopra una barca navighiamo per le paludi ammirando incantati e rispettosi il vero re di queste terre. Sua maestà il coccodrillo.

kakadu 10

Ne vediamo a dozzine galleggiare e altrettanti riposare sornioni sulla riva del fiume tra i canneti. Intorno a loro centinaia di splendidi esemplari di uccelli marini che leggiadri si muovono tra le ninfee. La sera torniamo a prendere Choko il nostro cane viaggiatore. L’abbraccio con Giorgia e Marco è commovente! Salutiamo il Kakadu ringraziandolo per l’incontro con le tribù aborigene primitive, con sua maestà il coccodrillo ma sopratutto per la notte indimenticabile che mi ha fatto passare tra la sua natura più selvaggia. Kakadu Non ti dimenticherò mai.

Alessandro Cusinato

AUSTRALIA -Roadtrip day 7-10 Exmouth and Cape Range national park

Percorriamo la Indian Ocean Road in direzione nord. Ci fermiamo a fare rifornimento di carburante e un po’ di spesa a Carnarbon, ci manca la frutta e la verdura. La tappa di oggi sarà lunga circa trecento chilometri e ci porterà fino alle spiaggie incontaminate di Coral Bay e Shark Bay.

Road Map
Road Map

La strada è la solita meraviglia: terriccio rosso mescolato all’immenso verde del bush che mi rapisce ipnotizzandomi quando guardo fuori dal finestrino. Percorsi i primi cento chilometri la strada si fa più arida e il caldo molto più intenso…qui la strada sembra essere ancor più infinita… Forse è l’effetto del gran caldo che agisce sulla mia vista creando una sorta di miraggio ma la realtà mi mostra un aumentare della grande distesa desertica di questa savana australiana. E’ una sensazione unica che si percepisce ammirando e attraversando questa incredibile natura. Ma proprio quando la fase di ipnosi del bush sembra completato ecco apparire il cartello ” TROPIC OF CAPRICORN”.

 

<<Wow!>> Siamo arrivati nel punto dove il sole culmina allo Zenit un giorno all’anno (nel soltsizo di dicembre). Un punto mitico dove fare la foto di rito è un obbligo! Ripartiamo e lungo la strada ammiriamo spettacolari termitai giganti. Opere architettoniche di fango create da laboriose termiti in decine di anni, che al loro interno, vivono al riparo dalle altissime temperature dell’Outback.

 

Poco prima di giungere a Exmouth ci fermiamo a Coral Bay, una delle barriere coralline più incontaminate del mondo.  A Exmouth ci fermiamo per tre giorni. Cè il Cape Range national park da visitare con le sue spiagge e il suo entroterra selvaggio. Il primo giorno ci rechiamo sulla spiaggia di Sandy Bay.  Sandy, la sabbia che abita questa immensa spiaggia oceanica, si lascia calpestare dai miei passi. Piccoli granchi cascano nelle mie impronte tentando di tuffarsi nell’acqua. Uccelli grigi migratori dal becco arancione gli danno la caccia la dove l’acqua accarezza la spiaggia. La prateria australiana di Sandy ospita tanta vita selvaggia, richiamata dal suo caro vicino bush e dal suo grande amico Oceano Indiano.

 

Il giorno seguente mia sorella, Marco e Nicolas vanno in escursione oltre la barriera corallina nella spiaggia di Ningaloo per nuotare insieme allo squalo balena.

 

Io purtroppo non posso andarci a causa di un infiammazione al ginocchio che non mi consente di nuotare. Così decido di passare una giornata in solitaria guidando la mia jeep per una ottantina di chilometri all’interno del Cape Range. Giungo in un luogo magico chiamato “Mandu Mandu Gorge”. Qui le pareti rosse di un canyon proteggono il letto di un fiume ora prosciugato. Dico ora perché il suo letto si riempie solo durante la stagione delle piogge. Con il mio zaino sulle spalle mi addentro seguendo un sentiero di sassi che si dirama tra la terra rossa e i residui di roccia bianca del fiume asciutto. Il caldo mi batte forte sulle tempie e sopra di me un cielo azzurro mi purifica la vista cercando di avvistare qualche piccolo wallaby nascosto tra le rocce.

 

Cammino e mentre guardo in alto devo tenere sempre l’attenzione giù in basso sotto le siepi basse e in mezzo ai sassi. Non si sa mai di inceppare nel territorio di qualche ” Western brown snake” serpente velenoso pericolosissimo o qualche “Redback”, dei ragni dal veleno mortale, talmente piccoli da nascondersi in ogni fessura della natura australiana. In caso di puntura si hanno solo sei ore di tempo per iniettarsi un antidoto capace di salvare la propria vita. Detto questo cammino lo stesso con addosso molta adrenalina e molta curiosità. e …un po’ mi eccita questa sensazione di “pericolo”!… Proseguo esplorando il fondo del Canyon giungendo in un avvallamento dimenticato da ogni segno di civiltà. Qui cè solo la natura. Respiro l’aria calda e butto fuori pensieri freschi di libertà. Amo questa terra, la sua pace silenziosa e la sua atmosfera infinita che entrandomi dentro mi porta fino dove i miei occhi possono vedere, ovvero fino all’orizzonte lontano e irraggiungibile.

LUBIANA – Slovenia Diario di viaggio

In un istante prendo la decisione di andare a vagabondare per un paio di giorni in Slovenia. Preparo lo zaino, accendo l’auto e in meno di cinque ore parto da Milano per giungere insieme al mio socio Tommaso a Lubiana, capitale della Slovenia.

Arriviamo bagnati da una pioggerella leggera che ci accompagnerà per tutto il weekend. Alloggiamo in un ostello a due passi dal centro. Depositiamo gli zaini e iniziamo il tour. Costeggiando il fiume Ljubijanica che bagna tutta la città e proseguiamo verso il centro. Qui camminando per i principali quartieri storici venendo accolti da una bellezza unica, regalata dal misto di medioevo, barocco e di liberty.  I ponti sono la vera caratteristica di questa cittadina. Dal nuovissimo “ponte dei macellai” costruito nel 2010 ubicato a due passi dal mercato dei macellai e soprannominato il ponte dell’amore, dove centinaia di innamorati legano un simbolico lucchetto alla ringhiera del ponte. Poi il “triplo ponte” che collega il centro storico alla parte moderna della città concludendo con l’affascinante  “ponte dei draghi” la prima opera in cemento armato di Lubiana che quasi spaventa alla vista delle statue dei draghi che appaiono semi reali!

Camminando si resta affascinati da questa cittadina tanto che risulta impossibile non fermarsi per scattare delle foto. Una quiete silenziosa sembra galleggiare dal lento fiume e giungere dritta fino ai ciottoli dei sentieri che compongono gli antichi quartieri. Il cibo da strada è parte integrante della città e il buon vino fa il resto. Dall’alto di una collina il castello di Lubiana osserva e protegge tutta la capitale attirando ogni curiosità verso di se. Naturalmente decidiamo di salire per visitarlo. Costruito più di 900 anni fa viene ora visitato dai turisti per la sua attrattiva principale: la torre. Salendoci in cima si può ammirare la vista panoramica dell’intera Lubiana dall’alto. Uno spettacolo!  L’area del castello è stata abitata fin dal 1200 a.c e si pensa che la cima della collina sia stata un accampamento dell’impero romano dopo un periodo celtico e illirico.

