Finalmente un altro cammino. Sarà un percorso più breve rispetto ai più classici ma sarà pur sempre intenso! è il Cammino di Oropa: 68 chilometri tra strada asfaltata e sentieri selvaggi che da Santhià conducono fino al Santuario di Oropa. Un itinerario composto da 4 tappe ma che percorrerò zaino in spalla in soli due giorni.
PREPARAZIONE:
Giungo di venerdi sera tardi a Santhià, insieme a Tommaso e Alessandra, i miei due amici e compagni di camminata. Nel mio zaino tanta voglia di esplorare questa parte d’Italia tra storia e natura.
Siamo in tre ma per motivi organizzativi decidiamo di partire dalla provincia di MIlano con due automobili. Di certo non la soluzione ecologica migliore, ma ahimè l’opzione più percorribile. Vi spiego il perchè: dobbiamo salire con un auto fino al Santuario di Oropa lasciandola parcheggiata a pochi metri dal traguardo di fine cammino. Con la seconda auto invece scendiamo verso Santhià, punto d’inizio del nostro cammino. Facciamo tutto ciò in modo da avere un mezzo di ritorno immediato in caso di arrivo molto tardo sul traguardo di fine cammino. (Dopo un certo orario non ci sono più treni e bus per tornare a Santhià.)
PRIMO GIORNO:
La sveglia suona all’alba e dopo una ricca colazione siamo pronti per affrontare i primi 36 chilometri che da Santhià ci condurranno fino a Sala Biellese. Il viaggio inizia percorrendo un tratto di un altro famoso cammino, quello della Via Francigena. Famoso cammino medievale che conduceva i pellegrini da Canterbury fino a Roma. Per me e Tommaso una piacevole riscoperta dato che già avevamo percorso il tratto di cammino della Francigena qualche anno prima ma in sella alle nostre mountain bike (Ma quella era un‘altra storia e un altro meraviglioso viaggio!) Carichi di entusiasmo attraversiamo la pianeggiante campagna che passa lungo la Via Francigena.
La maggior parte del percorso è costituito da stradine asfaltate che si sporgono su campi coltivati. Incontriamo altri viaggiatori augurando loro un buon cammino! Dopo un grande tratto di pianura, intorno al ventesimo chilometro ha inizio una lenta e semi impegnativa salita. Mentre cammino mi godo il panorama dell’anfiteatro morenico di Ivrea, rilievo morenico di origine glaciale, e del lago di Viverone. Arrivo a Roppolo, dominata da un maestoso castello che dalla fine del IX secolo svetta su tutto il territorio portando con se ricordi di numerosi generali e condottieri tra i quali Facino Cane, Tommaso Francesco di Savoia e Napoleone Bonaparte. Sono contornato da un paesaggio di bosco incantato che sale in direzione Oropa.
Giungiamo stanchi ma soddisfatti in un camping sulle colline a Sala Biellese. Ci aspetta una tenda sospesa da terra, con legate le sue stremità a tronchi di forti alberi. Dormiamo sotto un cielo di stelle e pioggia, in una tenda sospesa tra due alberi e la libertà.
SECONDO GIORNO:
Il secondo giorno è quello più tosto capace di farmi gioire e piangere nello stesso momento. Inizia l’immersione nella natura della Serra morenica e la salita più dura. Passo da istanti di entusiasmo ad attimi di sofferenza fisica capaci di farmi pensare, anche solo per un secondo, di fermarmi e mollare. Ma più mi arrampico verso Oropa più intravedo il traguardo e la motivazione.
Ci arrampiachiamo sulle Alpi Biellesi in direzione Donato. Giungiamo al Santuario di Graglia tra Piemonte e Valle d’Aosta. Il santuario mariano è uno dei più importanti del Piemonte. Lo zaino pesa come un macigno sulla mia schiena e per alleggerirlo devo riempire la mia mente di natura, di storia e autostima che acquisisco passo dopo passo in questo cammino. Meravigliosi casolari antichi, castagni, aceri, pini mi accompagnano in un bosco di emozioni, insieme a timidi volpi e ai grugniti dei cinghiali. La volontà e la curiosità mi fanno avanzare scacciando via la sofferenza e la fatica. Si cammina tra le mulattiere lungo il fianco del Mombarone seguendo l’antico tracciato della Tranvia che tempi addietro univa Biella direttamente al Santuario di Oropa.
Dopo 68 chilometri in due giorni, io e i miei due compagni di viaggio giungiamo stremati al Santuariodi Oropa. La soddisfazione e l’appagamento sono immensi. Immensi quanto il mito di Marco Pantani che qui su questa montagna nel 1999 ha scritto una pagina indimenticabile della storia del ciclismo e dello sport. Il mito lo si percepisce e si vede incontrando paline celebrative dell’impresa lungo i tornanti d’asfalto che titolano “Montagna Pantani“.
Camminando nei momenti di dolore e sofferenza ho pensato molto a lui, il pirata, che con la sua determinazione qui ha sconfitto la sfortuna, il salto di catena ai piedi dell’ultima salita, e ha saputo rimontare tutti scalando la montagna fino ad Oropa. Un esempio di forza di volontà che ho percepito sotto forma di energia mentre percorrevo la strada fino al mitico traguardo del Santuario. Quella fu un’impresa epica non di certo come la mia… ma nel mio piccolo, ora che sono qui vincente con le mani al cielo davanti al Santuario, mi sento svuotato delle mie forze fisiche ma possiedo uno zaino ancor più carico di conoscenza, interiorità ed emozioni.
Abbiamo tracciato la mappa di viaggio e con essa segnato anche i suoi punti di esplorazione. Partiremo da Milano percorrendo la strada disegnata sulla costa croata, salendo sui Balcani serbi, scendendo sulle spiagge montenegrine, entrando poi in territorio albanese. L’automobile per il road trip è pronta carica d’entusiasmo e di curiosità. Mi affascina parecchio l’est europeo e non vedo l’ora di percorrere i tremila e più chilometri di questo emozionante viaggio, che compierò insieme alla mia compagna di viaggio Marina e con Maggie, la nostra cagnolina viaggiatrice.
PRIMO GIORNO: CROAZIA –ZADAR
Dopo otto ore di viaggio giungiamo a Zadar, splendida e storica cittadina croata bagnata dalle acque del Mediterraneo posta sulla costa della Dalmazia. E già sera e afflitti dalla stanchezza decidiamo di cenare in un ristorante tipico croato per poi fare un giro esplorativo lungo le vie della città. Zadar è rinomata per le sue rovine romane e veneziane e proprio per questo avevo deciso di fare sosta proprio qui. Qui la storia ci è passata lasciando le sue tracce attraverso le mura che circondano la città con le sue caratteristiche porte veneziane. Ammiriamo il foro romano e li poco lontano il convento di Santa Maria. Impetuosa è la grande cattedrale di Sant’Anastasia. Meraviglia!
SECONDO E TERZO GIORNO: BOSNIA ERZEGOVINA e MONTENEGRO- PETROVAC
Dopo un bel sonno rigenerante ripartiamo con l’obiettivo di attraversare la Bosnia per giungere in Montenegro. Sapevamo della pesantezza e fatica del viaggio, ma non fino a questo punto! Infatti una volta giunti al confine serbo, decidiamo di percorrere la strada che dal navigatore ci è segnalata come più breve, scartando il percorso più trafficato dai turisti che costeggiava il mare ( quello più sicuro a livello di manutenzione stradale). Una volta passata la dogana, ecco la strada trasformarsi in un saliscendi con vista a picco su vallate vertiginose di gole balcaniche. La manutenzione stradale è assolutamente inesistente: buche profonde decine di centimetri e nessun tipo di protezione laterale costituita da guard rail. La mia guida è talmente impegnata tanto da farmi restare concentrato con le mani attaccate al volante per tutta la durata del tragitto. Anche Marina resta concentrata guardando preoccupata la strada. Durante i lunghi silenzi prodotti dal “restar concentrati”, un solo pensiero ci accomunava: << Ma quando finisce questa strada? >>. Ma nonostante la sua caratteristica pericolosità riuscimmo a trovarci il lato positivo; la strada ci regalava un panorama meraviglioso: le montagne si gettavano a picco sulle vallate, coi paesini balcanici rimasti tali e quali a cinquant’anni prima… e poi tanta natura selvaggia. Stupendo!
Sembra incredibile ma per percorrere 150 chilometri ci abbiamo messo quasi otto ore! Insomma se devo consigliare a qualche viaggiatore di scendere in Albania in auto suggerirei ai più comodi di prendere la strada che costeggia il mare, ma ai più avventurosi di percorrere la strada che dalla dogana penetra salendo spericolata nell’entroterra balcanico bosniaco. Vi assicuro che sarà un’esperienza unica!
Finalmente giungiamo al confine fermandoci per i controlli alla dogana montenegrina. La strada è decisamente migliore e la mia guida torna ad essere molto più rilassata. Il paesaggio è un trionfo del mare, del cielo e dei monti conservati in un contenitore di mondo incontaminato. Petrovac testimonia la medioevale presenza dominante veneziana; vi è una meravigliosa fortezza del XVI secolo situata nel punto più alto del porticciolo. Alloggiamo in un BeB a pochi metri dal mare. Percepiamo un inizio di allontanamento dagli usi e costumi tipici dell’Europa occidentale marcati dalla presenza di paesaggi e popoli tipici dell’est europeo. Il cibo è davvero squisito! Si mangia davvero bene e si spende pochissimo. Il mare e la sua spiaggia sono la ciliegina sulla torta. L’acqua è limpida e cristallina. Alzando gli occhi, noto che selvaggiamente dalla spiaggia si arrampicano le montagne, disegnando un percorso di natura lussureggiante. Resto davvero ammaliato da questo lato ancora selvaggio di questo piccolo stato incastrato tra i balcani e il mare. Qui decidiamo di passare due giorni di relax in attesa del grande giro dell’Albania.