La sera Lubiana si sveste dall’abito di cittadina tranquilla per indossare il più caotico e allegro vestito che possiede nell’armadio. Decine di pub colme di gente sorridono alla meravigliosa aria fresca che si infrange festante sui bicchieri di centinaia di cocktail e birre! La mattina dopo proseguo il mio tour visitando il mercato centrale e la cattedrale di San Nicola. Essa è uno dei più bei esempi di arte barocca in Slovenia. Cammino poi  verso il parco Tivoli, il più grande parco della città con un’area verde di 510 ettari. Mesti Trg è il cuore antico della città, una piazza contornata da edifici, costruiti dopo il devastante terremoto del 1511, che la decorano donandole un aspetto fortemente barocca.

Unica pecca è stata la mia “non visita” alla biblioteca di Lubiana. Un imponente edificio rettangolare di quattro piani, quattro ali e due cortili interni decorata con meravigliosi mattoni rossi. Al suo interno sono contenuti  importanti manoscritti medioevali e stampe rinascimentali, oltre a possedere la più ampia raccolta di letteratura del Paese. Purtroppo gli orari d’apertura non mi sono stati amici e per trovare la biblioteca aperta al pubblico avrei dovuto attendere il lunedi. Beh la userò come una buona scusa per poterci ritornare ancora!

 

SOFIA- Diario di viaggio

Meravigliato dal fascino malinconico dell’est europeo, torno a visitare Sofia, la capitale della Bulgaria.

La città è circondata dalle montagne, i monti Balcani, e questo colpo d’occhio le dona un vestito verde che non ti aspetti. Dopo aver attraversato con un taxi parte della città, io e il mio compagno di viaggio Tommaso ci rechiamo all’ostello, posto quasi in zona centro. Giusto il tempo di recuperare una cartina della città, ci buttiamo subito zaino in spalla per le vie della capitale bulgara. Le prime impressioni sono le solite di quando si visita una città dell’est europeo. Si percepisce molto il degrado post sovietico e lo si assapora passo dopo passo. Insomma abitazioni e mura grigiastre con intonaci distrutte e mai più ricostruite, fili penzolanti dai pali della luce che attraversano la strada e tante automobili “antiche” che in Italia si usavano negli anni 90… Poi cammino incrociando le mura della vecchia Serdica, la Sofia romana antica, davvero meravigliosa. Accanto moschee e chiese ortodosse. Questo mix di edifici culturali e di periodi storici diversi donano un  fascino unico a questa città.

Prima di incomiciare il tour, mi fermo a pranzare in un ristorante tradizionale bulgaro. Il cibo è buonissimo! si inizia con della zuppa e si continua con piatti unici di pollo e patate con delle salse bulgare sensazionali! si accompagna il tutto con del pane e con della buona birra.

Il nostro giro inizia con la visita del simbolo della capitale, la cattedrale di Alexander Nevskij. E’ il più importante luogo religioso di Sofia e non a caso è l’unico monumento illuminato anche di notte. Costruita tra fine 800 e inizio 900 in stile bizantino è una delle chiese ortodosse più grandi del mondo. A pochi metri di distanza visitiamo anche la chiesa di Santa Sofia costruita nel IV secolo sui resti di numerose chiese precedenti e della città Serdica (la Sofia Romana)

Con i kiwei fradici sotto la pioggia battente, giungiamo in uno dei punti per me più emozionanti: La Rotonda di San Giorgio. Considerata il più antico edificio di Sofia. Una piccola meraviglia di soli 10 metri quadrati, un tempio pagano poi trasformata in chiesa. Qui di colpo la pioggia smette di cadere lasciandomi immortalare con una stupenda foto le più antiche rovine della città.

La sera visitiamo il quartiere festoso di Boulevard Vitosha e di Utilsa Rakovski ricco di discoteche, ristoranti e tanta movida.

 

L’indomani con un taxi mi reco a Boyana. un paese alle porte di Sofia poggiato sopra una verde collina. Qui sorge una meravigliosa chiesetta medioevale. Si pensa che, proprio al suo interno, l’arte rinascimentale europea venne dipinta dai suoi primi precursori.

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Boyana church

Salgo sulla scalinata di una delle chiese ortodosse medioevali più belle al mondo. E’ patrimonio mondiale dell’UNESCO. La sua fama la deve agli affreschi che contiene al suo interno. Al suo esterno una natura unica di alte sequoie secolari… una meraviglia!

La pioggia non smette mai di cessare ma non mi basta per placare la fame di curiosità. Tornando verso il centro della città rimane da visitare un’altra splendida chiesa anch’essa patrimonio dell’UNESCO. La chiesa russa di San Nicola. Il colpo d’occhio dall’esterno è fantastico! le cinque cupole dorate dominano il vestito della cattedrale che illuminano la sua lucente bellezza. Al suo interno resto ipnotizzato dalla cerimonia religiosa ortodossa. Ne resto cosi tanto affascinato che ci resto dentro per quasi un’ora.. Una cerimonia molto mistica dove i fedeli sono intenti ascrivere bigliettini all’Arcivescovo Seraphim morto nel 1950 ma che in fin di vita espresse il desiderio di continuare a ricervere in modo che lui continuasse a prendersi cura di loro.

Chiesa russa di San Nicola
Chiesa russa di San Nicola

Resto davvero sorpreso dal fascino di Sofia. Sarà forse per il suo volto timido ma colmo di storie antiche vestite di un malinconico abito dell’est, o per i suoi occhi grigi e freddi che ti ipnotizzano fino a farti innamorare delle sue strade e le sue chiese. Saluto Sofia dandole un bacio sulla guancia promettendole di ritornare, sussurrandole nell’orecchio di non preoccuparsi perché resterà per me una delle più belle “donne” con cui abbia viaggiato nelle mete d’Europa.

Alessandro Cusinato

MADRID- diario di viaggio

Dici e pensi a Madrid e la prima cosa che ti viene in mente è la parola “movida!”… Ma vi assicuro che c’è molto altro…

Alloggio in un quartiere poco lontano dalla stazione dei treni di Atocha e ogni giorno a piedi con il mio immancabile zaino in spalla, macino chilometri per esplorare la calorosa città.

Ma questo mio diario voglio iniziarlo al contrario, ovvero dalla “noche”… Tutto inizia al tramonto camminando affamati, attirati dalle luci e i profumi dei suoi ristoranti. Come tori attratti da un panno rosso, si finisce al loro interno gustando tapas, paella e sangria. L’atmosfera spagnoleggiante fa il resto, riempiendo l’arena notturna dei locali madrileni di gente. Ha ufficialmente inizio la movida, dove non solo panni rossi ma di ogni colore, fanno ballare insieme tori, toreri e ballerine…

Di giorno il suo fascino è quello di una città elegante, vestita sempre con abiti colorati ma con quello spiccare di rosso e giallo in più. Camminando per le sue caratteristiche vie, si percepisce subito di essere nella calorosa Spagna. il bello di questa città è che nonostante contenga molte infrastrutture moderne sia comunque riuscita mantenere intatta la sua storia e originalità.

Appena si giunge qui non si può non recarsi nella Plaza Major. Di forma rettangolare e attorniata da porticati, è la piazza principale della città. Dopo una stancante camminata zaino in spalla bisogna recarsi allo storico Mercado de san Miguel! uno dei pochi mercati coperti di Madrid in stile Liberty, dove tra i vari prodotti tipici si può assaporare il mitico Jambon Iberico e il Pata Negra… non cè nulla di meglio di un bel panino per integrare la fame di curiosità.

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Parque de Retiro

Madrid è una città verde piena di parchi tra cui il Parque del Retiro. Al suo interno un enorme giardino lo attraversa, e un grande lago artificiale fa da specchio al monumento ad Alfonso, principale punto d’interesse del parco. Io e i miei compagni di viaggio specchiandoci nel lago, ammiriamo in lontananza l’immagine imponente del monumento. Ma ricordandoci di essere nel paese della “fiesta” posiamo gli zaini e ci rechiamo ad un cherenguito per sorseggiare altra sangria!

Girovagando per le affascinanti vie, giungiamo davanti al più antico ristorane del mondo: il “Sobrino de Botin”. La sua nascita è datata 1725. Purtroppo possiamo solo guardarlo da fuori perché i prezzi all’interno sono inaccessibili per noi!!!

i giorni successivi mi reco in uno dei più imponenti e splendidi palazzi d’Europa: il Palacio Real, residenza ufficiale del Re di Spagna. Al suo interno immense sale, quadri, statue e tanta ricchezza sanciscono quella che era ed è la potenza dei reali di Spagna. Davvero affascinante. La cosa che più inorgoglisce è che la maggior parte delle sue opere d’arte sono create dalla mano di artisti italiani. Vi sono pitture del nostro Bernini e una sala contenente una collezione unica di violini costruiti dal nostro Antonio Stradivari.

Il museo del Prado completa la vena artistica della città. Al suo interno uno dei miei quadri preferiti: Il Giardino delle delizie  la più famosa opera del pittore Bosch. Il dipinto raffigura tre scene che da sinistra verso destra rappresentano l’umanità. Nel primo riquadro vi è la creazione con un giardino dell’Eden rigoglioso e Adamo ed Eva, nel pannello centrale figure di uomini e donne nude, animali immaginari, frutti e nel pannello di destra vi è rappresentato l’inferno con demoni e la natura distrutta. Secondo l’immaginario di alcuni, l’autore vuole ammonire l’umanità per aver portato il mondo da un giardino meraviglioso qual’era ad una prossima distruzione… attraverso i suoi vizi, il suo capitalismo, le guerre e l’inquinamento… Un quadro che non smette di apparire nella mia mente. Dovremmo tutti possedere una sua copia sul nostro comodino e ammirarlo ogni mattina e sera. Ma sopratutto dovrebbero vederlo i potenti della terra che senza scrupoli ci stanno portando verso il terzo pannello di quel quadro. Vi lascio con sua l’immagine sperando che serva come riflessione per migliorare la vita del nostro splendido pianeta. Buena vision…

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“Il Giardino Delle Delizie” esposto al museo del Prado

Alessandro Cusinato

BERLINO e il suo muro- Diario di viaggio

E’ forte la mia curiosità per la capitale tedesca. Curiosità derivata dalla sua grande storia. Una fama che l’ha resa protagonista durante la seconda guerra mondiale ma sopratutto dopo, con la costruzione del suo famoso muro. Ora zaino in spalla. Non vedo l’ora di esplorarla!

Giungo a Berlino ed immediatamente la sua grigia atmosfera tipica delle città del nord mi colpisce. Alloggio in zona centrale. il mattino faccio colazione allo Starbucks con del caffè “quasi” buono. Siamo nel mese di Aprile qui fa freschino, e qualche nuvola ricopre la città. Nonostante ciò io e i miei due compagni di viaggio Maria e Cristian, affittiamo delle bici e insieme pedaliamo percorrendo parte della città. Non cè niente di meglio nell’abbinare la fame di conoscenza ad una sana pedalata! saliamo in sella facendo tappa presso i più importanti monumenti storici. La porta di Brandeburgo, il palazzo del Reichstag, il monumento ai caduti ebrei. Qui però inizia a pervadere un senso di tristezza e malinconia che fa pensare alle vittime della guerra e alla maledetta dittatura che l’ha dominata.

 

 

Davanti al Kaiser-Wilhem-Gedachtniskirche ( vecchia chiesa rovinata dai bombardamenti della guerra) pranziamo con patate e carne. Ammirandola si nota il contrasto tra la rovine antiche e la parte moderna della città. Questa chiesa è una chiara testimonianza degli orrori della seconda guerra mondiale.

 

 

Costeggiamo il fiume Sprea, che ai tempi sostituiva il muro che delimitava il confine tra l’est e l’ovest e giungiamo nel luogo che mi ha suscitato il bisogno di “venire” a Berlino. Finalmente davanti ai miei occhi appare “Il muro” o perlomeno quello che ne rimane… per fortuna! Da lontano appare come un semplice muro di cemento armato, ma più ci si avvicina e più si percepisce dentro una sensazione di “freddo”. Già, proprio come la guerra che da anni ha contrapposto le due superpotenze mondiali, che poi si sono spartite in due fette la città sconfitta.

 

Su di esso dei murales colorati tentano di far riaffiorare felicità laddove si era persa per per decenni. Devo ammettere che in alcuni tratti ci riescono in pieno, come nel punto dove vi è rappresentato il bacio tra Regan e Gorbaciov. Ma nella maggior parte del suo percorso no… Vi sono dei punti, con delle targhe commemorative con incisi i nomi e le storie di uomini, donne e bambini caduti, che dal versante ovest verso est o viceversa tentavano di oltrepassare il muro. Tutto questo mette i brividi. Noto una netta differenza tra la parte est (ex russa) costituita da vecchi palazzi e la ovest ( ex americana) molto più nuova e modernizzata. la differenza la si vede ancora oggi da una facciata all’altra del muro. Dalla parte sovietica non vi è traccia di disegni e colori mentre in quella americana i murales ne dominano la scena. Questo perché la vecchia dittatura comunista dell’est non permetteva nessun tipo di disegno sul muro.

La sera però Berlino lascia a casa quel suo velo di malinconia trasformandosi in una delle città più allegre e festose d’europa! Alexanderplatz è uno dei centri di festa e noi la abbracciamo mangiando wurstel, crauti e bevendo birra! I giorni successivi visito la più importante chiesa della capitale tedesca : Il duomo di Berlino. Finalmente un tiepido sole illumina scaldando l’anima della fredda città. Camminando mi reco presso lo storico Checkpoint Charlie , un importante posto di blocco situato tra il settore sovietico e quello statunitense.