QUARTO GIORNO: TIRANA
Si parte verso l’Albania! La tappa di oggi sarà più breve rispetto alle precedenti: solo 181 chilometri che da Petrovac ci condurrà fino alla capitale albanese di Tirana. Sostiamo alla dogana albanese per acquistare il foglio verde che ci consentirà di viaggiare all’interno del territorio non appartenente all’unione europea. Il viaggio nel nord albanese è un road trip che sembra essersi fermato nel tempo. Le strade e le cittadine che attraversiamo sembrano ancora ferme a decine di anni fa quando il regime dittatoriale comunista lo caratterizzava. L’Albania ci dà il suo benvenuto con un paesaggio di campi coltivati, zingarelli accampati lungo la strada e automobili vecchie che in occidente si usavano forse nei primi anni 2000 se no addirittura negli anni 90!. Insomma, avevamo la percezione di essere tornati indietro nel tempo di almeno vent’ anni rispetto al resto d’Europa. Questo stato di sano degrado fu il colpo d’occhio iniziale di questo lungo viaggio esplorativo. Dal finestrino dell’auto io e Marina notiamo vecchie case e baracche contornate dai campi coltivati. Vecchie automobili ci sfrecciano di fianco rumorose suonando i loro clascon, in uno dei traffici più intensi che abbia mai conosciuto.
Tirana è una disordinata e chiassosa grande città, colma di traffico e delirio. Mi sembra di essere finito in una terra di nessuno, dove ognuno può fare ciò che vuole! Giungiamo in albergo sito nel quartiere più elegante di Tirana. Il resto della città è caratterizzata da un elegante e ordinato degrado caratteristico delle città dell’est europa. Prepariamo lo zainetto intenti a visitare il centro della città, che per mia fortuna (data la mia grande passione) è colma di storia. Entro nella piazza dal nome importante come quello di Skanderberg. <<Non vi porto libertà: l’ho trovata qui, tra voi.>> Questa è la frase che disse l’impavido Giorgio Castriota detto “Skanderberg” al popolo albanese dopo aver respinto e vinto gli invasori turchi ottomani. Qui, è venerato come eroe nazionale. Le sue gesta ispirarono nei secoli le rapsodie, la letteratura, le arti e mantennero vivo negli albanesi lo spirito della libertà.
QUINTO E SESTO GIORNO: VALONA
<< Finalmente il mare! >> Il mare ci accoglie con le sue spiagge super attrezzate e colme di turisti. Valona è una perla della costa albanese tanto che Il degrado attraversato nel nord albanese sembra totalmente scomparso. Soggiorniamo in un albergo posto sulla punta di una parete di roccia che dai suoi cento metri di altezza domina il mare. La vista è spettacolare. Scendiamo in spiaggia e per due giorni ci rilassiamo godendoci il sole e il mare.
SETTIMO, OTTAVO, NONO GIORNO: HIMARA
Scendiamo sempre più giù, fin dentro il cuore e l’anima dell’Albania meridionale. Qui il mare selvaggio e incontaminato bagna una riviera di scogli alti che come montagne che salgono verso il cielo. Alloggiamo in un albergo a pochi metri dalla spiaggia. La spiaggia è ampia e larga quanto la libertà. Si respira aria di spensieratezza e di pace. Chilometri di natura compongono questo angolo di mondo riscoperto da qualche anno da centinaia di turisti europei. Himara sarà una delle tappe più belle che ricorderemo di questo viaggio. La sua incontaminata natura e la generosità del popolo albanese che la abita, resteranno un piacevolissimo ricordo da raccontare a chiunque voglia esplorare questa terra.
DECIMO, UNDICESIMO, DODICESIMO, E TREDICESIMO GIORNO : SARANDA
Saranda è la città più trendi della riviera albanese. Qui cè tutto quello che serve per passare una giornata al mare con ogni confort e una serata in un buon ristorante e in una bella discoteca. È senza dubbio la località più rinomata dai turisti di mezza europa che vengono qui per cercare relax ma anche divertimento notturno. Dalla spiaggia si può vedere in lontananza la sagoma dell’isola greca di Corfù. Passiamo tre giorni a girovagare per le varie spiagge di Saranda in particolare la spiaggia di Ksamil.
Syri i Kalter
A circa una ventina di chilometri da Saranda si trova un luogo meraviglioso nominato Patrimonio dell’Unesco: Syri i Kalter, il famoso occhio blu dell’Albania. Si tratta di una sorgente sita alla base del monte Mali Gjere. L’acqua di colore blu scuro sgorga a una temperatura di 12 gradi. Resto incantato da questa meravigliosa opera d’arte naturale simile ad un occhio umano compreso di bulbo e pupilla. Al centro l’acqua è di colore blu scuro e tutt’intorno è colorata di un azzurro più chiaro. Un luogo magico e unico al mondo!
AGIROCASTRO
Giungiamo in questa meravigliosa e antica città, costruita su una collina di 300 metri tra i monti Mali i Gjere e il fiume Drinos. Agirocastro è un nome di origine greco dal significato di “Fortezza Argentata”. La città vecchia è un vero e proprio incastro di diverse culture: quella greca, romana, bizantina, turca e albanese. Passeggiamo tra le sue vie ricche di colori e di storia millenaria. Io e Marina restiamo a bocca aperta dinnanzi a questa meraviglia, inclusa tra i Patrimoni dell’Umanità.
BUTRINTO
Finalmente giungo in uno dei luoghi che da sempre avrei voluto visitare! E’ il sito archeologico più importante dell’Albania. Porto antico e frammento della storia del Mediterraneo. Entrando qui dentro si compie un viaggio straordinario lungo le epoche della nostra storia. Ci si perde tra le rovine che testimoniano la cultura della civiltà ellenistica, romana, bizantina, veneziana e ottomana. Una meraviglia! che emozione!
BERAT
L’ultima tappa del grande viaggio albanese ci porta a visitare la storica cittadina di Berat, un’altra perla inserita tra i Patrimoni dell’umanità. Le sue case bianche di origine ottomana, dipingono un paesaggio di abitazioni arroccato su una collina rocciosa. Dopo una meravigliosa passeggiata, fatta salendo tra le sue strette e caratteristiche viette, giungiamo in cima, dove insieme ad un po’ di fiatone ci attende un impetuoso castello risalente al xiii secolo.
A Berat termina il nostro viaggio. Con il viso triste puntiamo il navigatore della nostra auto verso il porto di Durazzo dove un traghetto è pronto a riportarci in Italia.
L’albania è stata un’incantevole scoperta: un paese incredibile, capace di sorprenderti grazie ai suoi due volti. Una terra magnifica dove la storia contemporanea è ancora ferma agli ultimi anni del 900, caratterizzata dalla sua gente che suona clacson guidando automobili che qui da noi sarebbero classificate come d’epoca e che abitano in vecchie città di palazzoni di cemento costruite dal regime comunista. Ma esiste anche il suo secondo volto più moderno ed occidentale caratterizzato dai suoi alberghi, dalle spiagge all’avanguardia, dai ristoranti e dalle discoteche che animano la vita notturna di uno dei paesi più accoglienti dell’est europeo. La sua costa mediterranea è una perla lucente capace di attrarre a sè qualsiasi esploratore e turista a caccia di bellezza, natura e cultura.
Quando mi smarrisco, sento il bisogno di percorrere il sentiero che mi riporta qui da te. Le rane, le foglie, lo scorrere dell’acqua e il silenzio. Qui posso parlare con tutto e non essere sentito da nessuno. Qui posso ascoltare tutto senza essere disturbato da niente. Tu mi doni sempre quello che mi occorre: la pace, l’armonia, la storia e la natura. Torno sempre qui da te perchè, quando sono nei tuoi boschi, mi sento a casa mia.
Ti amo mio Ticino.
Ho voluto iniziare con la mia personale dichiarazione d’amore all’anima del fiume e ora vi racconterò qualche aneddoto della sua affascinante storia.
A due passi dalla grande metropoli milanese c’è un mondo colmo di silenzi, colori e armonia dove un un’escursione a piedi o in mountain bike ti può far vagare senza pensieri e senza una meta ben definita per ore ed ore. Un luogo pieno di biodiversità e di animo wild. Non è la foresta amazzonica, la giungla del Borneo o il selvaggio West ma è comunque il luogo adatto per raccontarvi una bella storia di natura e avventura. Ma prima devo tornare un attimo più indietro, anzi più che indietro verso nord, più precisamente in Svizzera nelle Alpi Leopontine. Qui da due diverse sorgenti, la principale sul Passo della Novena e la secondaria sul San Gottardo, nasce un fiume che per 248 chilometri attraverserà la stessa Svizzera e parte dell’italia settentrionale fino a sfociare nel grande fiume Po. Sto parlando del fiume Ticino.