 

Venne istituito nell’agosto del 1961 in seguito alla costruzione del muro di Berlino per permettere il transito del personale militare delle forze alleate, del personale militare sovietico di collegamento, del personale diplomatico e dei visitatori stranieri. Qui ora è possibile fare delle foto con dei “veri finti” soldati americani che restano in piedi sull’attenti nel vecchio posto di blocco. Tutto questo perché a pochi metri si trova il “museo del muro” che visito interessato.

 

Resti del muro sono presenti in gran parte della città ed è giusto che siano ancora visibili. Penso che le generazioni future debbano sapere cosa sia accaduto qui in passato, in modo che questo scempio non accada mai più. Venire qua e pensare che fino a pochi anni fa questa città venne divisa da un muro per i capricci di guerra fa rabbrividire. Un muro lo si immagina come un qualcosa di protettivo ma non di divisorio. Ora vedere il muro crollato mi fa sentire sollevato. Nonostante il suo passato burrascoso Berlino è una delle città più vive d’europa. Non bellissima ma parecchio affascinante e molto malinconica. La storia dell’umanità è passata da qui con le sue sfaccettature grigie che ora si stanno colorando, dipingendo di vita le pareti di cemento del suo muro.

Alessandro Cusinato

 

 

 

Diario di viaggio – OMAN – Muscat

Muscat. Capitale dell’Oman.  La città sorge sul golfo dell’Oman ed è circondata solo da montagne e deserto.
Camminando per le vie della città noto immediatamente che l’antica tradizione araba ha preso il sopravvento sulla ricchezza derivata dal petrolio.
Mi aspettavo di entrare in una città araba come Dubai, Abu Dabi o Doha ormai sopraffatte dai milionari soldi dell’ oro nero che ne hanno cambiato per sempre la loro immagine.

Invece con mio sorprendente stupore noto che nessun grattacielo si innalza tra la sabbia del deserto, ma solo case basse bianche, tipiche della tradizione araba.
Addentrandomi nelle viette della vecchia old town l’odore di incenso soffoca i miei pensieri.
Cammino fino al porto entrando in una grande piazza rettangolare sulla quale si affaccia il Palazzo del Sultano.
Qui però la prima cosa che balza agli occhi è la grande ricchezza di cui è costituito il palazzo. Le colonne della sua facciata sono arrotondate e il colore che lo decora è l’azzurro e il color oro. Uno spettacolo d’architettura  costruito circa duecento anni prima dal Sultano Bin Ahmed.
Socchiudo gli occhi restando ipnotizzato dalla voce che fuoriesce da un altoparlante, che leggera rimbalza nella piazza fino alle mie orecchie. E’ La voce di un Imam che prega, rendendo questo luogo davvero magico.

sultano

Giungo finalmente alla grande Moschea del Sultano. Il colore bianco delle mura domina la scena, trasmettendo a tutti una sensazione di purezza. Una grande cupola contornata dal color dell’oro rende al sito religioso potenza e ricchezza.
La moschea è di costruzione recente terminata nel 1996.

Prima di entrare, degli addetti alla moschea, mi consegnano una tunica da indossare.
È di colore grigio e mi copre ogni parte del corpo esclusa la faccia. Copre sopratutto i miei tatuaggi non benvenuti all’interno della casa di preghiera islamica. Infine Prima di entrare mi tolgo le scarpe. Ora sono finalmente pronto mentalmente, ad addentrarmi in quella mistica atmosfera..
Sembra di essere immersi in un atmosfera fiabesca tipica delle storie de Le Mille e una notte..
Faccio il giro di tutta la Moschea circondata da cinque minareti simbolo dei cinque pilastri dell’Islam:
 1- Le testimonianze di fede
2- Le preghiere rituali
3- l’elemosina
4- Il digiuno durante il mese di Ramadan
5- Il pellegrinaggio a La Mecca

Attraverso la cosiddetta stanza delle donne ed entro in quella degli uomini famosa per aver al suo interno il secondo tappeto più grande al mondo e il lampadario più grande, interamente costituito da cristalli di Swarosky. La guida mi racconta che l’imponente tappeto di oltre quattromila metri quadrati è stato annodato a mano da seicento donne in soli quattro anni di lavoro.
Rimango affascinato dalla bellezza della moschea, un luogo magico, mistico e meraviglioso.

L’Oman è uno degli stati arabi ancora non “rovinati” dai profitti derivati dal petrolio.
La sua natura è ancora intatta come le sue tradizioni, e lo rendono uno stato tra i più affascinanti ed accoglienti d’Arabia. Tutto questo grazie al loro Sultano che non si è fatto abbindolare dalla ricchezza sfoggiata dagli sceicchi suoi vicini di casa degli Emirati Arabi che per attirare turismo hanno costruito cemento su cemento, sfidando e superando ogni record del mondo. Così facendo hanno portato si del benessere al loro popolo, ma hanno cancellato per sempre i veri valori e le tradizioni arabe che unite alla natura selvaggia di questa arida e rovente terra lo rendono uno dei luoghi più affascinanti del mondo. Un pezzetto di cuore io lo lascio qui, tra le terre selvagge e ricche di storia dell’Oman.
Alessandro Cusinato

Diario di viaggio Perù – LAGO TITICACA

21 AGOSTO – LAGO TITICACA
E’ il giorno dell’escursione sul Lago Titicaca. Non nascondo la mia forte emozione. E’ un lago speciale, unico ed è il navigabile più alto al mondo situato a 3800 metri d’altitudine sulle Ande condiviso tra il Perù e la Bolivia. Nella zona peruviana è abitato da una tribù meravigliosa : Gli Uros.
Un popolo che vive sulle cosidette “isle fluttanti “ovvero le isole galleggianti.
Il motivo del loro vivere in maniera cosi estrema è stata conseguenza del loro passato. Infatti i continui attacchi da parte dei popoli più guerriglieri come gli Aymara e gli Inca, hanno costretto questo popolo a rifugiarsi su delle verie e proprie isole galleggianti costruite da loro stessi per sfuggire alla furia dei loro nemici.
Salgo sul traghetto che in mezz’ora di navigazione mi condurrà al villaggio Uros.

 

Il colpo d’occhio è spettacolare, il lago è immenso tanto da sembrare un mare con il verde della palude d’erba che ricopre la superfice scura dell’acqua. Sopra riflette un cielo azzurrissimo bagnato dalle bianche nuvole provenienti dalle cime delle Ande. Con lo sguardo osservo piccole barche di pescatori che lentamente passano di fianco al traghetto. Ad un tratto appaiono tante isolette di colore giallo. Sembrano fatte di paglia e mescolate alla vista del lago, donano l’impressione naturale di stare davanti ad uno splendido quadro appena dipinto. Sopra le isole tante casette anch’esse di colore giallo e nel mezzo tanti colori, tanti quanto l’arcobaleno. Sono i colori degli abiti degli Urus. Rimango meravigliato! non vedo l’ora di scendere dalla mia barca e salire su una di quelle isole per poter conoscere questa gente. Della loro cultura e delle loro tradizioni ne avevo sentito parlare solo nei libri che ho letto e in prima persona da una mia amica che aveva visitato questo posto lo scorso anno e solo il suo “raccontarmi” mi aveva fatto emozionare.. Chissà dal vivo ora cosa proverò!

 

Salgo su una di quelle isole. La guida peruviana ci informa che il villaggio è composto da 90 isole sparse per il lago e ognuna di esse è abitata da una o più famiglie Uros.
Vengo accolto calorosamente dal loro saluto in lingua queqha. l’isola è abitata da tante donne coi loro bambini. Bellissimo! Sono un popolo solare, genuino e semplice ancora ancorato alle antiche tradizioni. Ancorato come lo sono le loro isole al fondo del lago. E’ bello osservarli mentre parlano,camminano, mangiano e lavorano in mezzo agli intrecci del bambu dell’isola galleggiante. Sono fuori dal mondo dispersi in mezzo al lago e ci galleggiano sopra come se nulla fosse. Sorridono sempre, sono colorati e bellissimi. Le donne portano cappelli grandi di paglia o cappellini da sole con la visiera e indossano abiti colorati di alpaca per proteggersi dal freddo e dall’umidità. Ogni isola ha un presidente a rappresentarla ch a ogni turista sbarcato racconta le tradizioni e la cultura di questo popolo. Il presidente ci spiega come sopravvivono pescando e che pesci pescano, ci spiega come fanno a costruire le isole, ci mostra come cuciono i loro tipici abiti.

 

E’ tutto talmente affascinante che rimango incantato appena noto una ragazza Uros seduta con le gambe incrociate davanti alla sua casetta gialla.
Sulla testa un grande cappello giallo di paglia, un vestito bianco a maniche lunghe, un gilet rosa sopra il vestito raffigurante dei disegni simboli del suo popolo. I capelli sono neri proprio come la sua pelle e dal cappello spunta una splendida treccina che ricade davanti alla sua spalla destra. Una gonna verde foresta e sopra ad essa una copertina colorata. Ad un tratto lei resta immobile con gli occhi spalancati e la bocca aperta. immersa in chissà quale pensiero..E’ bellissima!!!…
Lesto le scatto una foto, forse la foto più bella e significativa del mio intero viaggio.

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Meraviglia!!!

La scatto anche con la mente. Il suo ritatto di donna mi conquista, mi rapisce e mi invaghisce. Resto sedotto dalla sua semplicità. Lei non porta vestiti firmati, borsette, scarpe con il tacco o il rossetto, ma veste solo di tradizioni e genuinità. Non è una top model, ma il suo fascino la rende ai miei occhi la donna più bella del mondo. Me ne innamoro perdutamente, un colpo di fulmine al quale non sò dare spiegazione. O forse si. In lei vedo lontani lo stress della società in cui viviamo, non vedo la necessità che ha ogni donna nel comprare il vestito più bello, nell’indossare le scarpe più chic, nell’apparire la più bella davanti agli altri. Non vedo l’egoismo della maggior parte delle donne europee che conosco. Non vedo la fretta nel fare le cose, la rabbia per non aver comprato il cellulare nuovo. Ma vedo solo lei. Colorata del suo sorriso e di quel poco che la vita le ha donato ma che per lei è tutto: il sole, il lago, una casetta, una famiglia.
Osservo un’altra donna con al fianco una ragazza sui vent’anni anch’essa splendidamente colorata.

 

Mi guarda e parlandomi in spagnolo, mi chiede di comprare qualche gadget fatto a mano da loro.
Sorride in continuazione e non è affatto un sorriso finto fatto esclusivamente per vendermi qualcosa.
Lo si capisce che è vero che non è forzato. Cosi mi mostra una tovaglietta di stoffa dipinta a mano con disegnati i simboli del suo popolo. La compro. Voglio portarmi via i ricordi e i simboli più veri, tipici della loro cultura.
Poi noto dei piccoli dipinti disegnati con acquerello. In uno cè raffigurato un uomo su una piccola barca che sta pescando, in un altro u uomo e una donna su una barca girati di spalle con la luna e le stelle a illuminarli. Le chiedo che significato abbiano e soprattutto chi li ha dipinti.
Lei mi risponde con un sorriso: “il primo è il mio papà che va a pescare! il secondo sono la mia mamma e il mio papà quando si sono innamorati..” e poi conclude: ” e li ho dipinti io..”
Emozionato e fiero, acquisto questa grande opera d’arte creata dalla fantasia di un’artista bambina.
Riparto con il traghetto verso la “Isla Taquile”, un isola rocciosa e selvaggia in mezzo al lago abitata da Taquileni.

 

Torno verso la riva e la città di Puno con un lago interiore di emozioni molto profondo. La giornata di oggi mi ha segnato molto in positivo. Sono sicuro che quando sarò lontano da qui e ne avrò bisogno chiuderò gli occhi per immaginarni galleggiare in queste acque con i colori e la purezza di questo splendido popolo.

Diario di Viaggio Perù – MACHU PICCHU

17 agosto –   L’ombelico del mondo
Passo la mattinata a recuperare il sonno e le energie consumate per la montagna arcobaleno. Esco per un ultimo giro a Cuzco. Mi rattrista molto lasciare questa cittadina. I giorni passati qui mi hanno reso una persona nuova, la sua energia mi ha riempito l’anima. I colori di questo popolo hanno dipinto i miei pensieri di sorrisi e positività.
Gli occhi grandi di quelle donne con i loro bimbi a mo di zaino sulle loro schiene non li potrò scordare. Cosi come i volti rugosi degli uomini scolpiti dall’aria di montagna. I loro sorrisi genuini come le viette strette fatte di antichi ciottoli che sembrano muoversi e camminare inseme a me. La città mi sembra viva e come se fosse una persona a cui confidare senza timore i propri pensieri e le emozioni.
L’ombelico del mondo è qui.
Si, ora ne sono sempre più certo…

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18 agosto
MACHU PICCHU
Saluto Cuzco salendo su un piccolo bus che in un paio d’ore attraversando paesini dispersi sulle Ande, mi condurrà a Ollantaytambo.
Qui salirò sul treno dei treni “l’Inca rail ” che mi porterà a sua volta a Aguas Caliente cittadina ai piedi di Machu Picchu.
Il viaggio in treno Inca rail è uno dei più spettacolari che abbia mai fatto. Il percorso che attraverso è meraviglioso. il treno costeggia il fiume Urubamba e tutta la valle sacra Inca, terminando il suo viaggio all’inizio della selva amazzonica nel mezzo di montagne altissime ricoperte di vegetazione. L’Inca rail è dotato di un tetto panoramico adatto per far ammirare ai turisti la bellezza della foresta selvaggia che si arrampica sulle Ande. Girando lo sguardo fuori dal finestrino si rimane colpiti dalle rapide veloci del fiume Urubamba contenenti rocce imponenti che con la loro grandezza deviano il corso dell’acqua. Uno spettacolo naturale a cui assisto compiendo un viaggio nel viaggio. Insomma per me è il viaggio in treno più bello di sempre.