LA SORGENTE
In antichtà chiamato Ticinus dai Latini, che gli diedero questo nome per via del Canton Ticino sua zona di nascita. La sua vita inizia lassù in alto nelle due sorgenti dove Le prime gocce d’acqua si tuffano a capofitto verso una lunga discesa di sassi e minerali. Ad Airolo le gocce si bagnano l’una con l’altra diventando un piccolo fiume che dopo aver attraversato la Laventina sorpassa la valle Riviera, Bellinzona e il piano di Magadino per poi sfociare nel lago Maggiore. A Sesto Calende esce dalla calma apparente del lago per tornare veloce e irruente lungo il territorio italiano nel Parco del Ticino, vera oasi di natura incontaminata. Qui forte e impetuoso alimenta grandi canali come il Naviglio Grande che porterà l’acqua del grande fiume fino al centro di Milano. Ma noi restiamo qui, nella valle verde e selvaggia dove il fiume, con la sua presenza crea un ecosistema biologico ricco di biodiversità. Costituirà il grande polmone ecologico della Lombardia. Una piccola giungla amazzonica lombarda. La sua corsa continua a sud di Pavia (antica Ticinium) confluendo le sue acque nel fiume Po, del quale ne è il principale affluente. Ora vi porterò proprio all’interno del grande polmone lombardo, un paradiso per ogni escursionista o cowboy avventuriero. Qui sentieri sterrati penetrando per centinaia di chilometri all’interno della fitta giungla paludosa del parco si tuffano al contrario gettandosi dal blu dell’acqua del fiume giungendo alle numerose risaie arrampicandosi fino al verde della boscaglia.
TREKKING NELLA GIUNGLA DEL TICINO
Proprio il posto ideale per bel un trekking zaino in spalla, per un’immersione in apnea sopra la sella di una mountain bike o un impennata tra lo scorrere della corrente in Kayak! In sella o a piedi si possono attraversare piccoli borghi di casolari e fattorie, ambientate in un meraviglioso territorio di campagna in stile western americano. In canoa o Kayak si possono scoprire rapide vertiginose, capaci di condurti in luoghi incontaminati da non fare nessuna invidia ai selvaggi fiumi canadesi o dell’Alaska. I percorsi si snodano su sentieri boschivi fluviali che incantano il viaggiatore facendolo ammirare panorami naturali e numerose architetture storiche lombarde. La storia ci racconta che lungo la Valle del Ticino si susseguirono più fasi di insediamento di popolazioni di ceppoceltico. La prima fu la civiltà di Golasecca intorno al IX secolo a.c, poi nel 400 a.c fu il turno degli Insubri che si sovrapposero alla precedente popolazione mantenendone la cultura come era abituale tra i Celti. Gli Insubri distrussero la Melprum etrusca ricostruendola con il nome di Mediolanum (Milano). l’espansione di Roma portò la fine della colonizzazione dei Celti nel territorio dell’Italia settentrionale. Nel 218 a.c il Ticino fu territorio di scontro tra l’esercito romano del generale Scipione e quello cartaginese del condottiero Annibale nella mitica “battaglia del Ticino” in quello che fu un importante episodio della seconda guerra punica. Per la prima volta il fiume fu testimone della presenza di un altro animale bellico usato dall’uomo oltre al nostro amato cavallo. La novità fu l’elefante che Annibale importò dall’Africa, facendolo entrare in territorio italico passando da un varco tra le Alpi. Non siamo in grado di stabilire la locaità esatta della battaglia, forse nei pressi dell’odierna Vigevano o Castelletto Ticino, ma sappiamo che Tito Livio raccontò che i romani costruirono un ponte di barche accampandosi nel territorio degli Insubri che secondo alcuni oggi è il territorio di Turbigo, mentre Annibale si accampò nei pressi sull’odierna Galliate ( sponda piemontese). Cosa nota è che Annibale fece abbeverare gli elefanti in zona Victumulis (Garlasco). Chissà ai tempi cosa pensarono i nostri cavalli alla vista di questa nuova specie! E non oso immaginare quello che pensarono alla vista delle loro proboscidi durante la battaglia. Saranno scappati galoppando? Facile farsi stregare nei trekking a cavallo dai luoghi e dai simboli di questi popoli antichi ma ancora più facile restare ammaliati da architetture storiche più recenti come il Castello di Vigevano, la Certosa di Pavia, L’Abbazia di Morimondo.
LA STORIA: I CELTI, ANNIBALE, LA CERTOSA DI PAVIA, L’ABBAZIA DI MORIMONDO
In questo parco, storia e natura si fondono insieme dando origine a un connubio di meraviglie difficili da dimenticare… Come non si può scordarsi che anche qui come negli Stati Uniti, la febbre dell’oro fece ammalare molti uomini intenti a cercare il prezioso metallo tra le sabbie aurifere accumulate nel corso delle piene. Questo accadeva già ai tempi dei romani fino ad oggi con I cercatori d’oro che muniti di stivali di gomma e armati di una batea, la padella che vediamo in tanti film americani, cacciano l’oro come fossero sul Colorado.
CERCATORI D’ORO
Il Ticino ha un’energia vitale molto particolare in grado di far innamorare ogni curioso avventuriero. Quando si percorrono i suoi sentieri si dimentica tutto lo stress della grande città e si assimila energia positiva capace di far ritrovare se stessi galoppando tra un pensiero e l’altro. I viaggiatori smarriti qui si ritrovano ascoltando il gracidio delle rane, lo scorrere dell’acqua e il canto dell’Airone cenerino apparentemente silenzioso quasi muto che invece esplode acuto e modulato appena spiccato il volo. I piccoli ruscelli che danzano vicino al grande letto del fiume emettono una musica orchestrale capace di far ballare persino il più rigido dei pensieri. Se si è stanchi ci si può fermare sostando lungo le calme lanche stagnanti colme di pace e tranquillità che sembrano nascondersi dai problemi della vita dietro ad alti canneti.
Insomma è il posto adatto per fare escursioni e per rigenerare la mente dai problemi e la quotidianità della vita da città, liberi come nel famoso libro di Jack London: il richiamo della foresta. Sulle strade sterrate della campagna padana si può sentire l’odore dei campi da coltivare appena concimati, e le sagome dei cowboy a cavallo appaiono robuste sui sentieri di sabbia bagnati dall’ombra del caldo sole. Canalini colmi d’acqua spaccano a metà i campi coltivati e il canalone del Naviglio Grande fa da battistrada al sentiero che condurrà un escursionista fino alla darsena della città di Milano. Ma il mio consiglio è quello di restare qui nell’Amazzonia lombarda o nella Colorado padana, nel corridoio ecologico tra Alpi e Appennini, tra la flora autoctona di Aceri, Pioppi, Querce, Ginepri, Betulle, Castagni e la fauna selvaggia costituita da mammiferi come la volpe, il tasso, il capriolo, da uccelli come la Cicogna bianca, il picchio, il cormorano, da rettili come la testuggine europea, la vipera e da anfibi come le salamandre, il rospo, e la rana. Una foresta sottomarina di sassi e alghe fanno da habitat ad una grande varietà di pesci come la trota, lo storione e il luccio, grandi predatori del fiume azzurro.
Concludo sorridendo e ringraziando il mio Ticino. Un luogo talmente magico da essere capace, usando l’immaginazione, di farti vedere qualche Indio accampato col suo cavallo lungo la riva del fiume e qualche altro che con una canoa naviga le sue correnti. Insomma una vera e propria giungla selvaggia pronta a catturare ogni singolo cuore impavido di avventuriero intento a viaggiare nelle terre più inospitali e meravigliose della nostra terra.
Oggi non potendo uscire ho bevuto un bicchiere di vino e poi felicemente sono fuggito fuori casa evadendo con la mia immaginazione. Mi sono ritrovato insieme al mio zainetto in un bosco di querce e pini mentre camminavo tra alberi, insetti e animali selvaggi. Il mio respiro lento e profondo fiutava profumi di primavera anticipata e aria pulita. la mia vista ammirava uno spettacolare collage di monti, colline, laghi, fiumi e le loro forme con i loro colori percorrevano sentieri che giungevano fin dentro alle mie pupille. Udivo il canto del vento e il cinguettio degli uccellini. Con le mani toccavo l’aria limpida della selva e con la bocca assaporavo sorsi d’acqua di sorgente. Tutto era al suo posto in un’armonia cosmica perfetta. La mia immaginazione mi fece proseguire seguendo il sentiero sterrato del bosco fino all’ingresso di una città. Case, palazzi, monumenti storici, strade e un ponte che attraversava un limpido fiume mi accolsero stupito. Al contrario del bosco questo luogo mi rattristì molto perché sembrava essere deserto. Nessuna persona che camminava, che andava in bicicletta o che voleva semplicemente fare due chiacchere con me. Non c’era nessuno ma solo silenzio e il rumore delle foglie trasportate dal vento. Ma poi, al contrario, qualcosa mi rallegrò. Notai che non c’era spazzatura, non c’erano mozziconi per terra e soprattutto non esisteva lo smog prodotto delle automobili e delle fabbriche. L’aria era leggera proprio come quella del bosco. Quando Riaprii gli occhi sorrisi felicemente sorpreso. Capii che tutto quello che avevo immaginato non era il frutto della mia fantasia ma era vera realtà! Vera come i delfini ritornati a nuotare nei porti privi di navi della Sardegna, vera come i fondali dei canali di Venezia tornati limpidi e pieni di pesci, vera come lo smog ormai scomparso dal centro di Milano. << La natura si riprende la sua vita in nostra assenza. >> disse una donna incontrata in questo mio giro immaginario. << Avevo sempre pensato che quello torbido e fangoso fosse il colore naturale dei suoi canali. >> replicò un turista anch’esso incontrato durante la mia evasione guardando i fondali dei canali veneziani. E poi ancora: << Non avrei mai pensato che Venezia avesse un fondale cosi caraibico! possiamo tornare a tuffarci in laguna! >> esclamò un gondoliere. << Che aria pulita… sembra di montagna. Un cielo cosi azzurro qui non si era mai visto… >> concluse emozionato il signor Brambilla in dialetto milanese guardando il cielo di Milano.