Arrivato a destinazione mi metto a cercare come un disperato l’albergo che mi ospiterà la notte prima di salire a Machu Picchu. Con la mappa in mano mi perdo in una cittadina finta, costruita soltanto per ospitare i turisti che si recheranno al sito archeologico Machu Picchu. Insomma non mi piace proprio! tante bancarelle con souvenir, alberghi e ristoranti e niente di più! Cè troppo business qui fatto per sfruttare l’immagine di Machu Picchu. Non sò se gli antichi Inca apprezzeranno dalle loro tombe tutto questo.
Mentre penso di essermi perso tra le viette, incontro per un puro caso del destino tre ragazze spagnole provenienti dai paesi Baschi. Iniziamo a parlare e viene fuori che anch’esse si sono perse e alloggiano nello stesso mio albergo. Cosi iniziamo insieme a cercarlo. Sono le 21,00 ed entriamo nell’albergo. Nel frattempo inizia a piovere.  Ci diamo appuntamento l’indomani mattina per salire insieme a Machu Picchu. l’appuntamento è prestissimo alle 3,30 pronti per affrontare la fila di gente che prenderà il bus per salire sul sito archeologico piu importante del Sudamerica.
Intanto continua a piovere sempre più insistentemente, saluto le ragazze, salgo in stanza e esco a cenare. Mangio un piatto tipico di questa zona: las truchas ( trota) buonissima!
La pioggia però scende sempre più forte e sembra non voler cessare. Torno in albergo ma non  chiudo occhio. Sono troppo emozionato. Sono le 22,00 e tra poche ore vedrò e realizzerò il sogno della mia vita : il Machu Picchu!
Non penso alla pioggia perchè sono convinto che domani mattina cesserà. Insomma non è possibile ! è tutta la vita che aspetto questo giorno e non può di certo piovere! cavolo!
Suona la sveglia sono le 3,00 fuori è buio e diluvia. Sono troppo agitato ed entusiasta. E’ arrivato ” IL GIORNO DEI GIORNI !! ” Scendo a far colazione e incontro le tre ragazze Spagnole e insieme ci rechiamo alla fermata del bus. Diluvia e compriamo degli impermeabili. Verso le 5,30 saliamo sul bus e finalmente alle 6,00 arriviamo all’entrata di Machu Pichu!!
Non stò più nella pelle ..
Il mio cuore smette di battere anzi no batte ancora più forte..
Entro e la pioggia che cade sul mio impermeabile rimbalza sul mio viso confondendosi con le mie lacrime. Un brivido freddo mi attraversa dalla testa fino ai piedi ma fermandosi prima dalle parti del cuore. Mi sento sollevato da terra ma incollato al sentiero che gli Inca costruirono. Piango e rido. Non riesco a smettere di girarmi intorno come un bambino felice.

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Non ci credo non può essere vero è tutta la vita che aspettavo questo giorno!
Cerco di mantenere la calma e respirando lentamente ascolto la guida che in spagnolo racconta a me e alle mie amice basche la storia di questa meraviglia del mondo.
Camminando lungo il sito vedo finalmente tutto quello che avevo letto e visto nei libri e nei documentari, attraverso i terrazzamenti, le abitazioni di pietra, i canalini costruiti per irrigare e assetare la popolazione. E’ enorme! più di quanto lo si possa immaginare e poi è cosi in alto tra le nuvole come se fossimo sospesi nell’aria.
Proprio una grande nuvola bianca all’improvviso attraversa il sito. Una fitta nebbia ci soccombe e insieme ad essa continua la pioggia.
” Oh nooo..” penso io.. ” non si vede più nulla..il peggiore dei giorni per venire qui..” mi rattristo e la guida lo nota rassicurandomi che verso le 10,00 si schiarirà.
Sono un pò nervoso, vorrei tanto scattare delle foto ricordo da portare con me per tutta la vita ma se questo tempaccio non cambierà tutto sarà inutile.  Cosi cerco di calmarmi e sorrido, sò che più tardi si schiarirà. Sò che gli Inca mi faranno questo regalo, sò che madre tierra Pachamama mi osserva e vuole che io sia felice.. sò che il dio sole Inti oltrepasserà quella nube e farà cessare la pioggia.
Verso le 10,30 il miracolo! cessa a pioggia e il sole bacia il luogo per me più bello al mondo! l’energia che percepivo fin poco prima ora si miltiplica. Le tre ragazze spagnole notano la mia allegria dicendomi ” Ale tu sei troppo emozionato sei la felicità in persona ! fai parte di questo luogo e di questa terra…”
Rido e poi ripiango ancora. Tocco le rocce, bacio la terra, penso al Condor al puma e al serpente. Agli Inca e alla natura.
Saliamo più sù nel punto dove si scatta la cosidetta foto classica e la vista della cittadella è la più totale. Tutt’intorno le Ande composte dalle quattro montagne sacre Inca, la foresta e molto più giù il sacro fiume Urubamba.
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Una vista sensazionale sognata per tutta la mia vita e fotografata con tutta la mia mente.
Proseguo il percorso all’interno del sito percorrendo prima il cammino del Sol e poi il più insidioso sentiero che conduce fino al Ponte Inca. Percorro sentieri stretti mozzafiato a picco sulla fitta foresta amazzonica. Uno spettacolo unico al mondo il trekking più bello si sempre.
verso le 14,00 usciamo dal sito. Osservo assopito per l’ultima volta quello che era sempre stato “il mio sogno”. Era, perchè ora l’ho realizzato.. Lo guardo bene gli parlo piango ancora sorrido. Un energia innaturale sembra attraversarmi il corpo, mi sento un uomo nuovo fiero di me stesso e positivo. Esco salutandolo con un bacio sulle pietre. Cosi facendo dò un bacio alla Pachamama (madre terra). Saluto gli Inca. Grazie !
All’uscita passo per il timbro di Machu Picchu sul passaporto. Altra gioia! bacio anche il timbro!

Ora è tempo di tornare a Aguas Caliente e scendo a piedi tra i sentieri della montagna accompagnato dalle tre mie amiche. In paese ci fermiamo a bere una birra per festeggiare iln grande giorno passato e per salutarci dato che le nostre strade qui si dividono: di li a poco loro prenderanno un bus che li farà proseguire viaggiando in Bolivia mentre io dovrò tornare verso Cuzco per poi andare a Puno.
Ho passato momenti indimenticabili con loro e mi prometto che un giorno andrò a Bilbao a trovarle.
La sera in albergo ripenso ancora alla giornata appena vissuta. Non riesco a capacitarmi ancora di essere stato a Machu Picchu! spengo la luce e sorrido ancora. Chiudo gli occhi e sogno.
Oggi è stato il giorno più bello della mia vita.