UN BICCHIERE MEZZO PIENO
La realtà dei giorni attuali di un mondo fermo senza l’uomo, racconta che in Cina, uno degli stati più inquinati al mondo, l’aria è tornata a livelli respirabili e il biossido di azoto è diminuito del 30% rispetto al solito. Un dato incredibile! un sogno! << Finalmente la terra respira. >> era la voce unanime di tutte le persone della Terra, che nella mia immaginazione di un mondo ideale, avevo incontrato e che ora sembra essere divenuta miracolosamente realtà. Questa splendida realtà di un mondo finalmente pulito è una sorta di “consolazione” dai problemi di salute e dai danni economici che sta causando questo maledetto Covid-19. Il virus giunto dalla Cina sino a noi, sta per fare il suo corso anche nel resto d’Europa, negli Usa e nel resto del mondo. Si preannuncia un’inestimabile catastrofe sanitaria ed economica di livello mondiale pari a quello delle due guerre mondiali combattute nel secolo scorso. Insomma stiamo vivendo in un periodo che verrà raccontato sui prossimi libri di storia e noi ne siamo dentro come acqua sporca in un bicchiere pulito. Ahimè non lo stesso bicchiere di vino che sorseggiavo prima di perdermi nella mia immaginazione… Ma se guardiamo bene dentro al bicchiere pulito del cosmo appoggiandolo sul tavolo dell’universo, osserverei questo virus come un elemento positivo per la nostra natura, e al contrario di ogni previsione io vedrei il bicchiere mezzo pieno. Lo paragonerei a dell’acqua che fuoriesce dal rubinetto cosmico che sta riempiendo fino all’orlo il bicchiere sporco, lercio, inquinato della nostra Terra. Esso saturo di sostanze inquinanti, capitaliste e maligne deve essere svuotato prima che sia troppo tardi. Basterebbe che una mano divina lo rovesci e noi umani ripartiremmo puliti da zero. Ma nessun divino di qualsiasi religione fino ad ora è giunto tra noi per rovesciarlo. Una grande mano invece cè la sta dando il Covid-19 fuoriuscendo inatteso e devastante come un fiume in piena dal rubinetto del cosmo, che sta spazzando via tutto lo sporco contenuto nel nostro inquinatissimo bicchiere.
Oggi l’attenzione del mondo è rivolto solo alla cura di questo virus lasciando in secondo piano l’aumento delle temperature nei ghiacciai di Artide e Antartide. Strano ma le due cose potrebbero essere in qualche modo collegate. Già perché forse la cura l’abbiamo già trovata senza saperlo e sarà il miglior vaccino in grado di non far sciogliere i ghiacciai polari e bloccare definitivamente i cambiamenti climatici. Questo virus sembra essere venuto per dirci che dobbiamo fermarci mettendo in quarantena noi e il nostro bellissimo pianeta. Nessun umano lo stava facendo accecato dalla vile luce del denaro e del potere, e c’è voluto lui, Mister Covid-19, a farci dire basta. Mi piace e voglio credere che questo virus sia un’opportunità che ci sta dando nostra Madre Natura da usare come ultima chance per salvare lei e la nostra umanità prima che sia troppo tardi.
Ci sono momenti di sfida, di curiosità, di viaggio e di tanta sofferenza. Si parte da Bologna pergiungere fino all’ambita meta di Firenze. Attraversando gli Appennini emiliani e toscani affrontando un cammino lungo 137 chilometri si scoprono luoghi nuovi, una natura incontaminata, tanta storia antica e amici indimenticabili. Vi racconto la mia splendida avventura:
LA PREPARAZIONE
Lo zaino è quasi pronto. Al suo interno Indumenti leggeri per il giorno e pesanti per la notte, scorte di barrette energetiche, una mappa, attrezzi da trekking, il sacco a pelo e la tenda. Con me e il mio caro amico zaino ci saranno i miei compagni di viaggio e di avventura Tommaso e Roberto, ma soprattutto ci saranno le mie gambe che non smetteranno quasi mai di muoversi insieme alla mia testa. Già perché per affrontare un cammino del genere la concentrazione e la determinazione sono elementi che non possono mancare mai. E’ un cammino che di solito lo si affronta in cinque o sei giorni ma noi decidiamo di percorrerlo in soli quattro giorni. Impresa ardua perché serve una buona preparazione atletica per attraversare gli Appennini tosco emiliani colmi di dislivelli impegnativi in cosi poco tempo. Inoltre terreni difficili fangosi e il maltempo potrebbero ostacolarci. Ma noi siamo ben allenati e nulla potrà fermarci nel poter attraversare un cammino tra la natura selvaggia e la storia. Il sentiero infatti è una antica strada etrusca poi diventata romana (Flaminia Militare) attraversata da basiliche medioevali, rovine romane, resti della prima e seconda grande guerra e antiche conchiglie fossili.
Piazza Maggiore
In cammino
La natura emiliana
PRIMO GIORNO
Parto in auto da Milano insieme a Tommaso e Roberto e giunti a Bologna ci fermiamo a dormire in un ostello situato in centro. All’alba zaini in spalla, partiamo dalla meravigliosa Piazza Maggiore. Nonostante siano le 6 di mattina altri viaggiatori camminatori come noi sono pronti per partire per il lungo cammino. Qui si aggiungono Chiara e Azzurra, due ragazze romane che decidono di affrontare il cammino insieme a noi. La colazione a base di panino con la mortadella e cioccolato ci sosterrà per molti chilometri e al grido << CARICIII CARICIII !>> partiamo! Il ritmo è buono e le gambe vanno da sole. Sono ben allenato e preparato tra trekking, palestra, mountain bike e con la testa libera vado avanti nonostante i 13 chili del peso del mio zaino. Cammino lungo la strada asfaltata che attraversa la bellissima Bologna e pian piano sale sempre di più passando da San Luca con i suoi archi sotto il portico più lungo del mondo che mi porta al santuario della beata vergine. Qui ci fermiamo per scattare una foto di rito e per scambiare parole di entusiasmo con altri gruppi di camminatori. Scendiamo giù a Casalecchio di Reno e costeggiando il Reno iniziamo finalmente un sentiero sterrato giungiendo a Sasso Marconi. Qui resto incantato davanti alla vista dell’acquedotto romano e del ponte di Vizzano. Al nostro gruppetto di camminatori si aggiunge il bergamasco Simone, un gran montanaro davvero tosto! Sarà un membro portante del nostro gruppo! Continuiamo verso l’area protetta di Contrafforte Pliocenico con i suoi fossili e la sua vegetazione particolare. Stremati ripartiamo in direzione Monzuno, il primo vero obbiettivo di sosta del nostro cammino. Ma prima si doveva salire in cima al Monte Adone. ( Il nome del Dio Adone dona il nome al monte come altri monti hanno nomi di altri Dei, e per questo si chiama “Cammino degli Dei”..) Stanchi ci rimbocchiamo le maniche e determinati raggiungiamo la cima rampicandoci su un sentiero ripido nel cuore dello splendido appennino emiliano. Una volta giunti in cima le due croci ci fanno sorridere di sofferenza ma godere di un bellissimo panorama. Sono esausto ma l’aver attraversato una natura meravigliosa e visto una buona parte di storia dell’umanità fa esclamare “wow!”. Finalmente un po’ di discesa verso Brento e poi ancora salita su strada asfaltata passando da Monterumici in direzione Monzuno. Ora apro una parentesi giurandovi che quello che è accaduto da Brento a Monzuno ha del miracoloso… Già perché a tutti noi le forze e le gambe stavano per cedere, cosi come le nostre schiene a causa del peso dello zaino, ma la nostra testa era tanto determinata ad arrivare… A Monzuno… questo paese per noi “leggendario” che a un certo punto credevamo non esistesse nemmeno, talmente eravamo esausti e stanchi. le allucinazioni stavano per prendere il sopravvento sui nostri corpi non più lucidi quando all’improvviso la sagoma del cartello “BENVENUTI A MONZUNO” apparve lungo la ripida strada in salita. Ebbene si! Dopo 14 ore di cammino e 40 chilometri percorsi con dislivelli terribili di mille metri finalmente eravamo giunti alla prima meta! Increduli, distrutti, affamati e anche nervosi, lasciamo andare le nostre sofferenze buttandoci in una cena a base di pasta e carne in una trattoria del paese. Finita la cena e recuperate le calorie, montiamo le tende nei pressi di un parco giochi per bambini. Stanco e stremato mi addormento rigustandomi in un sogno la durissima tappa appena passata e il percorso che ancora dovrò e dovremo compiere.
Nelle Terre selvaggie
Primo obbiettivo raggiunto!
Soddisfazzione!
Il gruppo con Roberto che ci fa la foto!