Diario di viaggio Perù- MONTAGNA ARCOBALENO

16 AGOSTO
Montagna arcobaleno (Apu Winicunca)
la sveglia suona alle 2,30 di notte. Sono teso ed emozionato perchè quest’oggi affronterò un’avventura molto particolare. Non da tutti. Superare i 5000 metri d’altitudine camminando per ore con pochissimo ossigeno.
Ho visto molti filmati riguardanti questa escursione e sò che non è facile affrontarla, ma la voglia di esplorare e superare me stesso è troppa.
Alle 3,30 passa la guida peruviana a prendermi e dopo una camminata per le vie dormienti di Cuzco, alle 4,00 salgo sul bus che mi condurrà lassù a quota di partenza di 4500 metri.
il viaggio in bus dura circa tre ore e le passo tutte dormendo. Meglio cosi perchè almeno non assisto alle manovre da pazzo che compie l’autista del bus sui sentieri a picco delle Ande.

 

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Verso le 7,00 arriviamo a destinazione. Scendo dal bus e il paesaggio che mi accoglie è uno dei più suggestivi al mondo. Un’ampia vallata di rocce di color giallognolo e marrone contornate dalle cime più alte delle Ande Sudamericane.  Al campo base domina un grande cartello verde con incisa la scritta “Welcome to mountain colours Apu Winicunca”

Fà molto freddo e subito vengo colto da giramenti di testa e mancanza di respiro, del resto siamo a 4500 metri e me lo aspettavo.
Noto che la stessa situazione stà capitando un pò a tutti. Siamo circa una sessantina di escursionisti di tutte le nazionalità : italiani, peruviani, cileni, brasiliani, argentini, americani, australiani, francesi ecc.. e quasi tutti siamo storditi da quest’aria rarefatta!
Le guide peruviane ci raggruppano in cerchio e da veri leader ci incoraggiano urlandoci contro tutta la loro carica.
Ma mi sento davvero scarico e non acclimatato a questa quota di altura. In effetti sono a Cuzco da soli due giorni e salire qui sopra cosi presto forse è stata una cazzata! era meglio aspettare ancora un giorno almeno, in modo che il mio corpo meglio abituato all’altura ne soffrisse meno la mancanza d’ossigeno. Questo è quello che mi passa per la testa… Ammetto che un pò di ansia mi era salita ma il mio carattere deciso e determinato mi fa calmare. Respiro o almeno ci provo parlo con il mio zaino dicendogli andrà tutto bene!
Entriamo in un tendone del campo base e facciamo una ricca colazione a base di cioccolata, pane, e sopratutto mate de coca.
Il cammino che ci porterà fino a quota di 5200 metri ad ammirare la terra colorata durerà circa tre ore. Cosi Finita la colazione decido insieme ad altri escursionisti di affrontare la prima parte del cammino con l’aiuto di un cavallo. Qui conosco Julia, una splendida ragazza francese anche lei in viaggio da sola.
Insieme cavalcando due cavalli percorriamo il primo tratto di salita. Il colpo d’occhio è bellissimo.

 

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Non sembra di essere sulla terra ma su un altro pianeta. Alte cime Andine probabilmente di 6000 metri ci sovrastano e sulle loro cime si intravede il bianco della neve. Un paesaggio lunare, colorato di malinconici colori giallastri mischiato al verde del muschio, ci ipnotizza. Il profumo dell’aria limpida e incontaminata si inebria dell’intenso odore delle erbe di montagna.
Intorno a me alcuni uomini andini mi seguono con lo sguardo accompagnandomi in caso di bisogno fin sù in cima. Vestono con abiti pesanti, maglioni di alpaca colorati e parlano il Quecha. I più anziani sorridono mettendo in evidenza le rughe, disegnate sui loro volti come fossero montagne scavate nella loro valle di esperienza.
Sono molto poveri è vero.. ma dentro di loro sono molto più ricchi di noi. Vivono in questo paesaggio lunare lontano da tutto e tutti. Vivono in casette di pietra o in tendoni ma quando la mattina aprono gli occhi non vedono lo stress di un sole spento e frettoloso, ma l’azzurro del cielo macchiato dal bianco limpido delle nuvole lente.
il profumo dell’aria fredda mi accompagna e il cielo è più azzurro che mai.. A causa dell’aria pura con poco ossigeno i colori sembrano più intensi più vivi. Branchi di Alpaca pascolano indisturbati liberi di fianco a noi.

 

E’ meraviglioso!
Mi giro ad osservare Julia e noto che anche lei come me si stà emozionando..
L’ultima parte del percorso è da affrontare senza cavallo. Gli ultimi 400 metri sono faticosissimi l’ossigeno è sempre meno e la testa comincia a farmi male. Temo possa accusare il “soroche” ovvero il mal d’altura come lo chiamano qui. Questo può portare a giramenti e mal di testa, mal di stomaco, vomito e persino edema polmonare. Ma sono molto determinato e cerco di non pensare al peggio delle ipotesi.
Piano piano giungiamo a quota 5000 metri! Resto incantato da cotanta bellezza ..
In meno di un attimo il mal di testa sembra passarmi, l’ossigeno di colpo ritornare e la fatica scomparire.
Davanti a me le montagne sono colorate!!!

 

Rimango sorpreso e con la bocca spalancata assaporo tutto l’arcobaleno che ricopre come una coperta la superfice fredda delle montagne.
Si passa da strati di verde al rosso, dal grigio al giallo, dal viola fino al blu.. Qui la natura si è davvero superata dipingendo ad alta quota il suo capolavoro usando un pennello colorato sulla tela insidiosa delle Ande.
Io e Julia scattiamo numerose foto, sia con la macchina fotografica ma sopratutto con la mente.
Saranno scatti che le nostre emozioni non dimenticheranno mai. Il vento soffia sempre più forte e il mal di testa sembra aumentare, ma i nostri corpi ipnotizzati dai meravigliosi colori non ne vogliono sapere di tornare.
Ci addentriamo ancor di più nel cuore della montagna seguendo un difficile sentiero ma ogni passo fatto è equivalente a farne dieci e il fiatone derivato dall’aria rarefatta sta per sfinirci. E’ un ambiente troppo tosto e restarci per troppo tempo può portarci a stare male.
Decidiamo di tornare indietro verso il campo base. Ci aspettano almeno altre due ore e mezzo di cammino in discesa ma pur sempre senza ossigeno.

 

La discesa a quest’altura può sembrare più facile da affrontare ma invece cosi non è.
Il mal di testa inizia a farmi soffrire e anche Julia accusa il colpo. Mastichiamo caramelle alla coca e con il loro aiuto continuiamo la discesa. Intorno a noi branchi di alpaca ci osservano in silenzio. alcuni di loro alzano il collo e fissandoci sembrano dirci ” Non fermatevi manca poco ce l’avete quasi fatta! “. Sono stupendi ci fermiamo qualche istante ad ammirarli.
Due ore più tardi giungiamo stremati al campo base. Pranziamo.
Parlo con Julia ed emozionata mi sussurra che viaggiare da soli è la cosa più bella del mondo, l’arricchimento interiore migliore e che l’esperienza di oggi l’ha memorizzata per sempre nella sua mente e nel suo cuore.
La guardo e sorrido. Penso anche io la stessa cosa. Le dico che sono felice di averla conosciuta. Lei mi risponde ” Lo sono anche io” . Questa montagna e questa ragazza mi hanno donato un qualcosa di magico. La cosa bella è che telepaticamente comunicavo con Julia in ogni singolo istante anche senza volerlo. Questo succedeva grazie a questo luogo incantato e a questi sentieri colorati che ispiravano nelle nostri menti le stesse identiche emozioni.