SECONDO GIORNO
Di buon mattino mi sveglio con le gambe pesantissime quasi bloccate. Non riesco a stare in piedi. La stessa sofferenza è percepita anche dai miei compagni di viaggio: Tommaso, Roberto, Chiara e Simone. All’improvviso notiamo che una persona mancava all’appello. La fatica aveva fatto la sua prima vittima: Azzurra infatti ci aveva abbandonato ritirandosi dal cammino. Probabilmente nella notte senza dir nulla a nessuno aveva deciso di mollare e ritornare a Roma. Complimenti comunque a lei… non è di certo impresa facile percorrere 40 chilometri sugli Appennini in una sola giornata! La determinazione in questi viaggi è un elemento fondamentale e dopo una veloce lavata di faccia in una fontanella del parco smontando le tende facendo una ricca colazione torniamo in pista proseguendo sui sentieri montani in direzione Madonna dei Fornelli. Le gambe nonostante sembrassero bloccate pian piano si scioglievano andavano avanti da sole comandate dall’entusiasmo e dalla voglia di superare i nostri limiti. Dopo venti minuti giungiamo a Campagne camminando in uno stupendo bosco di castagni. Poi la salita fino a Monte del Galletto e finalmente dopo circa tre ore su strada sterrata giungiamo a Madonna dei Fornelli. Il sentiero prosegue in una meravigliosa foresta scendendo giù fino al quadrivio di Pan Balestra, due ore di cammino dopo Madonna dei Fornelli. Da qui inizia la storica e mitica “Flaminia Militare” antico percorso romano datato 187 a.C. Nel bel mezzo della foresta appenninica giungiamo davanti ad un recinto e un cancello con scritto “Chiudere il cancello grazie”. Ci passo e lo chiudo ( non si sa perché, probabilmente per non far entrare animali da bestiame) e faccio passare anche i miei compagni di viaggio. Proseguiamo fino alla Piana degli Ossi ed emozionato ammiro i resti di un’antica fornace datata II secolo a.C. Dopo diversi sali scendi molto faticosi giungiamo in una piana denominata radura delle Banditacce. Qui ci fermiamo a prendere fiato e far riposare la schiena perché quella che ci attende sarà una delle salite tra le più faticose dell’intero cammino che ci porterà sul punto più alto di tutto il percorso di 1200 metri di altitudine. Oltre ad essere la cima più alta è il punto quasi esatto che rappresenta la metà del cammino tra Bologna e Firenze! Giungiamo In cima e soddisfatti ci riposiamo. Bello gustare la natura che ci sta ospitando. La discesa ci regala testimonianze storiche dell’antica presenza romana! Una meraviglia! Camminiamo in mezzo a boschi di conifere in direzione Futa nostro secondo obbiettivo del cammino. Sul Passo della Futa infatti si trova un camping dove pensavamo di passarci la notte. A pochi chilometri dal camping si trova un punto di interesse storico incredibile: il cimitero germanico. Emozionati ci togliamo gli zaini dalle spalle e come bimbi curiosi ci addentriamo per visitarlo. Prima che il buio scenda ci incamminiamo verso il campeggio e dopo aver montato le tende ci buttiamo soddisfatti sotto una calda doccia! Erano quasi due giorni che non mi lavavo e devo dire che dopo tutto questo sforzo una doccia d’acqua calda è il massimo che si possa desiderare.
Confine Emilia/Toscana
Camping Futa
Cimitero germanico
Cimitero germanico
E va beh…
Riposo
TERZO GIORNO
Dopo una notte fredda, con fuori quasi zero gradi, avvolto nel caldo sacco a pelo mi risveglio tra la natura meravigliosa della Futa. Giusto il tempo di smontare le tende e fare colazione e ripartiamo verso l’Apparita. Zaino in spalla con entusiasmo saliamo sulla cima del Monte Gazzaro e poi in discesa attraversando una natura fantastica fino a giungere al Passodell’Osteria Bruciata. Qui un tempo sorgeva una locanda rinomata per i suoi piatti di carne “umana” cucinati dal proprietario dopo aver derubato e ucciso i suoi clienti… anche qui la foto è d’obbligo. Inizia la strada in discesa. Mi sento in gran forma e aumento il passo andando avanti da solo lasciando indietro il mio gruppo. Volevo passare qualche momento in “solitaria” per riflettere e contemplare durante il cammino la bellezza di questa natura. Ma a causa della mia fretta nel scendere la montagna mi si infiamma la caviglia sinistra. Di colpo mi fermo, mi blocco e inizio a soffrire. Verso Gabbiano sulle montagne dell’Appenino mi siedo su un avvallamento con vista sulla valle. Mentre mi riposo attendo che i miei compagni di viaggio mi raggiungano. Mezz’ora dopo vedo arrivare Tommaso, Chiara e Simone ma senza Roberto, anch’egli rimasto leggermente indietro per un infortunio. Soffro ma proseguo. Non sarà certo un po’ di dolore alla caviglia a fermare il mio sogno! Mi aiuto con le bacchette ma inizio a zoppicare. Soffro dannatamente ma non posso mollare. Davanti a me ancora una cinquantina di chilometri che sembrano non finire mai… il sentiero in salita, il fango e il dolore. I miei compagni che mi sostengono moralmente ma ad un certo punto resto solo con la strada, la campagna toscana e i miei pensieri. Piango… devo superare il purgatorio per arrivare in paradiso. Poi da dietro vedo la sagoma di Roberto che come me infortunato camminava dolorante. Ma insieme ci carichiamo e piano piano raggiungiamo gli altri che si erano fermati ad aspettarci. Arriviamo a S. Pietro a Sieve e ci accampiamo sotto il cavalcavia di una superstrada insieme ad altri camminatori. Una piccola tendopoli di viaggiatori si forma Intorno ad un fuoco. Cantiamo canzoni e ceniamo con panini per recuperare le energie. Qui si aggiungono al nostro gruppo altre due ragazze milanesi. Nel frattempo Roberto decide di continuare il suo cammino in solitaria e in notturna. Un matto pensiamo! ma non c’è nulla che lo possa fermare e nonostante le nostre raccomandazioni decide di continuare da solo. Beh tanta stima per lui che coraggioso con il suo zaino, la sua tenda e la sua torcia in mano attraverserà i boschi dell’Appenino toscano giungendo già dalla mattina successiva a Firenze. Io Stanco mi addormento insieme a Tommaso e Chiara ma con una caviglia sinistra gonfia e dolorante e un callo gigante sotto il piede destro. Nel sogno notturno mi domando: << Riuscirò nonostante il dolore alla caviglia a terminare il cammino?>>
Osteria Bruciata
Sosta degli Dei
Flaminia Militare
La fatica…
Il cammino…
Tendopoli
QUARTO GIORNO
Mi sveglio con la caviglia sempre più gonfia e il callo grosso come una lumaca sotto il piede destro. Mi fa male da morire. Ma di mollare non mi passa neanche per l’anticamera del cervello nonostante alla meta mancasse un altro giorno di cammino, circa 30 chilometri. Non sono uno che molla e per me l’impossibile non esiste e anche strisciando con un piede zoppo giungerò vincente all’obbiettivo! Riparto insieme a Tommaso e Chiara, sofferente ma più carico che mai. Zoppico vistosamente e dopo qualche chilometro percorrendo le ripide salite fangose della foresta dico a malincuore a Tommaso e Chiara di proseguire. Non voglio che a causa mia rallenti il loro passo verso la meta finale. Rimango indietro per diversi chilometri. Continuo in solitaria. Vedo la splendida fortezza Medicea sul colle e la sua visuale, come quella della natura che attraverso, mi dona forza interiore indispensabile per non mollare. Attraverso quasi piangendo una natura perfetta. Camminando ho avuto modo di soffrire guardandomi dentro misurandomi con il mio dolore. Ma dovevo superare me stesso, il mio male e quindi il mio limite imposto dal dolore. Due camminatrici mi convincono a prendere un OKI che mi anestetizza per qualche ora l’infiammazzione. Dopo tre ore di cammino sento al telefono Chiara che poco più avanti di me mi dice: <<Ale sono un chilometro più avanti di te. Ti aspetto cosi proseguiamo insieme.>> Apprezzo il gesto di Chiara e facendo uno sforzo in più la raggiungo. Nel frattempo anche lei infortunata aveva rallentato. Insieme doloranti proseguiamo verso l’ultima vetta del cammino quella del Monte Senario. L’avventura che affronteremo insieme resterà per sempre nelle nostre menti. Prima sbagliamo strada e ci perdiamo nei sentieri selvaggi della foresta appenninica e poi una volta ritrovata la strada salendo verso la vetta veniamo colti in pieno da un fortissimo temporale. E Improvvisamente accade un miracolo! (Se cosi si può chiamare) il mio dolore alla caviglia scompare e lo stesso vale per il dolore di Chiara. Iniziamo ad aumentare il passo… Ma in realtà a coprire il male era l’adrenalina provocata dalle centinaia di fulmini che continuavano a cadere a pochi metri da noi! Insomma più che miracolo si trattava di istinto di sopravvivenza causata dalla voglia di scappare via da quel posto e trovare riparo per non essere colpiti da un fulmine. Dopo una lunghissima ora passata a camminare veloci sotto gli alberi in cima alla montagna nel bel mezzo del nulla ( il punto meno raccomandato durante un temporale è stare sotto gli alberi in montagna.) Il temporale termina e noi esausti e fradici giungiamo a Fiesole! C’è l’avevamo fatta! Eravamo vivi! Con il cuore a mille ci abbracciamo! Per concludere in bellezza facciamo l’autostop per trovare un passaggio fino alla stazione di Firenze dove ci attendevano i nostri compagni di viaggio. Alla vista del mio pollice si ferma un suv guidato da un signore fiorentino distinto ed elegante sulla sessantina in auto insieme a sua moglie << Mi sono fermato perché proprio come voi sono un camminatore. Ho fatto il cammino di Santiago e la Via Francigena.>> A quel punto dopo tutto quello che avevamo passato Io e Chiara increduli guardandoci negli occhi ci riabbracciammo. Ma le sorprese non erano ancora finite. infatti avevamo altro in comune. Scopro che il signore era un affermato medico ma anche uno scrittore! Già proprio come me! Tra i suoi libri anche uno sul suo cammino fatto a Santiago. Dopo averci dato il passaggio fino in stazione, li salutiamo come fossero vecchi amici. Alla stazione di Firenze rincontriamo il resto del gruppo: Tommaso, Roberto, Simone, Qui ritrovo anche dei ragazzi di Bergamo che avevo incrociato durante il cammino e mi avevano visto zoppicante. Mi fanno i complimenti dicendomi che nello stato in cui ero avevo compiuto un miracolo di determinazione giungendo sofferente con quella caviglia al traguardo. Soddisfatto e distrutto saluto la Toscana. Si torna in treno a Bologna per riprendere la nostra auto mentre Chiara torna a Roma. Che grande viaggio!