Diario di viaggio Perù – CUZCO e VALLE SAGRADO

14 agosto
– Verso l’ombelico del mondo – Cuzco
Sto volando verso Cuzco! non ci credo ancora.. Sono troppo emozionato. Tra poco più di un’ora sarò nell’ombelico del mondo..
Così era chiamato dagli Inca. Cuzco in lingua quechua significa proprio “centro” “ombelico”. Già perchè era la capitale dell’impero Inca, nonchè il “centro del mondo”.
L’ho ammirata centinaia di volte sui libri, nei documentari e ogni volta provavo un senso di attrazzione energetica incredibile. Proprio come mi succede osservando le foto e i video di Machu Picchu.
Ma per provare questo tipo di sensazione bisogna conoscere la sua storia. Una leggenda attribuisce la sua fondazione ad un essere leggendario chiamato Manco Capac, insieme a sua sorella e consorte Mama Ocllo, divenuto poi primo imperatore.
La leggenda inoltre dice che questo luogo fu rivelato da Inti (il dio sole). La mappa di Cusco antica ha la forma di un puma ( animale sacro) con la piazza centrale occupata dal petto dell’animale. La testa del puma sarebbe ubicata nella collina dove sta la fortezza di Sacsayhuamàn. La città è situata al centro della cordigliera ad un altitudine di 3400 metri. Era chiamata “centro” “ombelico” perchè secondo la mitologia Inca in essa confluiva il mondo degli inferi ( Uku Pacha) con il mondo visibile (Kay Pacha) ed il mondo superiore (Hanan Pacha). Un luogo mistico, magico carico di energia.

 

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– Atterraggio a Cuzco –
Appena l’aereo apre gli sportelloni vengo colpito da un forte un giramento di testa. Sento troppo la differenza di altura e incomincia a mancarmi l’aria. Faccio fatica a respirare ma sò che è una cosa normale per chi arriva qui. Mantengo la calma e mastico delle foglie di coca contenute in un cesto all’ingresso del piccolo aereoporto.
In albergo mi preparano subito del mate de coca. Una tisana ma con foglie di coca. Serve a far acclimatare l’organismo con l’altura. è buona, calda e devo dire che il suo effetto lo fà. Per tutta la mattinata rimango disorientato fisicamente ma poi pian piano inizio a respirare meglio.
Masticare foglie di coca e bere il mate è una tecnica naturale antica usata dagli Inca ma ancor prima dagli Aymara per sopravvivere a questa quota all’aria rarefatta delle Ande.
Nel pomeriggio esco con il mio zaino in esplorazione per le viette strette di Cuzco e me ne innamoro profondamente. Stradine srette, cielo azzurro, montagne che la circondano, colori dell’arcobaleno indossati dagli abitanti, muri di pietra antica, profumi di festa e tanta musica Andina.
Mi vengono incontro donne colorate con stretti sulle spalle come fossero zaini i propri bimbi, che vogliono vendermi braccialetti dipinti di vita quotidiana andina.

 

Mi muovo per le vie disorientato, un pò perchè non ho ancora superato il mal d’altura e un pò per la mia curiosità. Sono fortemente emozionato. Una sensazione mai provata prima per nesuna città del mondo..
La sera poi Cuzco si veste dei colori delle stelle e di luci regalate dalla Pachamama. (la madre terra)
Le stelle illuminano le stradine di ciottoli della vecchia capitale dell’impero Inca ed attuale capitale della cultura delle americhe.
Qui percepisco, dentro di me, un’incredibile energia,  mai provata prima.. Un richiamo, una voce, una musica proveniente dall’interno dell’ombelico e diretta nel mio io più profondo..
Mi sembra di essere un tuttuno con la città stessa. Mi sembra di essere parte di lei e lei di me. Sorrido, e persino gli oggetti mi sembrano aver vita propria. I sentieri mi parlano indicandomi dove devo andare. Impossibile smarrirsi perchè mi sento stretto mano nella mano da lei e mai lasciato solo. Percepisco una forza incredibile per affrontare questo viaggio e non solo.
Ora capisco perchè per gli Inca Cuzco era il centro dell’universo. Quest’oggi ho captato un’energia positiva incredibile, forse inumana, sovrannaturale che mi stà caricando dentro..
Questa sensazione la sto provando io ora, come un tempo la provavano loro.

 

15 agosto
– Valle sagrado-
Sono pronto per la prima escursione nella valle sacra degli Inca. E’ la valle del fiume Urubamba che attraversa le Ande vicino a Cuzco. Di buona mattina alle 8,00 salgo sul bus che mi porterà come da prima tappa alla cittadina Inca di Pisac. Sul bus stringo amicizia con un ragazzo brasiliano di nome Adhemar. Arrivato a Pisac rimango stregato dalla bellezza del sito archeologico.

 

Davanti ai miei occhi increduli appaiono una una serie di terrazzamenti antichi tipici della cultura Inca che a semicerchio scendono lungo la montagna. Intorno la vegetazione e un sentiero che ripercorre i passi fatti dai cittadini Inca per giungere alle loro abitazioni ancora esistenti situate un pò più in cima.
Seguo il sentiero rimaendo più volte incantato nell’osservare i mitici terrazzamenti. E’ la prima volta che li vedo dal vivo senza il filtro di una pagina di carta di un libro o dello schermo di una televisione. I terrazzamenti erano stati progettatti intelligentemente dagli Inca per poter praticare l’agricoltura su queste alte montagne. Coltivavano mais, patate ecc.. la dove sembra davvero impossibile..
Meravigliato faccio il giro del percorso spingendomi sempre più in alto giungendo davanti a vecchie rovine di abitazioni Inca. Qui conosco un secondo amico brasiliano anch’esso da solo di nome Diego. Con Adhemar e Diego nascerà una forte amicizia.
Come seconda tappa mi attende la magica cittadella di Ollantaytambo. E’ posta a circa 75 chilometri nord-est da Cuzco. Questa fortezza Inca il cui nome significa locanda di Ollantay (il nome di un guerriero) Fu una delle città dove Inca e spagnoli si sono batutti quando Manco Inca cercava di raggruppare la resistenza Inca dopo la disfatta di Cuzco.

Qui delle ripide scale si inerpicano sui terrazzamenti fino ad arrivare al cuore del tempio di cui restano solo le rovine.
Percorrendo i 250 gradini si ha la sensazione di tornare nel passato respirando l’odore della cultura Incaica. Ai piedi di questa fortezza si sviluppa una cittadina, stazione di partenza del treno, che porta ad Aguas Calientes, ultimo avamposto prima di salire a Machu Picchu.