Fiesole!
Che panorama!
Superato il purgatorio…
La foresta appeninica
La Meraviglia
Arrivo in stazione
E’ stato un viaggio bellissimo, un cammino meraviglioso. Mi porterò dentro la splendida natura dell’appennino tosco emiliano che rallegra occhi e cuore del camminatore facendo dimenticare la fatica che si sta compiendo. Mi porterò dentro le persone che con me hanno camminato soffrendo e godendo della bellezza del loro viaggio esteriore e interiore. E poi la vista di reperti storici che donano misticità e fascino a questo viaggio facendo respirare un profumo di vita vissuta da altri uomini in altri tempi.
E’ una meraviglia particolare questa città. Particolari le parole che mi serviranno per descriverla, in parte dolci e in parte amare. Un amaro troppo disgustante per il sapore che hanno lasciato nel tempo, non a causa sua ma per colpa delle atrocità commesse dalla razza umana.
La sua affascinante storia medioevale si affianca a quella tristemente nota della seconda grande guerra. Fa molto freddo e le strade sono in parte ricoperte da una bianca morbida neve. Zaino in spalla vagabondo nella città vecchia circondata dal parco di Planty e dai resti della cinta muraria medioevale, insieme ai due miei compagni di viaggio Marco e Tommaso.
Rynek Glowny
La piazza medioevale più grande d’Europa
Il primo luogo capace di catturare la mia attenzione è la piazza del mercato chiamata Rynek Glowny, la più grande piazza medioevale d’europa. Qui la Basilica di Santa Maria, una chiesa gotica del XIV secolo, ne domina la scena con le sue due torri di altezze differenti. Saliamo più in alto sulla collina di Wawel. Il meraviglioso castello simboleggia la città e una splendida cattedrale la illumina di cultura: al suo interno si sono celebrate le incoronazioni dei sovrani polacchi ed è la chiesa madre dell’arcidiocesi di Cracovia. La sera ceniamo in un ristorante tipico polacco divorando dei buonissimi pieroghi, tortine di pasta simili ai ravioli con dei ripieni sia dolci che salati. Il giorno dopo visitiamo emozionati l’altro quartiere storico di Cracovia: il di Kazimierz, che per 600 anni ha ospitato la comunità ebraica di Cracovia fino allo sterminio ad opera dei nazisti.
Da qui in poi le mie parole descriveranno emozioni tristi mai provate in nessun altro luogo al mondo…
QUARTIERE DEL GHETTO EBRAICO:
Cammino su una strada di ciottoli scuri. I miei passi riecheggiano tra i muri del quartiere con le stelle di Davide disegnate che non vogliono andare via. Non vogliono morire come invece hanno fatto gli uomini e le donne che vivevano qui. Loro sono giunte fino ai nostri giorni provenendo dagli anni della guerra. Torno indietro nel tempo immaginando il rumore degli stivali delle SS tedesche che picchiettando a terra facevano sentire agli abitanti del ghetto il rumore della paura. Un silenzio irreale avvolge questo luogo. Si percepisce il senso del dolore che c’è stato. Un dolore che queste mura, queste strade, questi ciottoli e questa umanità non potrà dimenticare mai.
AUSCHWITZ BIRKENAU- Campo di sterminio:
La neve copre con la sua purezza tutto il maledetto dolore che qui c’è stato. Entrando ad Auschwitz Birkenau seguendo le rotaie arrivo laddove il treno carico di bestiame composto da uomini, donne e bambini concludeva la sua corsa vicino al filo spinato. Qui la mia pelle si accappona. La corsa per alcuni finiva subito con l’inganno di una doccia, mentre per altri proseguiva con la garanzia che prima della doccia ci si sporcava di sofferenza. E’ enormemente infinito questo Lager. Entro in una delle “stalle” usate dalle SS tedesche per far riposare la notte il bestiame umano. Non so esprimere la sensazione che provo qui dentro. Tremo, mi manca l’aria. Mi rifiuto di pensare a cosa sia successo qui. Mi viene da piangere e star male. E’ buio, sporco e c’è un odore pesante rimasto impregnato negli anni che non riesce ad andare via dal male che qui ha abitato. Riesco a vedere i volti e le espressioni delle persone che per qualche mese, giorno o ora hanno vissuto qui. Mi appaiono con i loro pigiami a righe tutti uguali chiedendomi pietà. Li osservo inerme. Provo ad allungare una mano per soccorrerli ma non posso fare più nulla purtoppo. Solo un gesto forse inutile ma che mi viene dal cuore potrei fare. Mi sento in colpa e chino il mio capo pronunciando l’unica parola che mi viene in mente: “Perdonateci” in nome mio e di tutta l’umanità.
Meravigliato dal fascino malinconico dell’est europeo, torno a visitare Sofia, la capitale della Bulgaria.
La città è circondata dalle montagne, i monti Balcani, e questo colpo d’occhio le dona un vestito verde che non ti aspetti. Dopo aver attraversato con un taxi parte della città, io e il mio compagno di viaggio Tommaso ci rechiamo all’ostello, posto quasi in zona centro. Giusto il tempo di recuperare una cartina della città, ci buttiamo subito zaino in spalla per le vie della capitale bulgara. Le prime impressioni sono le solite di quando si visita una città dell’est europeo. Si percepisce molto il degrado post sovietico e lo si assapora passo dopo passo. Insomma abitazioni e mura grigiastre con intonaci distrutte e mai più ricostruite, fili penzolanti dai pali della luce che attraversano la strada e tante automobili “antiche” che in Italia si usavano negli anni 90… Poi cammino incrociando le mura della vecchia Serdica, la Sofia romana antica, davvero meravigliosa. Accanto moschee e chiese ortodosse. Questo mix di edifici culturali e di periodi storici diversi donano un fascino unico a questa città.
il volto di Sofia
Sofia
Prima di incomiciare il tour, mi fermo a pranzare in un ristorante tradizionale bulgaro. Il cibo è buonissimo! si inizia con della zuppa e si continua con piatti unici di pollo e patate con delle salse bulgare sensazionali! si accompagna il tutto con del pane e con della buona birra.
Il nostro giro inizia con la visita del simbolo della capitale, la cattedrale di Alexander Nevskij. E’ il più importante luogo religioso di Sofia e non a caso è l’unico monumento illuminato anche di notte. Costruita tra fine 800 e inizio 900 in stile bizantino è una delle chiese ortodosse più grandi del mondo. A pochi metri di distanza visitiamo anche la chiesa di Santa Sofia costruita nel IV secolo sui resti di numerose chiese precedenti e della città Serdica (la Sofia Romana)
La cattedrale
La Rotonda di San Giorgio
Con i kiwei fradici sotto la pioggia battente, giungiamo in uno dei punti per me più emozionanti: La Rotonda di San Giorgio. Considerata il più antico edificio di Sofia. Una piccola meraviglia di soli 10 metri quadrati, un tempio pagano poi trasformata in chiesa. Qui di colpo la pioggia smette di cadere lasciandomi immortalare con una stupenda foto le più antiche rovine della città.
La sera visitiamo il quartiere festoso di Boulevard Vitosha e di Utilsa Rakovski ricco di discoteche, ristoranti e tanta movida.
L’indomani con un taxi mi reco a Boyana. un paese alle porte di Sofia poggiato sopra una verde collina. Qui sorge una meravigliosa chiesetta medioevale. Si pensa che, proprio al suo interno, l’arte rinascimentale europea venne dipinta dai suoi primi precursori.
Boyana church
Salgo sulla scalinata di una delle chiese ortodosse medioevali più belle al mondo. E’ patrimonio mondiale dell’UNESCO. La sua fama la deve agli affreschi che contiene al suo interno. Al suo esterno una natura unica di alte sequoie secolari… una meraviglia!
La pioggia non smette mai di cessare ma non mi basta per placare la fame di curiosità. Tornando verso il centro della città rimane da visitare un’altra splendida chiesa anch’essa patrimonio dell’UNESCO. La chiesa russa di San Nicola. Il colpo d’occhio dall’esterno è fantastico! le cinque cupole dorate dominano il vestito della cattedrale che illuminano la sua lucente bellezza. Al suo interno resto ipnotizzato dalla cerimonia religiosa ortodossa. Ne resto cosi tanto affascinato che ci resto dentro per quasi un’ora.. Una cerimonia molto mistica dove i fedeli sono intenti ascrivere bigliettini all’Arcivescovo Seraphim morto nel 1950 ma che in fin di vita espresse il desiderio di continuare a ricervere in modo che lui continuasse a prendersi cura di loro.
Chiesa russa di San Nicola
Resto davvero sorpreso dal fascino di Sofia. Sarà forse per il suo volto timido ma colmo di storie antiche vestite di un malinconico abito dell’est, o per i suoi occhi grigi e freddi che ti ipnotizzano fino a farti innamorare delle sue strade e le sue chiese. Saluto Sofia dandole un bacio sulla guancia promettendole di ritornare, sussurrandole nell’orecchio di non preoccuparsi perché resterà per me una delle più belle “donne” con cui abbia viaggiato nelle mete d’Europa.
Ogni viaggio ha il suo motivo. Ogni luogo da esplorare ha il suo più curioso posto d’attrazione. Io e il mio zaino siamo venuti qui per camminare sulle montagne, nelle foreste e nelle cittadine medioevali giungendo fino al castello di Bran, famoso per la leggenda del conte Dracula.
BUCAREST – La capitale
Il mio viaggio parte da Bucarest storica capitale rumena. Atterro in tarda serata e prima di recarmi all’ostello, insieme al mio compagno di viaggio Tommaso, mi dirigo verso il quartiere di Lipstani. Cammino pregustando i primi istanti nella terra rumena. Mi guardo intorno incuriosito consapevole di visitare una città segnata dal suo recente passato comunista. E’ buio e alcune vie sono segnate dal degrado. Alti palazzoni grigi con le mura rovinate dai segni della povertà, fanno da contorno alla strada sottostante con roulotte e cavi della luce che penzolano dagli alti pali. Per strada poca gente. Ma appena giungo nel quartiere di Lipstani tutto cambia. Musica alta rimbomba per la stretta e lunghissima via della movida rumena dove decine di disco pub e ristoranti fanno da meta a centinaia di giovani e turisti. Rimango piacevolmente sorpreso dalla bellezza dei locali e all’organizzazione. Bevo per festeggiare l’inizio del mio viaggio, brindando alla visita della Transilvania! Tornerò qui a Bucarest tra qualche giorno per visitare, tra le altre cose, un palazzo del XV secolo chiamato Curtea Veche, dove regnò il principe Vlad III, soprannominato l’impalatore… ma questa storia ve la racconterò più avanti…
Bucarest zaino in spalla
Bucarest
DA BUCAREST VERSO BRASOV
Di buon mattino con un bus, giungo in stazione centrale per salire sul treno che mi condurrà nella mistica regione del conte Dracula. Mi attende un viaggio verso la Transilvania lungo all’incirca 200 chilometri. Ne approfitto per scrivere, restando affascinato dalla natura di questa terra che si intravede scorrere dal finestrino.
Il treno per Brasov
Lungo un antico sentiero medioevale che dalla Valacchia porta alla Transilvania, in località Sinaia, sorge il Castello di Peles. Costruito in stile neo rinascimentale tedesco, venne eretto come residenza del Re di Romania nel 1873. Alla stazione di Sinaia scendo, e con il mio zaino in spalla percorro in salita un’altura che dopo un chilometro mi porta davanti al maestoso castello. Il colpo d’occhio è fantastico. Il bianco del castello risalta il colore verde della montagna. Le sue forme lo rendono il più bello dei 103 castelli esistenti in tutta la Romania. All’interno la ricchezza non si spreca.
Castello di Peles
Castello di Peles
BRASOV
Riparto in treno da Sinaia in direzione Brasov. Osservo la foresta dal finestrino, alberi che si arrampicano sulle montagne, qualche tetto di casa a forma di cono e poi ancora foreste… non a caso Transilvania vuol dire “oltre la foresta”. A Brasov i miei occhi si inebriano di colori e bellezza. E’ una cittadina bellissima e molto accogliente. Camminando per le sue vie si è rapiti dalla visuale dei Carpazi che la circondano e dalle tante abitazioni colorate in stile barocco. Alzando lo sguardo verso il cielo poi, nuvole bianchissime riflettono la luce calda del sole illuminando l’aria limpidissima di montagna. Una vera e propria perla della Romania. In città pregusto i piatti tipici rumeni davvero squisiti e visito la chiesa nera in stile gotico. Ma questa è solo la porta principale della Transilvana… L’indomani di buona mattina, prenderò un bus che in mezz’ora circa mi porterà a Bran ai piedi del famoso castello di Dracula…
Io e Tommaso a Brasov
Brasov
CASTELLO DI BRAN
Finalmente giungo a Bran, il paese del conte Dracula. Mi aspetto di trovare un’atmosfera lugubre e tetra con tanto di ululati, pipistrelli in volo e cielo tempestoso. Ma al mio arrivo rimango un pò deluso, ritrovandomi in un luogo si meraviglioso, ma “non pauroso”. Non so se sia stata una mia fortuna capitare qui in una splendida giornata di sole!… Già perchè il sole toglie quell’alone di mistero che dovrebbe invece accompagnare la visita di questo mistico castello… Ma qui lo scrittore Bram Stoker in una grigia giornata d’inverno, fu ispirato nel creare il personaggio di Dracula. Non c’è nessuna nuvola grigia in cielo, ma il fascino della Transilvania, delle sue fitte foreste e del potente Vlad III l’impalatore, rendono questo castello il più affascinante di tutti. Insomma… C’era una volta il conte Dracula…
Castello di Bran
Interno del castello
In serata torno a Brasov, ma l’indomani faccio ritorno a Bucarest. Qui non può mancare il classico giro in bici per la città. Visito i monumenti principali tra cui il parlamento. Ma la vera attrattiva qui è la “Curtea Veche”. Mi blocco sofferandomi davanti alla residenza di Vlad III, il temuto impalatore di turchi. Le rovine dell’abitazione e la sua statua, riescono a trasmettermi quel fascino terrorizzante che dalla Transilvania giunge fino qui a Bucarest.
Curtea Veche
Concludo il viaggio portandomi dentro la bellezza di questa terra. I colori di Brasov, le fitte foreste che si arrampicano sui Carpazi e i suoi tanti castelli, dipingono una meravigliosa natura mischiata alla storia. Forse è proprio questa la formula perfetta che da origine alla sua misticità. Una formula magica che ha trasformato il temibile Vlad III, realmente esistito, famoso per la sua terribile fama di impalare le teste dei nemici turchi nelle foreste cupe di Valacchia e Transilvania, in una figura inventata ma altrettanto terrificante come il conte Dracula. Cosi facendo ha reso immortale la sua anima, che vive qui, come fosse parte integrante di questa terra. Qui lo si percepisce… Impossibile restare indifferenti alle foreste incontaminate e cupe che fanno ombra a misteriosi castelli. Li oscurano cosi tanto da far svolazzare intorno pipistrelli che anche se non si vedono appaiono nei nostri pensieri.
Dici e pensi a Madrid e la prima cosa che ti viene in mente è la parola “movida!”… Ma vi assicuro che c’è molto altro…
Alloggio in un quartiere poco lontano dalla stazione dei treni di Atocha e ogni giorno a piedi con il mio immancabile zaino in spalla, macino chilometri per esplorare la calorosa città.
Camminando…
Nada!
Ma questo mio diario voglio iniziarlo al contrario, ovvero dalla “noche”… Tutto inizia al tramonto camminando affamati, attirati dalle luci e i profumi dei suoi ristoranti. Come tori attratti da un panno rosso, si finisce al loro interno gustando tapas, paella e sangria. L’atmosfera spagnoleggiante fa il resto, riempiendo l’arena notturna dei locali madrileni di gente. Ha ufficialmente inizio la movida, dove non solo panni rossi ma di ogni colore, fanno ballare insieme tori, toreri e ballerine…
Di giorno il suo fascino è quello di una città elegante, vestita sempre con abiti colorati ma con quello spiccare di rosso e giallo in più. Camminando per le sue caratteristiche vie, si percepisce subito di essere nella calorosa Spagna. il bello di questa città è che nonostante contenga molte infrastrutture moderne sia comunque riuscita mantenere intatta la sua storia e originalità.
Plaza Major
Muy bueno!
Appena si giunge qui non si può non recarsi nella Plaza Major. Di forma rettangolare e attorniata da porticati, è la piazza principale della città. Dopo una stancante camminata zaino in spalla bisogna recarsi allo storico Mercado de san Miguel! uno dei pochi mercati coperti di Madrid in stile Liberty, dove tra i vari prodotti tipici si può assaporare il mitico Jambon Iberico e il Pata Negra… non cè nulla di meglio di un bel panino per integrare la fame di curiosità.
Parque de Retiro
Madrid è una città verde piena di parchi tra cui il Parque del Retiro. Al suo interno un enorme giardino lo attraversa, e un grande lago artificiale fa da specchio al monumento ad Alfonso, principale punto d’interesse del parco. Io e i miei compagni di viaggio specchiandoci nel lago, ammiriamo in lontananza l’immagine imponente del monumento. Ma ricordandoci di essere nel paese della “fiesta” posiamo gli zaini e ci rechiamo ad un cherenguito per sorseggiare altra sangria!
Girovagando per le affascinanti vie, giungiamo davanti al più antico ristorane del mondo: il “Sobrino de Botin”. La sua nascita è datata 1725. Purtroppo possiamo solo guardarlo da fuori perché i prezzi all’interno sono inaccessibili per noi!!!
Palacio Real
La noche!!!
i giorni successivi mi reco in uno dei più imponenti e splendidi palazzi d’Europa: il Palacio Real, residenza ufficiale del Re di Spagna. Al suo interno immense sale, quadri, statue e tanta ricchezza sanciscono quella che era ed è la potenza dei reali di Spagna. Davvero affascinante. La cosa che più inorgoglisce è che la maggior parte delle sue opere d’arte sono create dalla mano di artisti italiani. Vi sono pitture del nostro Bernini e una sala contenente una collezione unica di violini costruiti dal nostro Antonio Stradivari.
Il museo del Prado completa la vena artistica della città. Al suo interno uno dei miei quadri preferiti: Il Giardino delle delizie la più famosa opera del pittore Bosch. Il dipinto raffigura tre scene che da sinistra verso destra rappresentano l’umanità. Nel primo riquadro vi è la creazione con un giardino dell’Eden rigoglioso e Adamo ed Eva, nel pannello centrale figure di uomini e donne nude, animali immaginari, frutti e nel pannello di destra vi è rappresentato l’inferno con demoni e la natura distrutta. Secondo l’immaginario di alcuni, l’autore vuole ammonire l’umanità per aver portato il mondo da un giardino meraviglioso qual’era ad una prossima distruzione… attraverso i suoi vizi, il suo capitalismo, le guerre e l’inquinamento… Un quadro che non smette di apparire nella mia mente. Dovremmo tutti possedere una sua copia sul nostro comodino e ammirarlo ogni mattina e sera. Ma sopratutto dovrebbero vederlo i potenti della terra che senza scrupoli ci stanno portando verso il terzo pannello di quel quadro. Vi lascio con sua l’immagine sperando che serva come riflessione per migliorare la vita del nostro splendido pianeta. Buena vision…
“Il Giardino Delle Delizie” esposto al museo del Prado
E’ forte la mia curiosità per la capitale tedesca. Curiosità derivata dalla sua grande storia. Una fama che l’ha resa protagonista durante la seconda guerra mondiale ma sopratutto dopo, con la costruzione del suo famoso muro. Ora zaino in spalla. Non vedo l’ora di esplorarla!
Giungo a Berlino ed immediatamente la sua grigia atmosfera tipica delle città del nord mi colpisce. Alloggio in zona centrale. il mattino faccio colazione allo Starbucks con del caffè “quasi” buono. Siamo nel mese di Aprile qui fa freschino, e qualche nuvola ricopre la città. Nonostante ciò io e i miei due compagni di viaggio Maria e Cristian, affittiamo delle bici e insieme pedaliamo percorrendo parte della città. Non cè niente di meglio nell’abbinare la fame di conoscenza ad una sana pedalata! saliamo in sella facendo tappa presso i più importanti monumenti storici. La porta di Brandeburgo, il palazzo del Reichstag, il monumento ai caduti ebrei. Qui però inizia a pervadere un senso di tristezza e malinconia che fa pensare alle vittime della guerra e alla maledetta dittatura che l’ha dominata.
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Davanti al Kaiser-Wilhem-Gedachtniskirche ( vecchia chiesa rovinata dai bombardamenti della guerra) pranziamo con patate e carne. Ammirandola si nota il contrasto tra la rovine antiche e la parte moderna della città. Questa chiesa è una chiara testimonianza degli orrori della seconda guerra mondiale.
Chiesa bombardata
Fiume Sprea
Costeggiamo il fiume Sprea, che ai tempi sostituiva il muro che delimitava il confine tra l’est e l’ovest e giungiamo nel luogo che mi ha suscitato il bisogno di “venire” a Berlino. Finalmente davanti ai miei occhi appare “Il muro” o perlomeno quello che ne rimane… per fortuna! Da lontano appare come un semplice muro di cemento armato, ma più ci si avvicina e più si percepisce dentro una sensazione di “freddo”. Già, proprio come la guerra che da anni ha contrapposto le due superpotenze mondiali, che poi si sono spartite in due fette la città sconfitta.
Muro di Berlino
Muro di Berlino
Su di esso dei murales colorati tentano di far riaffiorare felicità laddove si era persa per per decenni. Devo ammettere che in alcuni tratti ci riescono in pieno, come nel punto dove vi è rappresentato il bacio tra Regan e Gorbaciov. Ma nella maggior parte del suo percorso no… Vi sono dei punti, con delle targhe commemorative con incisi i nomi e le storie di uomini, donne e bambini caduti, che dal versante ovest verso est o viceversa tentavano di oltrepassare il muro. Tutto questo mette i brividi. Noto una netta differenza tra la parte est (ex russa) costituita da vecchi palazzi e la ovest ( ex americana) molto più nuova e modernizzata. la differenza la si vede ancora oggi da una facciata all’altra del muro. Dalla parte sovietica non vi è traccia di disegni e colori mentre in quella americana i murales ne dominano la scena. Questo perché la vecchia dittatura comunista dell’est non permetteva nessun tipo di disegno sul muro.
La sera però Berlino lascia a casa quel suo velo di malinconia trasformandosi in una delle città più allegre e festose d’europa! Alexanderplatz è uno dei centri di festa e noi la abbracciamo mangiando wurstel, crauti e bevendo birra! I giorni successivi visito la più importante chiesa della capitale tedesca : Il duomo di Berlino. Finalmente un tiepido sole illumina scaldando l’anima della fredda città. Camminando mi reco presso lo storico Checkpoint Charlie , un importante posto di blocco situato tra il settore sovietico e quello statunitense.
Duomo
Checkpoint Charlie
Venne istituito nell’agosto del 1961 in seguito alla costruzione del muro di Berlino per permettere il transito del personale militare delle forze alleate, del personale militare sovietico di collegamento, del personale diplomatico e dei visitatori stranieri. Qui ora è possibile fare delle foto con dei “veri finti” soldati americani che restano in piedi sull’attenti nel vecchio posto di blocco. Tutto questo perché a pochi metri si trova il “museo del muro” che visito interessato.
Resti del muro sono presenti in gran parte della città ed è giusto che siano ancora visibili. Penso che le generazioni future debbano sapere cosa sia accaduto qui in passato, in modo che questo scempio non accada mai più. Venire qua e pensare che fino a pochi anni fa questa città venne divisa da un muro per i capricci di guerra fa rabbrividire. Un muro lo si immagina come un qualcosa di protettivo ma non di divisorio. Ora vedere il muro crollato mi fa sentire sollevato. Nonostante il suo passato burrascoso Berlino è una delle città più vive d’europa. Non bellissima ma parecchio affascinante e molto malinconica. La storia dell’umanità è passata da qui con le sue sfaccettature grigie che ora si stanno colorando, dipingendo di vita le pareti di cemento del suo muro.
E’ il giorno del mio compleanno. Che fare se non regalarsi un bel viaggetto? eh già… Prenderò un aereo per recarmi nella verde Irlanda con destinazione Dublino. Ma a pensarci bene però, non credo sia tanto “verde” in questo periodo dell’anno… è il 10 dicembre e il bianco del gelo ne avrà preso il sopravvento.
Atterro e subito il mio “non buon” inglese si scontra con il complicato slang irlandese. Chiedo indicazioni per arrivare al mio dormitorio. Ma me la cavo giungendo sano e salvo nel mio albergo/ostello. La prima impressione che ho con la città è molto positiva. Mi piace! cammino in una tipica cittadina britannica attraversando un quartiere con case basse colorate, simpatici uomini dai capelli arancioni e tanti pub. Il classico clima british dona il carattere alla città, e alzando la testa grandi nuvole grigie coprono un timido ma caldo sole. Sono fortunato perché nonostante sia dicembre, qui la temperatura non è bassa come al solito.
Per le vie
Quartiere Temple Bar
Cammino costeggiando il fiume Liffey che taglia in due la città. Dublino è soprannominata anche la città dei ponti. Nel pomeriggio incontro un gruppo di amici con cui avevo puntello dall’altra parte del fiume. Ma per incontrarli devo attraversare uno dei suoi ponti principali: O’Connel Bridge. Con loro mi reco subito nel luogo che negli ultimi anni sta attraendo gente da tutto il mondo: Il Guinees Storehouse. La fabbrica e museo della birra Guinees! Qui ci passo quasi mezza giornata, e quando usciamo fuori è già buio.
Entrata Guineess storehouse
Interno Guineess Storehouse
Dopo aver fatto il tour completo e sorseggiato diverse qualità di birre non ancora appagati ci spostiamo nei quartieri del centro. Già perché cè il mio compleanno da festeggiare e il mitico pub TEMPLE BAR sembra il posto ideale! Il mio regalo perfetto. La sera i ponti si illuminano donando a Dublino un fascino unico al mondo. Resto a bocca aperta dalla semplice bellezza di questa piccola città. basta poco per innamorarsi di lei.
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O’Connel Bridge
Il giorno dopo facciamo colazione con un tipico brunch irlandese composto da carne, uova e verdura. Con lo zaino in spalla ripartiamo per il tour esplorativo per le vie della città. Passiamo dalle due meravigliose cattedrali St’Patricks e Christ Church Catedral, il castello di Dublino, il Trinity College. fino ad addentrarci nel secondo parco più grande d’Europa il Phoenix Park. Qui finalmente il verde regna sovrano. Certo non è paragonabile al verde del resto dell’Irlanda che ahimè in questo piccolo viaggio non riuscirò a vedere.
Phoenix Park
Monumento Phoenix Park
Il capitolo finale del mio racconto però, voglio dedicarlo al ponte più importante della città dei ponti: il piccolo Ha’Penny Bridge. Il primo ponte di Dublino. Il suo nome è dato dal costo del pedaggio che ogni uomo pagava per passare da una sponda all’altra del fiume! un penny. Un ponte storico che lo rende l’icona di questa meravigliosa città.
Saluto Dublino portandola nel cuore. E’ senza dubbio una delle città più belle che abbia visitato. Il suo stile british senza grattacieli e palazzoni, i suoi contenuti storici, la sua natura e la sua gente la rendono più allegra di quanto si pensi. Al contrario di altre città del nord racchiude un animo caldo che ti rapisce fin dal primo passo mentre si cammina nei suoi vicoli. Dispiace andarmene e non continuare il mio tour irlandese ma userò la mancanza attuale di tempo come una buona scusa per tornarci presto.